La chiarificazione positiva del nulla del buddismo zen

Hoseki Schinichi Hisamatsu - da "La pienezza del nulla"

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Got ignorance?
    Uncertainty is an uncomfortable position. But certainty is an absurd one.


    Buddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centriBuddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centriBuddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centriBuddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centriBuddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centri

    Group
    Amministratore
    Posts
    4,970

    Status
    La chiarificazione positiva del nulla del buddismo zen

    CITAZIONE
    Il "non-essere-qualcosa" o la compiuta indeterminabilità

    Se il Nulla dello Zen si differenzia essenzialmente dal mero "nulla come negazione di una semplice presenza", perché allora fin dai tempi più remoti viene espresso in modo tale da alimentare sempre di nuovo questa confusione e fraintendimento, come se si trattasse di una sola e medesima cosa? La ragione di ciò consiste nel fatto che il Nulla dello Zen può essere percepito nel migliore dei modi proprio grazie a questo fra i diversi aspetti del modo consueto di concepire il nulla. Decisivo a questo proposito è il suo carattere di compiuta, piena indeterminabilità. Con questa parola si intende affermare che nel Nulla del Buddismo-Zen non vi è qualcosa, che possa essere chiamato una realtà presente. Se si dice che non vi è nulla di presente, non si intende dire ciò solo in senso generale, "nulla è" o "niente è presente", ma si vuole affermare che nel Nulla dello Zen non vi è nulla, non vi è alcunché.

    Ma il Nulla dello Zen non presenta uno spazio vuoto, privo di oggetti, che si trova al di là della mia persona, ma è la mia condizione di nulla, il mio me stesso, che è "nulla". Se nel Nulla Zen non vi è nulla, può necessariamente anche in me non esserci nulla. Orbene, se affermo che in me non vi è nulla, si potrebbe pensare che ci sia pur qualcosa al di fuori di me. Ma questo "in me non vi è nulla" non deve indurre, secondo l'uso linguistico consueto, a contrapporre a un mondo interno in cui non vi è nulla un mondo esterno; significa piuttosto che in me non vi è nulla poiché per me non vi è né un interno né un esterno. "In me non vi è nulla" non significa perciò che nel mio interno, nel caso in cui si separi l'io in interno ed esterno, non vi è nulla - infatti l'io è già al di là di una distinzione siffatta - ma significa che in nessun luogo vi è qualcosa. E ciò in cui non vi è qualcosa, sono io stesso. Il Nulla Zen è il non esserci-qualcosa in nessun luogo e ciò è l'io o, in termini rovesciati: l'io è il non esserci qualcosa in nessun luogo. Ma se si parla di un non-esserci-qualcosa in nessun luogo senza l'io, vi sarebbe allora solo uno spazio vuoto, o se si parla di un io senza un non-esserci-qualcosa in nessun luogo, questo io verrebbe ridotto a un fenomeno psichico o fisico; ma né l'uno né l'altro possono caratterizzare il Nulla Zen.

    L'uomo è abitualmente circondato dalle cose più diverse che appartengono al mondo interno o al mondo esterno. Perciò è impossibile affermare che nulla è presente. Nel mondo esterno vede colori e ascolta voci, gioisce e soffre nel proprio intimo. Certamente collega i suoi pensieri a qualcosa, così che si trova sempre alla fin fine di fronte o a un oggetto del mondo interno o a un oggetto del mondo esterno.

    L'io che vive nella dimensione quotidiana della vita è perciò l'io che costantemente è in rapporto con oggetti. Un io siffatto non può perciò sottrarsi al venir-determinato dall'esterno. Se vede colori, viene limitato dai colori; se sente voci, da voci; se pensa al male, dal male; se pensa al bene, dal bene. Così in ogni caso è determinato da un oggetto del mondo interno o del mondo esterno e di tale oggetto è prigioniero. Osservato in modo superficiale, ciò potrebbe risultare affine alla condizione di uno sprofondare, a un Samadhi; ma l’apparenza inganna; è uno pseudo-Samadhi che si differenzia fondamentalmente dal vero Samadhi. Come lo spirito, che è "ancora legato a piante e alberi", l'io è in contatto internamente ed esternamente con oggetti e muta con essi; nasce e muore - sorge e tramonta.

    Se l'io ha un corpo, ha un cuore e di questi è prigioniero, crede di morire con la morte del corpo, di andarsene col tacere del cuore. L'io che si lascia sedurre dalla ricchezza e dall'onore, diviene uguale ad essi; parimenti, l'io che è prigioniero del Buddha ed è diventato in tutto simile al Buddha - l'io che è diventato prigioniero del nulla e simile al nulla - l'io, infine che è prigioniero del fatto che non vi è nulla, e che è diventato simile al non esserci nulla in nessun luogo - tutti questi sono modi dell'io in ceppi e non libero. È lo spirito "ancora legato a piante e alberi". Soltanto l'io che non conosce nessun oggetto, l'io come il non-esser-qualcosa, è indipendente da tutto. È l'io che non è determinabile dall'esterno. Se questo è l'io in cui nulla è, si potrebbe tuttavia pensare che in esso resti ancora la coscienza che nulla è. Ma fintanto che vi è ancora in me una coscienza che ha come contenuto il nulla come oggetto, io non sono ancora realmente nella situazione del nulla. Il nulla verace sono io stesso, e non il mondo dei miei oggetti. Nel momento in cui diviene oggetto, è un essente e così è qualcosa che mi tiene prigioniero.

    Se anche solo la più piccola ombra di oggettività colpisce il nulla come non-esser-qualcosa, vi è già qualcosa. Solo se io sono realmente e veracemente nulla, io sono pienamente liberato dai ceppi e illimitatamente libero e di nulla prigioniero. E poiché per me non vi è allora più nessun interno ed esterno, da cui venir toccato e influenzato, io sono una unica singola cosa. Il numero Uno è un'unità, ma siccome ve ne sono molti così esso non può venir detto unico. Come unica singola cosa io devo perciò essere uno, in cui nulla è, e che si trovi al di là dell'interno e dell'esterno.

    Il sesto Patriarca del Buddismo Zen, Hui-nèng afferma: "Il cuore è ampio e grande come lo spazio vuoto del cielo; è senza limiti e senza confini", oppure: "la tua vera natura è come lo spazio vuoto del cielo, e se ti accade di scorgere il non-esser-qualcosa, questo può essere detto il vero, il giusto percepire".

    Nel Chèng-tao-ko e nel Ch'uan-hsin fa-yao sta scritto: "il Nulla è una percezione chiara. È il non-essere-qualcosa. Non è un uomo né un Buddha".

    E questo è l'io come il non-esser-qualcosa. Anche ciò che il sesto patriarca Hui-nèng caratterizza come "il retto cuore", non significa altro. "Retto" in questo caso non ha significato morale, ma vuol dire l'esser-eretto, il non esser vincolato a qualcosa di altro e diverso. Se il cuore è prigioniero, non può esser eretto, viene attratto ora verso destra ora verso sinistra. Un cuore che si lascia prendere e toccare da colori e voci o falsità e malvagità, ma anche dal vero e dal bene, non può esser detto un cuore retto.

    Solo un cuore che non è in se stesso qualcosa, non può esser sporcato. Solo un cuore che non si volge né dalla parte del bene né dalla parte del male è un cuore retto. Proprio perché è anche una singola cosa, e non una pluralità di cose, si dice appunto che il cuore retto è uno. Solo il cuore in cui non vi è qualcosa può - come afferma Lin-chi - penetrare nel mondo dei colori e tuttavia non ricevere da essi nessuno stimolo, entrare nel mondo delle voci e tuttavia non venirne sedotto; penetrare nel bene e non esserne fuorviato, può realmente sprofondare nel "Samadhi del non essere-toccato dalle cose del mondo", "nel Samadhi della libertà da tutto il fango" o "nel Samadhi del gioco che compie miracoli" .

    Quest'unico vero sprofondare è essenzialmente distinto da altri modi in cui, prigionieri delle cose, ci si precipita nell'entusiasmo e nella confusione. Certamente anche siffatti esercizi di meditazione sono genuini, ma sono solo meditazioni individuali o "Samadhaya dei fenomeni", poiché non presuppongono le situazioni dell’"in me non c'è nessuna cosa" e si riferiscono a cose singole come colori e voci, al vero o al bene. Per contro è un cuore quello che non è nessuna cosa - poiché rappresenta un unicum, senza interno e senza esterno, senza confini e senza limiti, al di là della dualità di soggetto e oggetto - nello "sprofondare dell'unicità, nello sprofondare dell'uno-unico fenomeno" o dell'una-unica azione. Questo è il cuore nel Raja-Samadhi, nello "sprofondare dei Re". Le "forme di sprofondare dei vassalli", possono manifestarsi sul fondamento del Samadhi regale. Se uno si fa prigioniero delle cose, e da esse dipende o se al contrario si immerge in esse in un vero oblio di sé, ciò avviene nella misura in cui il Samadhi-regale costituisce o meno il tratto fondamentale. Perciò anche in Ch'i-hsin-lun il Samadhi dell'incommensurabilità sorge e si erige sulle fondamenta del Samadhi della verità assoluta.

    Nello stesso senso il sesto patriarca Hui-neng afferma: "Se tu vuoi raggiungere la Bodhi, l'originario sapere, devi penetrare nel Samadhi dell'una-unica apparizione, dell'una-unica azione. Se in nessun modo si manifesta un'apparizione e tu ti attieni alla situazione, senza odio e amore, senza prendere e lasciare", non pensi al pro e al contro, al nascere e al trapassare e sei tranquillo, calmo, lieto e in pace, allora ciò può ben pretendere il nome di Samadhi dell'una-unica apparizione. Se tu soprattutto e sempre, nell'andare e nello stare, sedere e riposare, hai il cuore del tutto puro e retto, se tu non devii dal sentiero di Buddha e raggiungi realmente il puro paese di Buddha, allora tu sei nel Samadhi dell'una-unica azione" .

    Anche Ma-Tzu afferma: "lo non ho mai in me la più piccola fra le cose". L'io che egli intende, è l'io che corrisponde al non-esser-qualcosa-in-alcun-luogo. Come anche si dice nel sesto capitolo del Tsung-ching-lu, "ciò che non è la più piccola cosa" non è paragonabile con "l'esteso vuoto e concavo e con la dissoluzione perfetta e con l'assenza di sapere", ma con l'io in cui "non" vi è "la più piccola cosa". Nel Tokay-yawa di Takuan sta altresì scritto: "Il confuciano fraintende il vero nulla, lo rifiuta; infatti lo considera unicamente un non-qualcosa e non distingue ...Io chiamo vero nulla il fatto che non si serbi nulla nel proprio cuore. Ma il cuore è un attore che rappresenta ogni ruolo ... lo chiamo vero nulla il fatto che il cuore non possa esaurire sé in nessun ruolo … Il vero nulla di cui parlo è ciò che è libero da ogni ruolo e da ogni compito". Il "vero nulla" di cui qui si parla è nient'altro che il cuore che è uguale al non-esser-qualcosa.


    Edited by warmbeer - 21/4/2023, 14:41
     
    Top
    .
0 replies since 21/4/2023, 11:03   36 views
  Share  
.