Libertà per il Tibet , democrazia per la Cina!

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  1. yeshe
     
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    breaking news:


    www.ansa.it/web/notizie/collection/rubriche_mondo/10/07/visualizza_new.html_674383310.html


    http://www.freetibet.org/newsmedia/seven-m...-many-ready-die
    http://www.guardian.co.uk/world/2011/oct/0...ath?INTCMP=SRCH

    http://www.dossiertibet.it/appuntamenti/la...caso-della-cina

    http://www.dossiertibet.it/news/delhi-univ...s-hunger-strike

    http://partecinesepartenopeo.wordpress.com...si-danno-fuoco/


    Claudio Tecchio Says:
    October 7th, 2011 at 5:12 pm
    Lettera aperta alla gioventù tibetana

    …occorrerà fare ogni sforzo per salvaguardarci dal disastro che incombe. Usate mezzi pacifici quando siano efficaci, ma ove non lo fossero, non esitate a ricorrere alla forza.
    13th Dalai Lama

    La storia, anche recente, della nostra vecchia Europa ci insegna che non è immolandosi sull’altare dell’ideologia della nonviolenza che si possono abbattere i regimi totalitari.

    La forza della ragione degli oppressi non ha mai , da sola , prevalso sulla ragione della forza degli oppressori.

    Solo il coraggio e l’abnegazione dei patrioti in rivolta , decisi a battersi con ogni mezzo contro ogni forma di oppressione , ha portato la pace e la giustizia in un continente per secoli martoriato da spietate tirannie.

    Il nazifascismo fu sconfitto soltanto dalle armate Alleate e dall’insurrezione popolare, dalla lotta partigiana e dallo sforzo bellico anglo-americano.
    I popoli dei Balcani si sono liberati dell’eredità titina solo dopo aver drammaticamente riaffermato la propria identità nazionale in uno scontro doloroso.
    Il già barcollante impero sovietico è crollato dopo un lungo , a tratti violento, conflitto iniziato nella lontana provincia polacca e poi estesosi a tutti i domini.
    E i giovani berlinesi hanno potuto gioire danzando sui resti del muro solo grazie al sacrificio di quanti hanno saputo resistere , forti anche del sostegno dei paesi liberi, alla violenza degli apparati repressivi .

    In Cina nessuno può quindi illudersi , come invece si illusero gli eroici studenti che assediarono la Città Proibita , che una dittatura possa autoriformarsi e tollerare una qualche forma di transizione verso la democrazia.
    In Tibet nessuno si illuda che i teorici del “centralismo democratico” possano mai tollerare anche solo un simulacro di autonomia amministrativa .
    La lotta di liberazione sarà di lunga durata in quanto gli autocrati di Pechino hanno fatto tesoro dell’esperienza sovietica e non ripeteranno certo gli “errori” commessi dal PCUS .
    Una speciale commissione composta da brillanti ricercatori delle migliori università cinesi ha analizzato le ragioni del crollo sovietico e proposto ai gerarchi l’adozione di efficaci misure preventive ; misure rivelatesi poi tanto efficaci da prolungare l’agonia del regime e dare nuovo slancio allo” sviluppo “del paese.
    Il controllo sociale si è esteso,la già flebile opposizione politica è stata annichilita, i lavoratori intimiditi dai licenziamenti di massa , i contadini deportati.

    La Cina è così diventata una superpotenza destinata , con gli attuali ritmi di crescita economica e demografica , a dominare il mondo imponendo i suoi “valori orientali”di confuciana memoria.
    E lo farà in ragione della sua forza economica , politica e finanziaria.
    Già oggi i dirigenti di Pechino ,dosando sapientemente seduzione commerciale e minaccia militare , sono in grado di condizionare pesantemente le decisioni dei singoli Governi e degli Organismi Internazionali.
    Persino gli Stati Uniti sembrano farsi più cauti nel contrastare la volontà egemonica di Pechino per non intaccare i profitti di quelle multinazionali che , operando da molti anni in Cina, finanziano la campagna elettorale del Presidente .

    La Cina è la nuova e rampante potenza coloniale che ha già ripreso ( senza colpo ferire!) il controllo di Hong Kong e Macao e si appresta a riconquistare con la ragione della forza la “provincia ribelle” di Taiwan.
    Mantiene artificiosamente in vita dispute territoriali con l’India ed il Bhutan , puntella il regime maoista in Nepal, fornisce ( via Pakistan ) tecnologia nucleare alla Corea del Nord , collabora con il regime laotiano , sostiene la dittatura birmana.
    E in un mondo in cui non è più necessario occupare fisicamente un territorio per imporre il proprio dominio cerca , grazie anche alla sua ricca e potente diaspora , di diventare il motore dello sviluppo di tutti i paesi dell’area per renderli dipendenti dalle sue politiche economiche.

    Di fronte a tutto questo il patetico appello al dialogo dei dirigenti tibetani e l’inutile sacrificio di tanti giovani tibetani rafforzano soltanto la volontà di potenza dei colonizzatori.
    Alimentare la cultura della rassegnazione ,o praticare un insano autolesionismo ,porterà solo a futuri , ancor più sanguinosi, conflitti la cui responsabilità ricadrà su tutti noi.
    Dobbiamo invece contribuire alla creazione di una grande alleanza tra tutti quelli che si battono contro il regime e dare speranza a quanti , umiliati e oppressi , non hanno ancora trovato il coraggio di ribellarsi.

    Prima che sia troppo tardi !

    Claudio Tecchio
    Campagna di Solidarietà con il Popolo Tibetano
     
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  2. dianabluda10
     
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    CITAZIONE
    …occorrerà fare ogni sforzo per salvaguardarci dal disastro che incombe. Usate mezzi pacifici quando siano efficaci, ma ove non lo fossero, non esitate a ricorrere alla forza.
    13th Dalai Lama

    Ringrazio il Dalai Lama per questa frase, mi ha pulito la coscienza.
    :;namaste:

    Apparte questa mia cosa personale non nascondo rabbia a leggere questi titoli. Ci vorrebbe un esercito ma non la spunterebbe comunque. I giapponesi hanno inviato samurai per circa 1000 anni in Cina, entrambe sono popoli che preferiscono la morte al soccombere in battaglia... tuttavia i Samurai giapponesi non l'hanno mai spuntata.
     
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  3. Bosone Pazzo
     
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    Il diritto all'autodeterminazione vale per tutti?
    Allora se Tibet libero, anche Padania libera!
     
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    Got ignorance?
    Uncertainty is an uncomfortable position. But certainty is an absurd one.


    Buddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centriBuddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centriBuddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centriBuddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centriBuddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centri

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    CITAZIONE (Bosone Pazzo @ 9/10/2011, 12:59) 
    Il diritto all'autodeterminazione vale per tutti?
    Allora se Tibet libero, anche Padania libera!

    Una premessa. Personalmente sono contrario ad ogni forma di violenza.

    Venendo al dunque. E parlando come utente e non come amministratore.
    Facciamo finta che sia una battuta di spirito. Non si scherza su certi argomenti.
    Facciamo finta che non sia una battuta di spirito. Non ci credo, non è possibile che tu l'abbia detto.
    Facciamo finta che non ho ho capito che è molto meglio e molto più probabile.

    Sul "free violence" personalmente non sono d'accordo dicevo, anche se ritengo inevitabile l'uso della violenza in certi casi ed in certi periodi. In Tibet si sta consumando una tragedia. Credo che un forum sia un luogo dove renderne testimonianza, dove rendere testimonianza alle vittime alla sofferenza, determinazione, sacrificio personale ed estremo di queste persone.
    Questa lettera è rivolta alla gioventù tibetana. Ma deve far riflettere tutti.


    Come moderatore, unicamente con l'intento di mantenere una discussione così importante pulita da altri interventi tipo "Padania libera" che personalmente trovo ... vabbè diciamo inappropriati per usare un eufemismo, chiudo provvisoriamente il topic in attesa della decisione comune dello staff.

    Bosone evita in futuro queste sparate.
     
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    Modificato il titolo, rendendolo identico a quello dell'articolo originale di Claudio Tecchio che potete trovare QUI www.dossiertibet.it/mission/liberta...ocrazia-la-cina
    Non ho trovato nessun riferimento al titolo originale ("Free Tibet?!?! Free violence !!!") che mettesse in relazione lo scritto di Tecchio con quell'indicazione.

    Escludo la violenza quale metodo di lotta politica, è una mia convinzione ma credo valga per tutti. Ne abbiamo avuto fin troppa evidenza.
     
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  6. ILSamsaraman
     
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    CITAZIONE
    Sul "free violence" personalmente non sono d'accordo dicevo, anche se ritengo inevitabile l'uso della violenza in certi casi ed in certi periodi. In Tibet si sta consumando una tragedia. Credo che un forum sia un luogo dove renderne testimonianza, dove rendere testimonianza alle vittime alla sofferenza, determinazione, sacrificio personale ed estremo di queste persone.

    CITAZIONE
    Escludo la violenza quale metodo di lotta politica, è una mia convinzione ma credo valga per tutti. Ne abbiamo avuto fin troppa evidenza.

    Ecco invece due ottimi spunti di discussione in generale, che fortunatamente il nostro warm ci dà la possibilità di sviluppare ulteriormente.

    La prima frase, perché mi ispira il timore che suscita un argomento quando diventa taboo.

    In questa particolare circostanza, intendo taboo qualcosa che non si mette in dubbio perché presentato in maniera così suscettibile di emozioni che ogni critica ad esso viene percepita come scomoda. Un taboo è un'idea molto pericolosa, perché qualcosa che non può essere criticato, non solo nel senso comune di "biasimato" ma anche in quello più degno di "indagato scrupolosamente", rischia di diventare per molte persone qualcosa di vero in assoluto, molto simile all'ennesimo Dio, per cui spendersi in maniera fanatica, da paladini duri e puri. La coltivazione del dubbio è lo stimolo per la ricerca intellettuale di ogni tipo ed è ciò che fa crescere ogni tipo di progresso culturale. Negare il dubbio anche nelle circostanze più delicate equivale ad un offesa alla nostra intelligenza.

    Sfortunatamente esistono mille argomenti, nel tam tam delle discussioni pubbliche, che rientrano in questa categoria; molti oggetti di discussione che riguardano alcuni argomenti non possono essere toccati se non a costo di molta circospezione. Visto il primo messaggio, la lotta per l'indipendenza del Tibet contro la Cina rischia di diventare uno tra quelli.
    Uno scrittore famoso aveva paragonato la politica ad una ruota che avanza sul sangue degli uomini, e sfortunatamente non esistono le condizioni perché, almeno nei confronti di affari di geopolitica internazionale, questo "Grande Gioco" sia diverso da quello che è; un gioco compiuto da uomini che combattono, prevaricandosi a vicenda con una violenza atroce, ed è molto difficile che in questo gioco vi siano persone virtuose in assoluto, più che posizioni per cui spesso è legittimo lottare.

    Nella fattispecie: la dittatura cinese avrebbe torto, dal nostro democraticissimo punto di vista, a reprimere con il sangue un'opposizione presentataci come pacifica che combatte per la legittima motivazione di un'indipendenza. Dall'altra parte però sono stati sollevati dubbi circa la natura di detta opposizione. Chi ha detto che chi combatte per l'indipendenza e - pare - una maggiore democrazia sia meglio di chi la sopprime? Noi che cosa conosciamo veramente di chi lotta per l'indipendenza? Diverse testimonianze vagheggiano invece di una schiera multiforme, a volte portatrice di un nazionalismo intollerante, che rimpiange una teocrazia che noi definiremmo autoritaria e liberticida. Se questo fosse vero, l'autodeterminazione dei tibetani sarebbe davvero da mettere al primo posto?

    Se assumessimo che una posizione può essere legittimata dal dolore che provoca in noi la sofferenza delle sue vittime, rischieremmo di non farci queste domande e di prendere posizioni avventate, fidandoci più che di un'onesta ricerca di un fotoromanzo, fornitoci da un'opinione pubblica in cui, per molteplici interessi, una posizione vale più di un altra.

    Altri esempi? Nel caso della recente guerra in Libia, i giornali che generalmente leggo spendono fior di apprezzamenti nei confronti degli eroici ribelli che lottano al fianco dell'esercito francese contro il dittatore Gheddafi, dandoci la sensazione che in quella lotta sia chi alza bandiera senussa ad aver ragione. E spesso non si fa caso al fatto che i movimenti dietro alle proteste contro il dittatore possano essere ispirati da posizioni monarchiche non tanto più liberali di quelle dei lealisti della Jahmarriya, e che molto spesso si sente, anche da fonti note per il loro allineamento all'opinione pubblica di maggioranza - a me è capitato su MTV - il tal ribelle affermare che lotta per una "nazione islamica". Che potrebbe essere qualcosa di simile all'attuale Iran. Quindi avremmo davanti forze che combattono uno stato che non ci piace per fondarne un altro forse peggiore. Quali le conclusioni?
    Se non avessimo criticato il problema, probabilmente non ci porremmo questa domanda.

    La pratica buddhista, secondo le mie conoscenze lo Zen, ci esorta a non lasciar prevalere il nostro Ego non solamente seduti su un cuscino, ma in ogni ambito della nostra vita quotidiana, da quello più fisico a quello più astratto. Tapparsi le orecchie di fronte alle opinioni che non amiamo, rispondere con stizza alle provocazioni da che cosa è originato? Cercare di mettere alcuni argomenti al riparo da critiche chi difende? I lama che muoiono o le nostre sicurezze?

    In un ambito in cui le astrazioni spesso ci portano fuori luogo, possiamo tutti essere sempre consci da capire la differenza.

    Edited by ILSamsaraman - 10/10/2011, 12:58
     
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  7. yeshe
     
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    Free Tibet?!?! Free violence !!! voleva solo essere un provocatorio titolo segnalante la immane tragedia tibetana, ma non determinare un insensato parallelo tra Tibet e padania, e/o tra mezzi pacifici e mezzi violenti di rivolta: abborisco qualsiasi forma di violenza ma ciò che sta avvenendo in Tibet con la immolazione dei monaci, la repressione feroce a opera del regime Cinese è spaventoso .............cosi come il complice silenzio dei governi ma anche degli individui, rimane solo la possibilità di denuncia dei fatti e una riflessione profonda sulla possibilità effettiva di utilizzare la rabbia e l'avversione per liberarsi ...........scrivo un commento di un lettore all'articolo della Garzilli: La cina è la più ricca nazione del mondo. Il denaro è il perno della società come la conosciamo oggi. La soluzione è sradicare il perno. La via: l’evoluzione individuale..ognuno con il proprio tempo e percorso.
    E per questo da praticante ritengo contrario alla "visione" distruggere il corpo vero mezzo di liberazione, per cui pur comprendendo le ragioni dei giovani ragazzi tibetani che non avendo neppure la possibilità di immaginare un futuro
    invito a manifestare il completo dissenso, sempre in modo pacifico trovate voi i modi e i mezzi, denunciate per cortesia, le continue e persistenti violazioni dei diritti civili, finche il mozzo della ruota del divenire sarà esaurito............siamo animali visionari non facciamo che il futuro sia solo animale.....................

    in prima pagina su di un quotidiano nazionale:
    www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/10...ccaduto/163170/

    da una fonte tibetana in esilio:
    www.phayul.com/news/article.aspx?id...paign+for+Tibet

    da un giornale inglese:
    www.independent.co.uk/news/world/as...rn-2368132.html

    il pensiero e le preghiere del Karmapa Ogyen Gyalwa Trinley Dorje:
    http://globalspin.blogs.time.com/2011/10/0...fiery-protests/
    www.kagyuoffice.org/#HHKarmapaPw

    per chi vuole sottoscrivere:
    http://org2.democracyinaction.org/o/5380/p...action_KEY=1306
    http://org2.democracyinaction.org/o/5380/p...action_KEY=8274
    http://org2.democracyinaction.org/o/5380/p...action_KEY=6257

    comunque violenta:
    A%20severely%20burned%20Phuntsok

     
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    Il provocatorio titolo segnalante la immane tragedia tibetana di per sè non è il problema, il problema è l'interpretazione che se ne può dare (e che ne è stata data) . Grazie per le segnalazioni
     
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  9. ILSamsaraman
     
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    CITAZIONE
    Escludo la violenza quale metodo di lotta politica, è una mia convinzione ma credo valga per tutti. Ne abbiamo avuto fin troppa evidenza.

    La seconda frase è foriera di taboo perché pone in maniera semplicistica un problema secondo me più complesso.
    Perché per me non vale affatto quello che, in teoria, dovrebbe valere per tutti, dato che giustifico la violenza come metodo di lotta politica in alcune circostanze.

    Certamente, in ambiti in cui per noi è possibile agire in completa padronanza della situazione, è facile ed auspicabile che si riesca sempre a trovare una soluzione usando sensibilità ed intelligenza in guisa della forza bruta. Siamo buddhisti, ed è la nostra via.
    Sfortunatamente però esistono ambiti in cui non siamo così padroni di gestire in maniera pacifica i nostri problemi; quando riguardano delle questioni collettive, ci troveremo ad avere a che fare con persone che saranno mosse, forse anche più di noi, dall'avidità e dalla paura, e con le quali sarà molto difficile affrontare nel modo moralmente più opportuno certe circostanze.

    Alcune persone affermano, a ragione, che in un ambiente in cui sia lecito e garantito manifestare liberamente la propria opinione il ricorso alla violenza sia sbagliato ed ottuso, ma in quante situazioni questa libertà ci viene effettivamente garantita?
    Si potrebbero dare molte risposte a questa domanda, ma voglio invitarvi a riflettere in maniera più originale: quanto possiamo noi essere tolleranti verso le idee altrui, anche le più scomode? Quante volte, effettivamente, saremmo felici se i manganelli di un celerino prendessero le nostre parti?
    Ottimo: le persone dall'altra parte potrebbero avere un decimo e forse più della stessa propensione, e saranno mosse probabilmente da maggiore chiusura. Spesso riusciranno ad avere mezzi per infliggere sofferenza. Siamo sicuri che in quelle circostanze la mera parola possa servire sul serio? Ne saremo in grado?
    Altrettanto spesso, ci vengono ricordati esempi di lotta non violenta che hanno portato qualche risultato, ma quanti effettivamente vediamo risolti nella nostra quotidianità? I diritti della popolazione della Val di Susa non verranno fermati da una signora che fa un discorso a dei soldati e dei poliziotti che sanno perfettamente di essere pagati per lo Stato che manda avanti le ruspe, e di lavorare in un'istituzione in cui vengono scoperti sempre più casi di violenze arbitrarie a danni di carcerati duranti gli interrogatori, come Aun San Suu Kyi non riuscirà mai ad aver ragione sulla dittatura militare che le impedisce di raggiungere democraticamente il governo del paese se non riuscirà a coordinare un'azione violenta.

    Intanto un ecosistema viene distrutto e una dittatura militare continua a condannare a morte migliaia di persone. E la parola resta aria.
    Spesso, invece, un'azione violenta ha portato a progressi nella politica di un paese che hanno potuto impedire violenze peggiori; un esempio tra tanti, la dittatura napoleonica, che con una conquista militare appoggiata da varie minoranze nei paesi conquistati portò allo Stato Costituzionale in tutta Europa e alla garanzia di diritti civili in molte parti d'Europa inedite. E potrei continuare.
    Non sempre la violenza è giusta, ma è davvero così assoluto affermare che qualcosa di sbagliato spesso non sia il mezzo più opportuno?
     
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    CITAZIONE (ILSamsaraman @ 10/10/2011, 13:47) 
    [...]
    Non sempre la violenza è giusta, ma è davvero così assoluto affermare che qualcosa di sbagliato spesso non sia il mezzo più opportuno?

    Secondo me la violenza non è mai il mezzo più opportuno, forse però può essere, in casi limite, l'unico rimasto o possibile.
    Concordo sul fatto che definizioni apparentemente assolute su cosa sia giusto, buono ecc. possano suonare false o fallaci se osservate da punti di vista differenti. Tuttavia necessariamente si devono adottare delle linee guida, diciamo così, per disciplinare questo caotico samsara. Smantellare qualunque tipo di regola, di etica e di morale, non mi sembra compatibile con l'attuale livello di evoluzione della razza umana. Alcune cosine basic, tipo: non uccidere, non rubare, non mentire ecc. mi sembrano ancora utili. Quindi, di regola, la violenza sarebbe da evitare. Chiaramente se un criminale minacciasse un bambino con un coltello con l'intenzione di ucciderlo, io mi sentirei autorizzata ad intervenire anche in maniera violenta per salvarlo.
    Difficilmente si può giungere ad una conclusione unica e indiscutibile su certi argomenti se trattati in astratto. Quello che si può valutare, eventualmente, è un fatto, un singolo episodio, e darne quella che sarà comunque un'interpretazione personale, frutto della propria forma mentis. E qui torniamo all'utilità di certe regole nelle quali essere educati e cresciuti.
    Sul discorso Tibet ho sentito varie opinioni. Quelle dei tibetani che ho incontrato personalmente erano tutte a favore dell'autonomia dalla Cina, ma non è che io conosca milioni di tibetani. Sicuramente ci saranno anche quelli che si trovano bene nell'attuale situazione, non dico di no. Ci sono anche dei cinesi che sono in dissenso con il loro stesso Governo.
    I punti di osservazione sono tanti e le possibili opinioni altrettante.
    Resta il fatto evidente, però, che in Tibet si sta provvedendo a far sparire dalla faccia del pianeta un'intera e millenaria cultura e il popolo che la rappresenta.

     
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  11. zimanu
     
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    argomento spinoso

    e tutti avete dato degli spunti di riflessione

    io non ho un'opinione "decisa" su queste questioni, solo pensieri sparsi

    quando ero giovane ho vissuto prima il '77 e poi gli anni di piombo (personalmente non ho mai tirato neanche un sassolino, figuriamoci una motolov): ci sembrava che stessimo cambiando il mondo, e ci sono stati molti morti, da tutte le parti.
    a distanza di 30 anni stiamo peggio di prima (a livello economico, sociale, politico e culturale) e quella violenza - all'epoca ritenuta "necessaria" - non si è rivelata affatto utile.

    sempre in quegli anni facevano il "tifo" per tutte le lotte d'indipendenza dei popoli, compresi irlandesi e baschi: ma anche gli indipendentisti, pur avendo delle ragioni (per esempio i baschi non potevano parlare la loro lingua ed erano fuori dalla vita economica e politica del loro stesso paese) commettevano atrocità e tra quelle ragioni ne avevano anche di discutibili: per esempio un basco mi disse che loro erano ricchi e produttivi... "perchè dovremmo mantenere il resto della Spagna?" (ricorda un pò l'egosimo dei padani, no?), ad ogni modo, anni e anni di sangue, lotte e repressione e... la situazione ora la conosciamo.

    inoltre mi ha sempre lasciato perplessa l'anelito all'indipendenza di popoli che spesso popoli non sono: esiste il popolo padano? o il popolo basco?
    per quanto mi riguarda esiste solo il popolo umano, e invece che aspirare all'indipendenza e all'isolamento sarebbe più giusto aspirare all'interdipendenza.

    c'erano due disegnatori satirici, Disegni a Caviglia (chi ha la mia età forse li ricorda), che fecero una striscia sul Male
    all'epoca della Yugoslavia: prendevano in giro la tendenza di quel periodo alla frammentazione di stati e paesi, in sintesi dicevano che avremmo finito per avere le lotte di indipendenza dei condomini

    c'è comunque la questione delle dittature o dei governi oppressori
    e credo che sia giusto lottare per "liberarsi" e liberare
    senza la lotta partigiana e senza le truppe sovietiche (che poi hanno oppresso a loro volta) o senza l'intervento degli alleati americani (che poi hanno fatto molte guerre sporche in sudamerica e non solo) il nazifascismo non sarebbe caduto o lo avrebbe fatto molto dopo.

    e poi c'è il discorso che spesso molte lotte "giuste" sono appoggiate, foraggiate e strumentalizzate da terzi che hanno obiettivi e scopi non proprio democratici.

    e ci sono "liberatori" che si presentano come tali mentre vogliono semplicemente, non liberare dalla dittatura e dall'oppressione, ma semplicemente prendere il posto del dittatore e dell'oppressore.

    non sto entrando nello specifico della questione tibetana sto semplicemente cercando di esprimere e condividere i miei dubbi sulle ragioni e sulla effettiva utilità - anche a lungo termine - della violenza nelle lotte di resistenza e "liberazione".

    domandona: c'è un'alternativa efficace? forse si

    :;namaste:
     
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    Buddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centriBuddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centriBuddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centriBuddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centriBuddhismo, Buddhadharma, Buddha, Zen, Dzogchen, Soen, meditazione, Mahayana, Vaijrayana, Theravada, sesshin, ritiri, centri

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    Perché per me non vale affatto quello che, in teoria, dovrebbe valere per tutti, dato che giustifico la violenza come metodo di lotta politica in alcune circostanze.

    Scusami, non volevo affermare che qualcosa di cui sono convinto dovrebbe valere anche per altri, la mia è stata una frase inopportuna.
    Era dare per scontata una cosa che evidentemente così scontata non è.

    CITAZIONE
    Non sempre la violenza è giusta, ma è davvero così assoluto affermare che qualcosa di sbagliato spesso non sia il mezzo più opportuno?

    Esprimo una mia opinione.
    Opportuno non vuol dire giusto.
    La violenza non è MAI giusta.
    Perchè la violenza implica che ci siano vincitori e vinti, potenti ed oppressi e non prevale chi "ha ragione" ma chi in quel momento è più forte. Dopo te la racconta come vuole. E anche il concetto di ragione e torto è un concetto, un opinione.
    Questo non vuol dire che in quel momento occorra difendersi anche in modo violento, ma che c'entra?
    La guerra non è MAI giusta.
    Non vorrei MAI che un celerino mi desse ragione col manganello, MAI.
    Non ho la cultura per fare grandi discorsi, ma che ragionamento è? Sento lesi i miei diritti? certo che li difendo. Difendere con la violenza, usare la violenza può far parte della nostra lotta, ma è SEMPRE sofferenza, dolore, sconfitta, anche se si prevale.
    Se non la smettiamo di ragionare per opportunità ma iniziamo a recuperare l'ideale cui magari i nostri padri sapevano dare nella loro ignoranza vita e calore, siamo messi male.
    Se non guardiamo un po' avanti ma solo alla punta del nostro naso, andremo sempre a sbattere.
    E' un mondo strano: se dici la tua opinione ti danno del buonista, moralista, baciapile .... se dici "io non lo farei", anche se poi aggiungi "certo bisogna esserci in quel momento per poterne essere certi", a volte ti danno dell'ipocrita. L'importante è ragionare alla moda, e se non sei un po' così, cinico, distaccato, moderno, allora sei "fuori tempo", non so come dire. Me ne frega un po' niente.
    Personalmente sono contro la violenza in ogni sua forma. Certamente questa è una prospettiva, soprattutto non è una affermazione applicabile ora in modo completo e coerente (almeno io non ne ho capacità e forza), ma è comunque l'obiettivo, la meta, appunto la prospettiva.



     
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  13. yeshe
     
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    Le reazioni del governo tibetano in esilio:

    www.thetibetpost.com/en/news/intern...ak-out-on-tibet

    www.thetibetpost.com/en/news/exile/...s-china-of-spin

    www.thetibetpost.com/en/news/exile/...lks-with-china-

    le reazioni dei tibetani in esilio:
    ANIM22
    http://tibettruth.com/2011/10/09/tibetan-s...-delhi-embassy/

    e in Italia:


    MILANO: SABATO 15 OTTOBRE FIACCOLATA IN SEGNO DI SOLIDARIETÀ CON I MARTIRI TIBETANI

    13 ottobre 2011. La Comunità Tibetana in Italia ha indetto per sabato 15 ottobre, alle ore 17.00, in Piazza della Scala, a Milano, una fiaccolata in segno di solidarietà con i sette religiosi immolatisi a Ngaba. Pubblichiamo, di seguito, l'invito della Comunità Tibetana a partecipare alla manifestazione.
    Cari amici del Tibet, la notizia delle recenti immolazioni di monaci tibetani, a Ngaba, nel Tibet orientale, ci ha profondamente rattristati. A partire dal mese di marzo 2011, ben sette religiosi si sono immolati dandosi fuoco. È un evidente segnale che la violenta repressione posta in atto dalle autorità cinesi a Ngaba e nel monastero di Kirti è diventata davvero insopportabile. Vi invitiamo a unirvi a noi partecipando alla manifestazione "Accendi una Candela per i Martiri Tibetani" che si terrà il giorno 15 ottobre, alle ore 17.00, a Milano, in Piazza della Scala, di fronte all'omonimo Teatro, per ricordare il coraggioso sacrificio dei tibetani all'interno del Tibet.


    VI ASPETTIAMO IN PIAZZA DELLA SCALA IL 15 OTTOBRE!

    PER FAVORE, DIFFONDETE QUESTA NOTIZIA.


    La Comunità Tibetana in Italia


    Manifestazioni di solidarietà sono state indette anche in India. Il 12 ottobre, nel corso di una conferenza stampa congiunta con Pempa Tsering, il presidente del Parlamento tibetano, il Primo Ministro dell'Amministrazione Tibetana Lobsang Sangay ha chiesto l'intervento della comunità internazionale e ha annunciato una serie di massicce manifestazioni di sostegno ai gesti eroici dei tibetani in Tibet e a quanti sono stati privati della libertà "per aver parlato a favore dei diritti del popolo tibetano".

    I parlamentari tibetani sono stati chiamati a una giornata di digiuno, il 18 ottobre, a New Delhi. La capitale indiana sarà inoltre teatro di una manifestazione di digiuno di tre giorni, dal 19 al 21 ottobre, alla quale sono sollecitati a prendere parte tutti i tibetani residenti in India, Nepal e Buthan. "In considerazione della legge marziale di fatto esistente in Tibet, ci aspettiamo che convergano a Delhi almeno tremila tibetani", ha dichiarato Pempa Tsering.
     
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  14. dhammayodha
     
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    La lettera del Tecchio è palesemente faziosa e quindi da prendere con le molle, come tutto ciò che essendo di parte omette di raccontare il resto della storia, di mostrare l'altra faccia della medaglia o delle medaglie..

    un esempio:

    CITAZIONE
    puntella il regime maoista in Nepal,

    Il governo della Repubblica del Nepal è stato eletto democraticamente nel 2006; in quelle elezioni il Mao Party si aggiudicò la maggioranza relativa ed elesse il suo leader Prachanda a capo del governo; dopo 10 mesi Prachanda si dimise per dissidi con la presidenza della repubblica, ed al suo posto vene messo il leader del Partito comunista (marxista leninista) di posizioni più moderate rispetto al Mao Party, seguito da un altro esponente dello stesso partito; recentemente anche quest'ultimo si è dimesso ed al suo posto è arrivato il dr. Bhattarai, l'ideologo del Mao Party, capo di un governo di coalizione con altri partiti non comunisti. il Nepal è una democrazia molto instabile,dove si cambiano i primi ministri ogni tre per due ( a differenza del governo italiano), ma non un regime.
    forse sarebbe meglio se alla Cisl incominciassero a pensare ai problemi dei lavoratori italiani....

    CITAZIONE
    La Cina è la nuova e rampante potenza coloniale che ha già ripreso ( senza colpo ferire!) il controllo di Hong Kong e Macao

    Era nell'accordo siglato con i colonizzatori portoghesi che Macao ed H.K. tornassero alla Cina, e peraltro Macao era territorio Cinese occupato dai colonizzatori portoghesi, così come Hong Khong, e non una nazione sovrana e libera. Com'é che quando stanno dalla nostra parte i colonizzatori non sono considerati tali e quando invece stanno dalla parte opposta della barricata si? ^_^
     
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  15. yeshe
     
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    J.NORBU:IGNITING THE EMBERS OF INDEPENDENCE

    In mid-December last year, Mohamed Bouazizi, a humble Tunisian street-vendor of fruits and vegetables, set himself on fire to protest the confiscation of his produce and the daily harassment and humiliation inflicted on him by police and local officials.His act set of demonstrations and riots throughout Tunisia which intensified following Bouazizi’s death on January 4, leading the authoritarian regime and its leader to flee the country after 23 years of repressive and corrupt rule.This and the events that followed, called the “Jasmine Revolution” or the “Arab Spring”, resulted in a peaceful revolution in Egypt, an armed uprising in Libya (resulting in the fall of its dictator), civil uprisings in Bahrain, Syria, and Yemen, and protests in Israel, Algeria, Iraq, Jordan, Morocco, Oman and elsewhere, that have yet to run their courses.

    Just this year, in Tibet, starting twelve days after the death of Mohamed Bouazizi, we have had eight self-immolations – so far. And there are unsettling rumors of more to come. The latest happened after I had actually finished writing this post and late last night was doing some rewrites before forwarding it to other blog-sites and web-journals. This gave me the opportunity to put in the necessary addition – but the immediacy of it was unsettling. On October 15, 11.50 local time, a former monk of Kirti monastery Norbu Damdul set himself on fire in the central town of Ngaba. “Engulfed in flames, Norbu Damdul raised slogans demanding ‘Complete Independence for Tibet’ and ‘Return of His Holiness the Dalai Lama to Tibet’”.

    Two self-immolations took place a week ago, on October 7th “At around 11.30 am Tibet time today, Choephel age 19 and Khayang 18, monks of Kirti monastery, set themselves ablaze in the central town of Ngaba district”. “Eyewitnesses have told sources in exile that as were engulfed in flames they called for Tibetans to unite and rise up against the Chinese regime and raised slogans for Tibet’s freedom and the return of the Dalai Lama from exile.”

    Three days before that, on October 3 at around 2 pm local time, a very young novice monk “Kesang Wangchuk walked out onto the main street of Ngaba town holding a photo of the Dalai Lama and shouting slogans protesting Chinese rule over Tibet. He then set himself ablaze.”

    Last month, on September 26, two teenage monks of Kirti Monastery, Lobsang Kalsang, and Lobsang Kunchok, both around 18 years of age “set themselves on fire in an anti-China protest in the central town of Ngaba. Their whereabouts and condition are not yet known.”

    The month before, on August 18, in A Tibetan monk, 29-year old Tsewang Norbu, a monk from Nyitso monastery in Tawu, died after setting fire to himself and calling for “freedom of worship, freedom and independence for Tibet, and the return of the Dalai Lama to Tibet”.

    At the beginning of this year on March 16, afternoon, Phuntsog, a 16-year-old monk at Kirti monastery set himself on fire.

    Readers should be reminded that two years earlier in February 27, 2009, A Kirti monk called Tapey was shot by police when he set himself on fire on. The police immediately took him away. He is said to have survived but his whereabouts are unknown.

    All reports and comments in the exile Tibetan world have stressed the “tragic”, “terrible” “heartbreaking” and “desperate” aspects of these actions. Calls for international condemnation and UN intervention have been made by various political and activist organizations as well as foreign support groups. A number of demonstrations, vigils and hunger-strikes have taken place. Some concerns have been expressed that more self-immolations could happen and that a way to prevent or at least discourage such actions should be sought.

    All these statements and acts of concern and support have been tremendous, and in fact such responses are crucial to making the world take notice of what is happening in Tibet. They only become somewhat misguided, even unconsciously condescending, if supporters fail to overcome their first natural reaction of dismay and horror, and are unable to view the sacrifices of the monks in the way that those young men wanted them to be seen: as calls to action for the cause of a free and independent Tibet. It is also counterproductive if the actions of these young men are misinterpreted as merely a call for human rights, religious freedom or even “autonomy” within the PRC as has been most bizarrely reported in the British paper, The Independent.

    There can be no doubt that the men acted not out of despair, not because they could not go on living any longer, and not because they thought it was all over for the Tibetan freedom struggle. The reports on the immolations have been sketchy but what is clear is that they are all clear acts of political protest against Chinese rule in Tibet, with slogans calling for “Tibetan freedom and independence” (bhod rawang-rangzen) for Tibet and the return of the Dalai Lama to Tibet. The last demand must also be understood in its proper historical and political context, since the Dalai Lama has always been regarded, first and foremost, as the sovereign ruler of independent Tibet, not only by those who acknowledge him as their spiritual leader, but by Tibetans from other Buddhist sects, by Bonpos, Tibetan Muslims and Christians who have their own distinct spiritual leaders.

    It is more than likely that the young men were inspired, as were nearly everyone in the Tibetan world then, by the sacrifice of Thupten Ngodup, former paratrooper and one of the liberators of Bangladesh, who set himself on fire in April 1998. He did it stone cold. He was fit and healthy, of cheerful disposition, with no money problems, and living in a free country, in a small meditation hut surrounded by flowers. But he did it for bhod rawang-rangzen, for Tibetan freedom and independence.

    The eight young men must also have heard or read of Mohammed Buazizi, especially after Chinese bloggers and activists, at the beginning of this year, spread the news of the Arab Spring throughout the PRC and began calling on the Chinese people to start their own Jasmine Revolution. Fifteen foreign journalists were arrested on 6th March, in “the biggest showdown between Chinese authorities and foreign media in more than two decades.” This call for revolution spread to about thirteen cities (as well as Hong Kong and Taiwan) and definitely alarmed the China’s leaders. The Atlantic quoted Hilary Clinton: “They’re worried, and they are trying to stop history, which is a fool’s errand. They cannot do it. But they’re going to hold it off as long as possible.” The New York Times reported that Beijing police had banned the sale of jasmine flowers at various flower markets, causing wholesale prices to collapse. Subsequently thirty-five prominent human rights activists arrested, the highest-profile arrest being that of the courageous and amazing protean artist Ai Weiwei.

    The self-immolations of the eight young monks were revolutionary acts of ultimate sacrifice to rouse the Tibetan people to action, in much the way as Mohammed Buazizi’s self-immolation, woke up the oppressed people of the Middle East from many many decades of fear, apathy, cynicism and weariness – and goaded them to overthrow their dictators, supreme leaders and presidents-for-life.

    A New Leadership

    These revolutionary acts taking place in Tibet this year, and from 2008 onwards, seems to indicate that the direction of the Tibetan struggle is now definitely coming from inside Tibet. I mean the “direction” of the freedom struggle, not the leadership of the refugee community for which there is now a non-governmental administration to replace the earlier Tibetan government in exile – probably the longest running-exile government of the Cold War period, in a manner of speaking, while it existed.

    Exile governments in the Cold War era have had a fairly dismal record of returning to liberate the countries they had earlier been forced to flee, even when most of these governments were recognized and supported by such great powers as USA and Britain. Poland maintained an exile government in London during World War II and later the Soviet occupation, but it was only the long civil resistance movement of Solidarność (Solidarity), the independent trade-union movement within Poland that freed the country from the Soviet yoke in 1990.

    The Czechs also had an exile government in London during the war, which returned to Czechoslovakia in 1945, but the country was effectively absorbed into the Soviet block, especially after ‘68 when Russian tanks rolled into Prague. Czechoslovakia only became free in December 1989, entirely through the efforts and sacrifice of the Czech people in Czechoslovakia through the “Velvet Revolution” (sametová revoluce).

    Under Soviet occupation the Baltic States asserted their independence largely through independent diplomatic representations. Lithuania had consulates in Chicago and Rome, while the Latvian Diplomatic Service maintained representation of independent Latvia in their offices in New York and London. Only Estonia had an exile government in Sweden from 1953 to 1992 (and a consulate in New York). But freedom came to the Baltic state entirely through indigenous campaigns of civil resistance in the late 1980s, one being “The Singing Revolution.” A documentary film (now on DVD) with that title was released in 2007 and is required viewing for all Tibetan activists. The most spectacular (literally) and best-known of these campaigns was the “Baltic Chain” (or the Chain of Freedom) a peaceful political demonstration that occurred on August 23, 1989. Approximately two million people joined hands to form a human chain spanning over 600 kilometers across the three Baltic states. Such symbolic yet powerful actions not only brought about the freedom of these ancient nations but directly contributed to the dissolution of the Soviet Union.

    What is striking about all these successful revolutions is that exile governments in no way brought about, or even seem to have contributed to, the civil uprisings that eventually liberated these countries. Freedom came to the people of these occupied nations through their own effort, courage and sacrifice. Of course, these struggles benefited from the major geopolitical shifts that occurred throughout the world in the eighties and nineties.

    I’m dredging up these accounts of freedom struggles and exile governments, since our own Tibetan government-in-exile pulled the plug on itself this summer. Many acquaintances of mine, former officials and Rangzen activists were deeply shocked and troubled by the Dalai Lama’s decision to end the exile government and substitute it with a kind of NGO. There was even concern and alarm that the Tibetan issue, the cause of Tibetan freedom itself, might have been fatally harmed, because of the crisis in Dharamshala.

    Of course in the first decade or so of our exile the exile government was truly indispensable, not just for the freedom struggle or the preservation of Tibetan culture, but for us to just hang on to a bare-bones identity. In spite of the internal wrangling, that I have written about before, there can be no doubt that the exile government did an amazing job in the first couple of decades after March 1959. I started working full-time for the exile government in 1968, though I worked as a volunteer teacher a few years earlier, during my school winter vacations. I was really surprised and impressed by the organization of the exile government and the dedication of its officials. I hope one day to put together as full an account of how the first Tibetan refugees overcame so many formidable obstacles to set up the exile government, and – why (over time) this government gave up its core mission, and became an organization whose sole apparent purpose appears to be to perpetuate itself, in regressively more ignominious and farcical ways.

    In the last piece I wrote in this blog, Ending to Begin, I argued for the Dalai Lama retaining a symbolic role as head of state of the Tibetan nation, and condemned the downgrading of the exile government to the role of an NGO. I did not clearly see then that not only had the political life-span of the exile government run its natural course, but that the perhaps the resignation of the Dalai Lama and the ending of the government-in-exile was a timely event.

    If we cast our minds back to the revolutionary events of 2008, the year when Lhasa was in flames, I am sure we can recall the thousands of Tibetan throughout the plateau rushing out of their monasteries, homes and tents, riding their horses down the mountainsides, all waving the national flag and all calling for Tibetan freedom and independence. We also surely remember the five major exile organization that united to create the People’s Uprising Movement and launched the peace march to Tibet. Exile Tibetans (and friends) world-over staged enormous adrenalin charged protests and “creative action campaigns” supporting the Tibet uprisings and opposing the Beijing Olympics and the Torch Relay.

    What we may have subliminally blocked out of our memory is the Dalai Lama’s statement that he would resign because Tibetans in Lhasa had rioted. We might have also forgotten the Dalai Lama ordering the five organizations to halt their march to Tibet, and prime-minister Samdong Rimpoche creating “Solidarity Committees” to take over the protest organizations to emasculate them and stop demonstrators from burning Chinese flags or shouting slogans as “Free Tibet” or “China Out of Tibet.” A few years earlier Samdong Rinpoche had forbidden Tibetans from demonstrating against Chinese leaders visiting the USA. Could all the events of 2008 led to something bigger? I clearly remember they were extraordinary in their sweep and energy. There was a definite feel of new beginnings and radical possibilities. But we will never know now, will we? Dharamshala, exercising the usual spiritual and emotional blackmail, gradually let the air out of everyone’s hope and high-spirits, and concluded that year with an orgy of collective hypocrisy and sycophancy that was also called the November Special Meeting.

    My biggest fear, my secret nightmare, is also rooted in my one lifelong dream. My dream is that in the not too distant future during an economic downturn in China, concurrently with some major internal conflict (even a revolution), rangzen uprisings will break out all over Tibet (and possibly Turkestan or Mongolia) and a real opportunity to seize Tibetan independence will finally come our way. This scenario is not as fanciful as it appears. It has happened before, in its entirety, in 1912.

    But then my nightmare takes over. In the not too distant future, when the revolution happens, the Tibetan leadership, “persuaded” by its sponsors in the West who want to keep the Chinese economy afloat so their investment portfolios don’t take a hit, declare that Tibet is a part of the PRC and that Tibetans have no other aspiration except to be loyal citizens of the PRC. Pretty much what they are saying right now. A desperate China might even throw Dharamshala a bone and allow another delegation (the 23rd ?) to visit Beijing or even allow the Dalai Lama a visit to Mt. Wutaishan (riwo-tsenga). But it would kill the revolution stone-dead.

    This time around the Dalai Lama has not made any direct statement about the self-immolations, and the exile-administration has not called for it to be stopped. I am grateful for this reprieve, but I’m not holding my breath. Yet perhaps, finally, the leadership of the struggle has truly passed on to those willing to die for it.

    The Way Forward

    The way forward for those of us in exile who believe in Rangzen is to connect with our brothers and sisters in Tibet, and find a way to contribute to the coming revolution. And we have a definite role to play, the same way that many young Arabs who had lived or had studied in the USA or Europe joined the uprisings in Tunisia, Egypt and Libya and provided the communication, medical, media and other skills that enabled the success of the Arab Spring.

    We cannot go into all that now. It will have to be deliberated thoroughly in a forum of those committed to rangzen. I am confident this will happen soon. That said, there is some outstanding business that must be taken care of right now, here in this post. Our first task is to send a message to the people in Tibet. They have definitely heard of the resignation of the Dalai Lama and the closure of the exile government. Many must be confused and some have no doubt concluded that exiles have given up the cause. So we must send them a message, very clearly and very loudly, that whatever the mixed messages from Dharamshala, the rangzen struggle goes on, world over, and that it has become profoundly inspired and energized by the courage, commitment and sacrifice of so many inside Tibet. A most fitting moment and occasion to send this message would be the 10th March commemoration in 1912. This coming March will be particularly significant as it marks exactly 100 years when we rose up against the Chinese empire and created a free and independent Tibet.

    On February 1912 revolution broke out in China. Chinese troops in Tibet went on a looting spree and terrorized the population of Lhasa city. The great historian Shakabpa tell us that the 13th Dalai Lama, in exile in Darjeeling, sent two of his officials Jampa Tendar and Trimon Norbu Wangyal, to Lhasa to take charge of the resistance. On the 26th of March they declared war on the Chinese and fierce fighting broke out throughout the city. After nearly a year of hard and brutal fighting, the Chinese troops surrendered and were deported to China, via India. The 13th Dalai Lama entered a free Tibet the next year.

    This coming March 10th, 2012, all Tibetans and friends should gather together in super demonstration/commemoration/festival events, like we have never had before. These gatherings should be so enormous, expressive, innovative, and attention-getting, that the world, but far more important, our brothers and sisters in Tibet will hear our collective refrain (ramgyo) to the message of revolution, freedom and independence they have sent us from over the high mountains and grasslands of Tibet. The message they have sent us all these years through their songs, poems, writings, demonstrations and flag-raisings; and also through their tears, their pain, their devastated lives and fiery sacrifices. The fires that were lit in Delhi, Kirti and Kanze have died down now, but to paraphrase His Holiness “…the flame of truth will never be fully extinguished”, and it is for us to guard and nurture these precious burning embers of truth, freedom and independence till the moment comes, and soon, when we can re-ignite them brightly in the hearts of all our people throughout the entire Tibetan plateau.

    By Jamyang Norbu

    Sunday, October 16, 2011
     
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348 replies since 8/10/2011, 09:45   19028 views
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