La pratica del Chöd nelle Tradizioni Bön

di Alejandro Chaoul

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  1. gbaba
     
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    Penso che il Chöd possa essere incluso tra le pratiche appartenenti al cosiddetto “Culto della Morte”, come definito da alcuni studiosi moderni, e raggruppate genericamente dai praticanti nel termine sanscrito di “Smashan sadhana”. Lo stesso Buddha le chiamava “le pratiche che fanno rizzare i capelli.” Quantunque le prove testuali dell’esistenza di queste pratiche risalgano a un periodo attorno ai primi secoli dell’era cristiana, è ipotizzato da molti che queste in realtà rimandino a un’epoca molto precedente, e forse a un arcaico sostrato asiatico. Gli spaventosi Vratya vedici, gli Sramana non-brahmanici (Buddhisti, Jain, Ājīvika ecc.), e i culti non-vedici (dravidici) di tipo shivaita e shakta, tutti praticavano qualche forma del Culto della Morte. Queste pratiche includono numerose tecniche, applicate anche in modo diverso e che vanno dalla semplice meditazione sull’impermanenza, alla cospersione del corpo con le ceneri, fino a pratiche estreme e scioccanti come quelle di tipo Kāpālika come la shava-sadhana, la kapala-sadhana ecc. Elementi esteriori comuni tra le pratiche Chöd del Tibet e quelle indiane del Culto della Morte sono il Damaru (lo speciale tamburello doppio), gli utensili di ossa umane o animali, l’uso di pelli di animali, l’ambientazione, e il pubblico invisibile e terrificante composto di Demoni, Dakini, Dei e Dee del luogo di cremazione o smembramento.




    La pratica del Chöd nelle Tradizioni Bön
    di Alejandro Chaoul




    Chöd: L’offerta del proprio corpo

    “Nella Tradizione Bön tutte le pratiche, indipendentemente dal fatto che siano pertinenti a Sūtra, Tantra, o Dzogchen, conducono alla via della liberazione. Il Chöd, ad ogni modo, è un metodo speciale con caratteristiche particolari per raggiungere questa finalità. Sebbene il Chöd sia comune al Bön tibetano e alle scuole Buddhiste, le basi originarie di questa pratica nelle due tradizioni sono abbastanza diverse. La pratica Chöd, secondo la tradizione buddhista, si dice sia originalmente basata su Prajñāpāramitā Sūtra mentre quella del Bön Tibetano deriva da pratiche tantriche. Comunque, in entrambe le tradizioni, la pratica Chöd è eseguita in un modo che ha più attinenza con i Tantra che con i Sūtra, e in entrambe le tradizioni è conosciuta come una pratica molto efficace e potente che porta al praticante una forte esperienza di profonda generosità come pure alla liberazione dal Samsara.”

    Yongdzin Lopon Tenzin Namdak


    Chöd è una pratica meditativa che non si svolge mentre si è tranquillamente seduti su un cuscino confortevole in una stanza ma piuttosto praticata di proposito in luoghi spaventosi, come i cimiteri e i campi crematori. Questo porta un sentimento di paura che è poi usato dal chöpa (il/la praticante del Chöd) per recidere il suo ego. Cantando, danzando, e suonando speciali strumenti ricavati da ossa, il praticante del Chöd visualizza lo smembramento, la cottura, e infine l’offerta del proprio corpo come parte del banchetto per un’assemblea di esseri illuminati e non, come i protettori e ogni tipo di essere senziente. Persino i demoni e gli spiriti sono invitati e nutriti! Tradizionalmente il chöpa è vestito di pelli di animale e usa strumenti di ossa vere, animali e umane, come la trombetta ricavata da un femore (kang gling). L’ambiente spaventoso e l’abbigliamento aumentano il sentimento di paura nel praticante, ed è precisamente quel sentimento e l’attaccamento al corpo che è “reciso” nel visualizzare il taglio e l’offerta del proprio corpo.

    Quando il chöpa è stato ben addestrato in un luogo tranquillo, egli è pronto a eseguire la pratica in un luogo terrifico. Il “dramma mistico, interpretato da un unico attore umano, assistito da numerosi esseri spirituali, visualizzati, o immaginati, presenti come risposta alle sue invocazioni magiche”, allora ha inizio. Soffiando nella trombetta di femore, chiama tutti gli spiriti invitandoli alla festa, e con l’aiuto del tamburo (damaru) e della campanella, il chöpa rimane nello stato di non dualità del vuoto e dell’apparenza. In questo stato meditativo, espelle la sua consapevolezza dal corpo (cuore), la coscienza diventa una divinità, solitamente femminile, e il corpo, un cadavere (salma) con cui gli invitati festeggeranno. La divinità recide il cranio e quindi riduce il corpo in pezzi, mettendo la carne, il sangue, e le ossa dentro il cranio, che diventa un calderone. A fuoco lento, la carne, il sangue e le ossa diventano nettare che soddisfa ogni desiderio degli ospiti illuminati e non. Nessuno deve essere escluso; per questo, dopo quest’offerta – usualmente chiamata la “festa bianca” – una “festa rossa” ha luogo, dove solamente carne cruda, sangue, e ossa sono offerte agli invitati più “carnivori”, un modo che ricorda sia i sacrifici animali sia il modello Tibetano di “sepoltura celeste”, in cui un corpo è smembrato per essere consumato dagli avvoltoi.
    Queste offerte sono infinite poiché devono essere sufficienti, senza importanza per il numero degli intervenuti o di quanto vorace sia il loro appetito, e sono infinite poiché si trasformano in ciò che l’ospite desidera. Alla fine, il chöpa avverte che tutti i desideri di ogni ospite sono stati soddisfatti, sia in quantità sia in qualità, e che tutto quanto era possibile donare è stato offerto: “La liberazione fisica è fusa con l’indebitamento etico.” In altre parole, il chöpa non persegue solamente la propria liberazione ma cerca di liberare tutti gli esseri senzienti (p.e. l’altruistico intento bodhichitta).

    Questa pratica altamente sensoriale è basata su testi religiosi appartenenti principalmente alle tradizioni tibetane dei Nyngma, dei Kagyu e dei Bön. Tra i tibetani il suo status è ambiguo. Molte volte il rituale è eseguito per curare malattie, allontanare la grandine, e così via, nella credenza che, come Snellgrove scrive, “nemici, influenze e ostacoli avversi, sono rilasciati quando il circolo delle offerte” diventa purificato. I famosi Blue Annals riportano di chöpa che guarivano la lebbra, creavano o allontanavano tempeste, curavano le malattie come la tubercolosi, e persino che “molti cechi e sordi erano sanati al momento.”
    Ad ogni modo, molti oggi ritengono che alcuni di questi chöpa non siano veri praticanti ma solamente “interpreti” che hanno imparato (e qualche volta neppure tanto bene) la parte esteriore del rituale, costituita dal cantare e dal suonare il tamburo e la campanella. Inoltre non solamente si ritiene che questi interpreti travisino lo scopo, il proposito della pratica, ma è persino più desolante che essi chiedano soldi per queste rappresentazioni.

    Sebbene il Chöd appaia in alcuni curricula monastici nella tradizione Bön, è solamente per i pochi che seguono essenzialmente un percorso meditativo, dove i partecipanti della corrente principale della scuola monastica non hanno neppure il permesso di suonare il tamburo, eccetto le riunioni di preghiera, la quale mai include la pratica del Chöd.
    Pertanto, in un certo modo, il Chöd rimane una pratica marginale, anche se intrigante, per le comunità native tibetane e gli studiosi occidentali. E’ interessante esplorare in che modo questa “strana” e interessante pratica può essere considerata una ricerca religiosa e spirituale.

    Jerome Edou, nel suo Machig Labdron e La Fondazione del Chöd, scrisse: “Abbastanza stranamente, nonostante la grande profusione di lavori accademici sul Buddismo tibetano, non è stato pubblicato un singolo approfondito studio dedicato alla tradizione Chöd, ad eccezione dell’eccellente articolo di Janet Gyatso. La maggior parte dei ricercatori occidentali sono paghi di resoconti approssimativi che spesso riducono l’intero sistema all’offerta del proprio corpo ai demoni, l’aspetto più spettacolare del rito.
    Alcuni libri sono stati pubblicati ma tutti questi lavori puntano al lignaggio originato con Machig Labdron e Padampa Samye. Alcuni di questi autori hanno menzionato la possibilità di trovare questa pratica anche nella tradizione Bön ma nessuno ha compiuto alcuna ricerca estensiva in questa direzione. La maggior parte meramente menziona nomi e generiche classificazioni dei testi Bön Chöd.

    Nel suo articolo Janet Gyatso cita la classificazione dei testi Bön Chöd “in quattro classi corrispondenti alle quattro attività tantriche: pacifica, estesa, potente e adirata”. Comunque, nella sua ricerca sul Chöd all’interno delle tradizioni Bön, Edou pone l’accento su alcuni punti importanti: “Infine, la tradizione Bön possiede i suoi cicli Chöd, alcuni di questi derivano dalla Trasmissione Orale, altri dalle tradizioni dei Tesori Riscoperti (Terma), ma Machig non compare in alcuno dei lignaggi di queste due tradizioni.” Notare che Edou riconosce che la tradizione Bön possiede i propri cicli Chöd e che pone l’accento sulla loro differenziazione dal lignaggio di Machig. Egli enfatizza questa differenza rilevando l’associazione del Chöd Bön con i Tantra più elevati, mentre afferma che il Chöd di Machig deriva dal Sūtra della Conoscenza Trascendente (Prajñāpāramitā Sūtra).

    John Reynolds, nella prefazione alla sua traduzione di “La Risata delle Dakini”, una sadhana Bön Chöd del XIX secolo, provvede una breve introduzione all’argomento del Chöd, che include fonti Buddiste e Bön. Tra le fonti Bön egli dichiara che il Chöd è incluso nelle Nove Pratiche Preliminari della Trasmissione Esperienziale, nel Manuale di Istruzioni di Gyalwa di Druchen Gyalwa Yungdrung; nel capitolo del “Luogo Spaventoso”, che è tra le sei pratiche del Ciclo dei Tantra Madre; e nei testi della Trasmissione Visionaria e nella tradizione del Nuovo Bön. Reynolds conclude affermando che “la storia dello sviluppo del Chöd nella tradizione Bön deve ancora essere scritta.”

    Secondo Edou, il Chöd tibetano è un’articolazione dell’indiano Sūtra della Conoscenza Trascendente (Prajñāpāramitā), integrato con pratiche tantriche tibetane, comprese i Tesori Riscoperti (Terma). La sua creazione è attribuita all’insegnante donna tibetana Machig Labdron (1031-1129 C.E.), che lo chiama Chöd del Mahamudra. Basato principalmente sugli insegnamenti Pacificatori del pandit indiano dell’XI secolo Padampa Sangye, il Chöd di Machig era conosciuto anche come l’insegnamento “Con l’obiettivo di Recidere i Demoni”. Edou sembra sovra enfatizzare le sue origini nel Buddismo indiano e il suo essere fondato dal punto di vista filosofico su Prajñāpāramitā. Egli rifiuta l’ipotesi di quei studiosi Euro-Americani che elevano l’apparente aspetto sciamanico del rituale Chöd, come la visualizzazione dello smembramento del proprio corpo. Egli propone che questo specifico metodo del Chöd sembra direttamente derivato dalla tradizione Bodhisattva, come descritta nelle storie Jataka.

    A causa del suo carattere tremendo e terrifico, questo rituale è qualche volta visto come marginale. Qualcuno può ravvisare questa stessa marginalità come parte dello sciamanismo. Geoffrey Samuel, d’altra parte, ha una concezione più comprensiva dello “sciamanico”. Egli contrappone l’orientazione “sciamanica” a quella “clericale”, dove sciamanica è una modalità culturale che ha preceduto l’arrivo del Buddhismo nelle società tibetane, ma che venne relegata a un ruolo di sottofondo con l’avvento delle istituzioni clericali e monastiche. Samuel descrive lo “sciamanico” come ‘la regolazione e la trasformazione della vita umana e della società attraverso l’uso (o preteso uso) di stati alternativi di coscienza per mezzo di cui praticanti specialisti sono ritenuti capaci di comunicare con una realtà alternativa alla (e più fondamentale della) quotidiana esperienza del mondo.’ Sebbene Samuel contrapponga le orientazioni sciamaniche e clericali nella cultura tibetana, entrambe condividono l’obiettivo dell’illuminazione o buddhità come meta. Quindi, l’argomento Chöd è un affascinante caso di studio in questo contesto, dato che non solo interseca le categorie clericale e sciamanica ma anche sutrica e tantrica. Non ci dovrebbe essere dubbio che il Chöd appartenga alla categoria d’orientamento “sciamanico” di Samuel, o forse a una ristretta sottocategoria di questo, che potremmo chiamare “orientamento ngakpa”. Anche Sara Harding dice che alcuni aspetti del Chöd, sia provengano da fonti indiane o dal sistema sincretico di Machig, chiaramente contengono elementi che possono essere identificati con lo sciamanismo tradizionale. Data la natura adattiva del Buddhismo, sarebbe sorprendente e deludente se questo non ne fosse il caso.

    Gyatso scrive: “Possiamo trovare molti elementi del Gcod (Chöd) che hanno similitudine con ciò che conosciamo delle credenze e delle pratiche sciamaniche. Ciononostante, porre tradizionalmente il Buddhismo indiano come fonte dottrinale, filosofica e testuale del Gcod non può essere dismessa come mero tentativo di abbellire un rito sciamanico con i simboli del Buddhismo classico, poiché troviamo numerosi precedenti alla teoria e alla pratica del Gcod nel Buddhismo. Il fatto che idee e pratiche sciamaniche furono assimilate dallo stesso Buddhismo nei suoi stadi iniziali, attenua ogni tentativo d’identificare la fonte principale della tecnica Gcod”.

    E’ chiaro che ci sono molti elementi sciamanici nel Tantra, e che questi sono certamente evidenti nella pratica Chöd, in particolar modo il “recitato smembramento del corpo nel quale ‘parti’ sono identificate con numerose afflizioni demoniache e poteri della natura.” Harding aggiunge che un altro elemento sciamanico “è quello del contatto con il mondo degli spiriti e la sua connessione con la guarigione.” Mumford si riferisce al Chöd come “il più apparentemente sciamanico tra i riti dei Lama”. Gyatso trova molto interessate la similarità tra la prima immagine tibetana dell’ascensione del dmu (scala) e l’entrata attraverso una ‘porta del cielo’, e l’ascensione ai reami superiori purificati attraverso l’espulsione della propria coscienza nella pratica del trasferimento (‘pho ba), anch’essa presente nel rituale Chöd. Reynolds indica similarità tra il rituale Chöd e alcuni dei suoi antecedenti sciamanici, come quello di usare il suono di un tamburo (che può indurre la trance), cantare e danzare, il suonare una trombetta di osso per convocare gli spiriti, e l’uso di pelli animali e altri ornamenti. Così, usando “sciamanico” all’interno delle tradizioni tibetane come orientamento che può includere ngakpa, monaci e monache (gli ultimi due gruppi possono essere chiamati “sciamani civilizzati”), è chiaro che i riti sciamanici possano coesistere con altre visioni e pratiche come la concezione Mahayana della Perfezione Trascendente (Prajñāpāramitā) e le pratiche tantriche. Come Harding osserva: “E’ virtualmente impossibile separare quelli che possono essere elementi preesistenti e quelli di origine buddhista, poiché tutto è stato impregnato dall’intento buddhista.”

    continua
     
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