La pratica del Chöd nelle Tradizioni Bön

di Alejandro Chaoul

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    Penso che il Chöd possa essere incluso tra le pratiche appartenenti al cosiddetto “Culto della Morte”, come definito da alcuni studiosi moderni, e raggruppate genericamente dai praticanti nel termine sanscrito di “Smashan sadhana”. Lo stesso Buddha le chiamava “le pratiche che fanno rizzare i capelli.” Quantunque le prove testuali dell’esistenza di queste pratiche risalgano a un periodo attorno ai primi secoli dell’era cristiana, è ipotizzato da molti che queste in realtà rimandino a un’epoca molto precedente, e forse a un arcaico sostrato asiatico. Gli spaventosi Vratya vedici, gli Sramana non-brahmanici (Buddhisti, Jain, Ājīvika ecc.), e i culti non-vedici (dravidici) di tipo shivaita e shakta, tutti praticavano qualche forma del Culto della Morte. Queste pratiche includono numerose tecniche, applicate anche in modo diverso e che vanno dalla semplice meditazione sull’impermanenza, alla cospersione del corpo con le ceneri, fino a pratiche estreme e scioccanti come quelle di tipo Kāpālika come la shava-sadhana, la kapala-sadhana ecc. Elementi esteriori comuni tra le pratiche Chöd del Tibet e quelle indiane del Culto della Morte sono il Damaru (lo speciale tamburello doppio), gli utensili di ossa umane o animali, l’uso di pelli di animali, l’ambientazione, e il pubblico invisibile e terrificante composto di Demoni, Dakini, Dei e Dee del luogo di cremazione o smembramento.




    La pratica del Chöd nelle Tradizioni Bön
    di Alejandro Chaoul




    Chöd: L’offerta del proprio corpo

    “Nella Tradizione Bön tutte le pratiche, indipendentemente dal fatto che siano pertinenti a Sūtra, Tantra, o Dzogchen, conducono alla via della liberazione. Il Chöd, ad ogni modo, è un metodo speciale con caratteristiche particolari per raggiungere questa finalità. Sebbene il Chöd sia comune al Bön tibetano e alle scuole Buddhiste, le basi originarie di questa pratica nelle due tradizioni sono abbastanza diverse. La pratica Chöd, secondo la tradizione buddhista, si dice sia originalmente basata su Prajñāpāramitā Sūtra mentre quella del Bön Tibetano deriva da pratiche tantriche. Comunque, in entrambe le tradizioni, la pratica Chöd è eseguita in un modo che ha più attinenza con i Tantra che con i Sūtra, e in entrambe le tradizioni è conosciuta come una pratica molto efficace e potente che porta al praticante una forte esperienza di profonda generosità come pure alla liberazione dal Samsara.”

    Yongdzin Lopon Tenzin Namdak


    Chöd è una pratica meditativa che non si svolge mentre si è tranquillamente seduti su un cuscino confortevole in una stanza ma piuttosto praticata di proposito in luoghi spaventosi, come i cimiteri e i campi crematori. Questo porta un sentimento di paura che è poi usato dal chöpa (il/la praticante del Chöd) per recidere il suo ego. Cantando, danzando, e suonando speciali strumenti ricavati da ossa, il praticante del Chöd visualizza lo smembramento, la cottura, e infine l’offerta del proprio corpo come parte del banchetto per un’assemblea di esseri illuminati e non, come i protettori e ogni tipo di essere senziente. Persino i demoni e gli spiriti sono invitati e nutriti! Tradizionalmente il chöpa è vestito di pelli di animale e usa strumenti di ossa vere, animali e umane, come la trombetta ricavata da un femore (kang gling). L’ambiente spaventoso e l’abbigliamento aumentano il sentimento di paura nel praticante, ed è precisamente quel sentimento e l’attaccamento al corpo che è “reciso” nel visualizzare il taglio e l’offerta del proprio corpo.

    Quando il chöpa è stato ben addestrato in un luogo tranquillo, egli è pronto a eseguire la pratica in un luogo terrifico. Il “dramma mistico, interpretato da un unico attore umano, assistito da numerosi esseri spirituali, visualizzati, o immaginati, presenti come risposta alle sue invocazioni magiche”, allora ha inizio. Soffiando nella trombetta di femore, chiama tutti gli spiriti invitandoli alla festa, e con l’aiuto del tamburo (damaru) e della campanella, il chöpa rimane nello stato di non dualità del vuoto e dell’apparenza. In questo stato meditativo, espelle la sua consapevolezza dal corpo (cuore), la coscienza diventa una divinità, solitamente femminile, e il corpo, un cadavere (salma) con cui gli invitati festeggeranno. La divinità recide il cranio e quindi riduce il corpo in pezzi, mettendo la carne, il sangue, e le ossa dentro il cranio, che diventa un calderone. A fuoco lento, la carne, il sangue e le ossa diventano nettare che soddisfa ogni desiderio degli ospiti illuminati e non. Nessuno deve essere escluso; per questo, dopo quest’offerta – usualmente chiamata la “festa bianca” – una “festa rossa” ha luogo, dove solamente carne cruda, sangue, e ossa sono offerte agli invitati più “carnivori”, un modo che ricorda sia i sacrifici animali sia il modello Tibetano di “sepoltura celeste”, in cui un corpo è smembrato per essere consumato dagli avvoltoi.
    Queste offerte sono infinite poiché devono essere sufficienti, senza importanza per il numero degli intervenuti o di quanto vorace sia il loro appetito, e sono infinite poiché si trasformano in ciò che l’ospite desidera. Alla fine, il chöpa avverte che tutti i desideri di ogni ospite sono stati soddisfatti, sia in quantità sia in qualità, e che tutto quanto era possibile donare è stato offerto: “La liberazione fisica è fusa con l’indebitamento etico.” In altre parole, il chöpa non persegue solamente la propria liberazione ma cerca di liberare tutti gli esseri senzienti (p.e. l’altruistico intento bodhichitta).

    Questa pratica altamente sensoriale è basata su testi religiosi appartenenti principalmente alle tradizioni tibetane dei Nyngma, dei Kagyu e dei Bön. Tra i tibetani il suo status è ambiguo. Molte volte il rituale è eseguito per curare malattie, allontanare la grandine, e così via, nella credenza che, come Snellgrove scrive, “nemici, influenze e ostacoli avversi, sono rilasciati quando il circolo delle offerte” diventa purificato. I famosi Blue Annals riportano di chöpa che guarivano la lebbra, creavano o allontanavano tempeste, curavano le malattie come la tubercolosi, e persino che “molti cechi e sordi erano sanati al momento.”
    Ad ogni modo, molti oggi ritengono che alcuni di questi chöpa non siano veri praticanti ma solamente “interpreti” che hanno imparato (e qualche volta neppure tanto bene) la parte esteriore del rituale, costituita dal cantare e dal suonare il tamburo e la campanella. Inoltre non solamente si ritiene che questi interpreti travisino lo scopo, il proposito della pratica, ma è persino più desolante che essi chiedano soldi per queste rappresentazioni.

    Sebbene il Chöd appaia in alcuni curricula monastici nella tradizione Bön, è solamente per i pochi che seguono essenzialmente un percorso meditativo, dove i partecipanti della corrente principale della scuola monastica non hanno neppure il permesso di suonare il tamburo, eccetto le riunioni di preghiera, la quale mai include la pratica del Chöd.
    Pertanto, in un certo modo, il Chöd rimane una pratica marginale, anche se intrigante, per le comunità native tibetane e gli studiosi occidentali. E’ interessante esplorare in che modo questa “strana” e interessante pratica può essere considerata una ricerca religiosa e spirituale.

    Jerome Edou, nel suo Machig Labdron e La Fondazione del Chöd, scrisse: “Abbastanza stranamente, nonostante la grande profusione di lavori accademici sul Buddismo tibetano, non è stato pubblicato un singolo approfondito studio dedicato alla tradizione Chöd, ad eccezione dell’eccellente articolo di Janet Gyatso. La maggior parte dei ricercatori occidentali sono paghi di resoconti approssimativi che spesso riducono l’intero sistema all’offerta del proprio corpo ai demoni, l’aspetto più spettacolare del rito.
    Alcuni libri sono stati pubblicati ma tutti questi lavori puntano al lignaggio originato con Machig Labdron e Padampa Samye. Alcuni di questi autori hanno menzionato la possibilità di trovare questa pratica anche nella tradizione Bön ma nessuno ha compiuto alcuna ricerca estensiva in questa direzione. La maggior parte meramente menziona nomi e generiche classificazioni dei testi Bön Chöd.

    Nel suo articolo Janet Gyatso cita la classificazione dei testi Bön Chöd “in quattro classi corrispondenti alle quattro attività tantriche: pacifica, estesa, potente e adirata”. Comunque, nella sua ricerca sul Chöd all’interno delle tradizioni Bön, Edou pone l’accento su alcuni punti importanti: “Infine, la tradizione Bön possiede i suoi cicli Chöd, alcuni di questi derivano dalla Trasmissione Orale, altri dalle tradizioni dei Tesori Riscoperti (Terma), ma Machig non compare in alcuno dei lignaggi di queste due tradizioni.” Notare che Edou riconosce che la tradizione Bön possiede i propri cicli Chöd e che pone l’accento sulla loro differenziazione dal lignaggio di Machig. Egli enfatizza questa differenza rilevando l’associazione del Chöd Bön con i Tantra più elevati, mentre afferma che il Chöd di Machig deriva dal Sūtra della Conoscenza Trascendente (Prajñāpāramitā Sūtra).

    John Reynolds, nella prefazione alla sua traduzione di “La Risata delle Dakini”, una sadhana Bön Chöd del XIX secolo, provvede una breve introduzione all’argomento del Chöd, che include fonti Buddiste e Bön. Tra le fonti Bön egli dichiara che il Chöd è incluso nelle Nove Pratiche Preliminari della Trasmissione Esperienziale, nel Manuale di Istruzioni di Gyalwa di Druchen Gyalwa Yungdrung; nel capitolo del “Luogo Spaventoso”, che è tra le sei pratiche del Ciclo dei Tantra Madre; e nei testi della Trasmissione Visionaria e nella tradizione del Nuovo Bön. Reynolds conclude affermando che “la storia dello sviluppo del Chöd nella tradizione Bön deve ancora essere scritta.”

    Secondo Edou, il Chöd tibetano è un’articolazione dell’indiano Sūtra della Conoscenza Trascendente (Prajñāpāramitā), integrato con pratiche tantriche tibetane, comprese i Tesori Riscoperti (Terma). La sua creazione è attribuita all’insegnante donna tibetana Machig Labdron (1031-1129 C.E.), che lo chiama Chöd del Mahamudra. Basato principalmente sugli insegnamenti Pacificatori del pandit indiano dell’XI secolo Padampa Sangye, il Chöd di Machig era conosciuto anche come l’insegnamento “Con l’obiettivo di Recidere i Demoni”. Edou sembra sovra enfatizzare le sue origini nel Buddismo indiano e il suo essere fondato dal punto di vista filosofico su Prajñāpāramitā. Egli rifiuta l’ipotesi di quei studiosi Euro-Americani che elevano l’apparente aspetto sciamanico del rituale Chöd, come la visualizzazione dello smembramento del proprio corpo. Egli propone che questo specifico metodo del Chöd sembra direttamente derivato dalla tradizione Bodhisattva, come descritta nelle storie Jataka.

    A causa del suo carattere tremendo e terrifico, questo rituale è qualche volta visto come marginale. Qualcuno può ravvisare questa stessa marginalità come parte dello sciamanismo. Geoffrey Samuel, d’altra parte, ha una concezione più comprensiva dello “sciamanico”. Egli contrappone l’orientazione “sciamanica” a quella “clericale”, dove sciamanica è una modalità culturale che ha preceduto l’arrivo del Buddhismo nelle società tibetane, ma che venne relegata a un ruolo di sottofondo con l’avvento delle istituzioni clericali e monastiche. Samuel descrive lo “sciamanico” come ‘la regolazione e la trasformazione della vita umana e della società attraverso l’uso (o preteso uso) di stati alternativi di coscienza per mezzo di cui praticanti specialisti sono ritenuti capaci di comunicare con una realtà alternativa alla (e più fondamentale della) quotidiana esperienza del mondo.’ Sebbene Samuel contrapponga le orientazioni sciamaniche e clericali nella cultura tibetana, entrambe condividono l’obiettivo dell’illuminazione o buddhità come meta. Quindi, l’argomento Chöd è un affascinante caso di studio in questo contesto, dato che non solo interseca le categorie clericale e sciamanica ma anche sutrica e tantrica. Non ci dovrebbe essere dubbio che il Chöd appartenga alla categoria d’orientamento “sciamanico” di Samuel, o forse a una ristretta sottocategoria di questo, che potremmo chiamare “orientamento ngakpa”. Anche Sara Harding dice che alcuni aspetti del Chöd, sia provengano da fonti indiane o dal sistema sincretico di Machig, chiaramente contengono elementi che possono essere identificati con lo sciamanismo tradizionale. Data la natura adattiva del Buddhismo, sarebbe sorprendente e deludente se questo non ne fosse il caso.

    Gyatso scrive: “Possiamo trovare molti elementi del Gcod (Chöd) che hanno similitudine con ciò che conosciamo delle credenze e delle pratiche sciamaniche. Ciononostante, porre tradizionalmente il Buddhismo indiano come fonte dottrinale, filosofica e testuale del Gcod non può essere dismessa come mero tentativo di abbellire un rito sciamanico con i simboli del Buddhismo classico, poiché troviamo numerosi precedenti alla teoria e alla pratica del Gcod nel Buddhismo. Il fatto che idee e pratiche sciamaniche furono assimilate dallo stesso Buddhismo nei suoi stadi iniziali, attenua ogni tentativo d’identificare la fonte principale della tecnica Gcod”.

    E’ chiaro che ci sono molti elementi sciamanici nel Tantra, e che questi sono certamente evidenti nella pratica Chöd, in particolar modo il “recitato smembramento del corpo nel quale ‘parti’ sono identificate con numerose afflizioni demoniache e poteri della natura.” Harding aggiunge che un altro elemento sciamanico “è quello del contatto con il mondo degli spiriti e la sua connessione con la guarigione.” Mumford si riferisce al Chöd come “il più apparentemente sciamanico tra i riti dei Lama”. Gyatso trova molto interessate la similarità tra la prima immagine tibetana dell’ascensione del dmu (scala) e l’entrata attraverso una ‘porta del cielo’, e l’ascensione ai reami superiori purificati attraverso l’espulsione della propria coscienza nella pratica del trasferimento (‘pho ba), anch’essa presente nel rituale Chöd. Reynolds indica similarità tra il rituale Chöd e alcuni dei suoi antecedenti sciamanici, come quello di usare il suono di un tamburo (che può indurre la trance), cantare e danzare, il suonare una trombetta di osso per convocare gli spiriti, e l’uso di pelli animali e altri ornamenti. Così, usando “sciamanico” all’interno delle tradizioni tibetane come orientamento che può includere ngakpa, monaci e monache (gli ultimi due gruppi possono essere chiamati “sciamani civilizzati”), è chiaro che i riti sciamanici possano coesistere con altre visioni e pratiche come la concezione Mahayana della Perfezione Trascendente (Prajñāpāramitā) e le pratiche tantriche. Come Harding osserva: “E’ virtualmente impossibile separare quelli che possono essere elementi preesistenti e quelli di origine buddhista, poiché tutto è stato impregnato dall’intento buddhista.”

    continua
     
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    Davvero molto interessante! :;namaste:
     
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  5. gbaba
     
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    La pratica del Chöd nella Tradizione Bön*
    di Alejandro Chaoul




    Gli studiosi tibetani ed euro-americani hanno intrapreso lunghe discussioni riguardo le origini del Bön. Le fonti Bön dichiarano che la loro religione sia antica di almeno diciottomila anni. Qualunque sia la realtà, è chiaro che essa era ben insediata nel Tibet all’epoca dell’arrivo del Buddhismo nel VII secolo C.E. In ogni modo, la prominenza del Buddhismo sul Bön ha prodotto “lavori religiosi polemici abbastanza ostili al Bön”. Dan Martin, che ha studiato profondamente questo soggetto, argomenta che “dichiarazioni riguardo al ‘primitivo animismo del Bön’ e la sua successiva ‘trasformazione’ o ‘accomodamento’ (o ‘plagio’) sono state ripetute così spesso da acquisire uno status di Verità culturale.” Martin invece suggerisce: “Il Bön com’è esistito nell’ultimo millennio rappresenta un’inusuale ma ancora legittima trasmissione degli insegnamenti buddhisti, in sostanza basati sulle poco conosciute tradizioni buddhiste dell’Asia centrale.”
    La relazione tra Bön e Chös, entrambi equivalenti al termine sanscrito Dharma, rispettivamente per i Bönpo e i Buddhisti, è ancora oggi controversa. Alcuni studiosi, come Per Kvaerne nel suo ‘The Bön Religion of Tibet’ (1995), considerano il Bön una religione non buddhista. La loro posizione si basa su “concetti di autorità religiosa, legittimazione e storia” che collegano questa tradizione al suo fondatore, Tonpa Shenrab Miwoche piuttosto che al Buddha Sakyamuni. Ma altri, come Martin, Snellgrove, e Kvaerne (in pubblicazioni precedenti, 1972) descrivono il Bön come una setta buddista – quantunque non ortodossa – basandosi sulle sue pratiche e le similarità dottrinali dei suoi “rituali, dottrina metafisica e disciplina monastica.” Gli insegnamenti Bön e Buddhisti condividono chiaramente tratti similari, e altre ricerche storiche, e forse nuovi ritrovamenti, possono essere necessarie per chiarire alcune di queste questioni.
    Ciononostante, alcune cose hanno aiutato a creare una generale accettazione e comprensione della tradizione Bön come un tutto, per esempio il movimento “non-settario” (ris med) del XIX secolo nel Tibet Orientale e il presente riconoscimento del Dalai Lama del Bön quale quinta Scuola Tibetana. Il Dalai Lama ha anche detto che la tradizione Bön, che esisteva nel Tibet prima dell’arrivo del Buddhismo, possedeva anche un completo corpus di insegnamenti del Buddha (D.L. A Flash of Laghtning in the Dark of Night: A Guide to the Bodhisattva’s Way of Life, 1994).
    Kvaerne dichiara che il termine “Bön” ha lo stesso spettro di connotazioni per i suoi aderenti (Bönpo) come “Chös” ha per i Buddhisti. Questa dichiarazione riecheggia una precedente posizione conciliatoria – e coraggiosa – presa dal grande Vairocana, una posizione presumibilmente condivisa da un piccolo gruppo nel Tibet dell’VIII secolo, che si dice abbia scritto: “Bön e Dharma differiscono solamente nei termini dei loro discepoli, il loro significato è inseparabile, un’unica essenza.” Inoltre Reynolds aggiunge: “ Specialmente per i Bönpo, il Dharma, “Chös” o “Bön” in Tibetano, non è qualcosa di settario ma rappresenta veramente una Rivelazione Primordiale, che è ancora e ancora rivelata attraverso il tempo e la storia. Non solo è primordiale ma anche perenne. Il Dharma non è semplicemente il prodotto unico di un particolare periodo storico, cioè il VI secolo a.C. dell’India del Nord.

    La storia tradizionale del Bön rivendica che diciottomila anni fa il Buddha Tonpa Shenrab Miwoche nacque in una regione dell’Asia centrale conosciuta come Olmo Lungring. Gli insegnamenti che impartì si diffusero attraverso tutta l’Asia centrale, all’inizio nelle regioni del Tazig e Zhang-zhung, e poi nel Tibet, Kashmir, India e Cina. Giacomella Orofino riporta che “secondo la tradizione Bönpo tibetana, la maggior parte della sua letteratura è stata tradotta dal linguaggio sacro di Zhang-zhung”, con numerosi testi Bönpo contenenti vocaboli di Zhang-zhung inframezzati al Tibetano. Martin spiega: “La tradizione Bön asserisce che le sue scritture siano passate attraverso tripla o quadrupla traduzione, dal loro linguaggio di origine alle attuali versioni tibetane. I testi tradotti tre volte partono generalmente dal Tazig al Zhang-zhung al Tibetano mentre quelli tradotti quattro volte generalmente partono dal ‘linguaggio divino’ al Sanscrito al Tazig al Zhang-zhung al Tibetano.”
    In queste scritture Tonpa Shenrab era il maestro del Buddha Sakyamuni in due incarnazioni consecutive. Nella prima, Tonpa Shenrab si chiamava Chime Tsugphu (“L’Incoronato Immortale”) e il Buddha Sakyamuni era uno dei suoi discepoli principali, Sangwa Dupa (“Segreto Essenziale”). Nell’esistenza seguente, nella quale Tonpa Shenrab portava questo stesso nome, il Buddha Sakyamuni era ancora uno dei suoi principali discepoli, Lhabu Dampa Karpo (Puro Figlio Bianco degli Dei). Lhabu Dampa Karpo domandò al maestro cosa poteva fare per aiutare gli esseri senzienti, e Tonpa Shenrab rispose che doveva aiutare le genti dell’India che seguivano una visione sbagliata. A questo scopo Tonpa Shenrab diede a Lhabu Dampa Karpo un’iniziazione affinché non dimenticasse gli insegnamenti nelle vite future. Così nella sua successiva vita nacque in India come Principe del clan Sakya, beneficiando numerosi esseri.
    Reynolds dichiara: “Fu principalmente in Zhang-zhung e nel Tibet che le prime versioni degli insegnamenti del Buddha, chiamati Bön, furono preservati.”
    I testi tradizionali Bön dicono che i principali insegnamenti di Tonpa Shenrab erano i cicli delle Nove Vie o Nove Veicoli e delle Cinque Porte. Questo insieme di nove veicoli è unico e distinto da simili divisioni nella tradizione Nyingma; così fu il soggetto del primo lavoro Bön a essere tradotto in un linguaggio occidentale. Le Nove Vie consistono di quattro veicoli casuali (chiamati “sciamanici” da alcuni studiosi Euro-Americani) che includono rituali, medicina, astrologia e divinazione; i susseguenti veicoli risultanti, dei sūtra e dei tantra; e il culminante Dzog-chen (“Grande Completezza”). In più, Yongdzin Tenzin Namdak asserisce che poiché tutti i nove veicoli furono insegnati da Tonpa Shenrab, sono tutti considerati cammini legittimi per raggiungere l’illuminazione. In altre parole, siano essi “sciamanici”, sutrici, tantrici o dzogchen, tutti hanno l’ideale della bodhi.
    Gli stessi Bönpo distinguono tre tipi di Bön: (1) Bön (retrospettivamente qualificato come iniziale o primitivo), (2) Yungdrung o Bön eterno, e (3) Nuovo Bön. Il Bön primitivo è visto come un insieme di religioni popolari, simile a ciò che Stein chiama “la religione senza nome” o la tradizione “popolare”, come Tucci e altri che lo seguono la denominano. Yungdrung Bön è la religione che rivendica le sue origini negli insegnamenti del Buddha Tonpa Shenrab e si vede come una religione separata dal Buddhismo, anche se ne riconosce la similarità. Il Nuovo Bön è un movimento che affiorò nei secoli XVI e XVII dall’interazione e amalgamazione tra Yungdrung Bön e Nyingma, la più antica tradizione buddhista in Tibet.
    Gli studiosi Euro-Americani, in particolare Snellgrove, Martin, e Kvaerne, accettando l’idea che gli insegnamenti Bön siano una forma di Buddhismo non-ortodosso, credono che gli insegnamenti Bön derivino dalla stessa fonte del Buddhismo (da Sakyamuni), ma che arrivarono in Tibet in periodi differenti e per vie diverse. Snellgrove crede che gli insegnamenti in seguito chiamati Bön fossero una forma di Buddhismo (principalmente tantrico) che iniziò prima in Zhang-zhung e poi si diffuse nel Tibet centrale. Lì, questi insegnamenti si scontrarono con quelli buddhisti che provenivano direttamente dall’India.
    E’ evidente che ci fosse una religione Bön in Tibet prima dell’arrivo del Buddhismo attorno al VII – VIII secolo C.E. ma è difficile determinare quali insegnamenti allora comprendeva. Oggi Yundrung Bön è composto di tutti i nove veicoli. Come Kvaerne scrive: “Il Bön non era una sinistra perversione del Buddhismo ma piuttosto una tradizione eclettica che, diversamente dal Buddhismo in Tibet, insisteva nell’accentuare, invece che negare, i suoi elementi pre-Buddhisti.” Per questo, non supporto il comune fraintendimento che limita la religione Bön solamente ai veicoli causali o “sciamanici”, o l’ugualmente problematica identificazione di tutti i praticanti Bön con i “veicoli risultanti”.

    Come molti autori hanno rilevato, il Bön ha la propria tradizione Chöd, e classifica i vari testi in accordo con la precedente descrizione di Gyatso:
    Le tradizioni Bön dividono le pratiche Chöd in tre tipi: a) Chöd pacifico, b) Chöd esteso, c) Chöd potente. Le tradizioni Nuovo Bön ne aggiungono un quarto, il Chöd irato.
    Il “Chöd Pacifico della A Bianca” fu ricevuto in trasmissione da Khandro Karmo Chenching (“La Grande Signora Bianca Viaggiatrice Celeste”) da Marton Gyale, nato nel 1062 a nord di Shigatse, nell’area tibetana dello Tsang. Egli fu discepolo di Gongdzo Chenpo, il grande eremita che promulgò le Istruzioni del sistema A.
    Proseguendo cronologicamente, il “Grande Yungdrung Chöd” rappresenta precetti da Tongyung Thuchen a Shense Lhaje alias Gode Phagpa Yungdrung Yeshe e Nyo Nyima Sherab, che fiorirono prima del 1310.
    Continuando la sequenza storica, il “Chöd delle Viaggiatrici Celesti Segrete” del XIV secolo è stata una delle più popolari sadhana Chöd tra i Bönpo. Fu rinvigorita nella prima a parte del XX secolo, quando molti lama che ne impartivano gli insegnamenti attrassero un forte gruppo di seguaci, e che rimane molto popolare anche oggi. La prefazione in Inglese del Chöd delle Segrete Viaggiatrici Celesti spiega: La Trasmissione Orale fu ricevuta dal Tulku Tronyan Gyaltsen. Secondo la cronologia di Nyima Tenzin, la Tradizione Orale fu ricevuta nel 1386.
    Trai i testi Chöd del Nuovo Bön, ci sono precetti riscoperti da Nyagter Sangngang Lingpa alias Walchung Terchen (n. 1864) e la sua consorte Khandro Dechen Wangmo (n. 1868), tra gli altri.
    Il Chöd si trova anche in altri testi ma, di fatto, è fuori dalla quadruplice divisione che troviamo le fonti Bön più antiche riguardo alla pratica Chöd: Il Tantra Madre “Prendere il Luogo Spaventoso come Via”, compreso nel Ciclo dei Tantra Segreti della Madre, “promulgato la prima volta all’umanità dallo Shen Reale Milu Samlek. Inoltre, la spiegazione di questo testo Chöd del XX secolo per opera di Shardza Rinpoche asserisce che il Tantra Madre è la fonte di tutti e quattro i differenti tipi di Chöd.
    Riguardo all’aspetto filosofico del Chöd, Yongdzin Tenzin Namdak dichiara che nella tradizione Bön, in particolare dal punto di vista Dzogchen, non vi è molta similarità tra l’omonimo gcod, significante recidere o tagliare, e spyod che significa pratica. E che questa tradizione non è fondamentalmente basata sugli insegnamenti della Perfezione Interiore (Prajñāpāramitā) – sebbene gli aspetti della generosità siano presenti – ma è principalmente interessata al taglio della base dell’ignoranza, che è comparata al demone dell’avidità egoica. Questa è l’ignoranza che ci conduce alla ciclica esistenza samsarica, alla nascita, alla morte, e così via. E’ il re dei demoni.
    Come il praticante occidentale del Chöd Tsultrim Allione dice: I Demoni non sono sanguinosi spiriti che ci attendono in luoghi oscuri; essi sono dentro di noi, sono le nostre ossessioni e paure, l’insicurezza, la malattia cronica o problemi comuni come depressione, ansietà e dipendenza.
    In breve, possiamo dire che la pratica contemplativa del Chöd – dalle trazioni Dzogchen Bön e Buddhiste – può essere compresa in modi diversi che vanno oltre (e includono) “recidere attraverso gli attaccamenti al proprio corpo e al proprio ego” e “recidere attraverso la paura.” Questi sembrano coinvolgere una fusione di tradizioni Tibetane e pre-Tibetane con entrambe le cornici etiche Indo-Tibetana e Zhang Zhung-Sūtra Tibetano Mahayana, come anche con il Tantra Tibetano e lo Dzogchen.
    Nella tradizione buddhista la pratica del Chöd è ricondotta al Sūtra della Perfezione Interiore, e successivamente ai Tantra, ma nella tradizione Bön è ricondotta ai Tantra Madre.


    *Liberamente tratto da Chöd Practice in the Bön Tradition
    2009, Snow Lion Pubblications

    Disponibile anche in italiano:
    Il sacrificio rituale tibetano. La pratica del chöd nella tradizione Bön
    2011, Editore Foschi
     
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  6. Tabasco
     
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    Grazie mille!!
    Completo ed interessante approfondimento!!
     
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5 replies since 14/9/2011, 23:16   3460 views
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