Come riconoscere una setta

Plagio e manipolazione mentale ... occhio!

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    RICONOSCERE UNA SETTA

    I fattori che concorrono alla creazione di una setta sono fondamentalmente questi:
    - la leadership, molto spesso rappresentata da un leader carismatico, un capo, con forte ascendenza sugli adepti;
    - il sistema valoriale ed ideologico che si traduce in pratiche e norme che regolano la vita all'interno del gruppo;
    - il controllo sociale che può essere più o meno intenso, e che in alcuni casi dà vita a tribunali interni in grado di emettere sentenze e punire i trasgressori;
    - la richiesta di un impegno totale dell'adepto e del suo lavoro volontario e gratuito;
    - la difficoltà di vivere un rapporto familiare sereno per chi è all'interno di un'aggregazione settaria;
    - la difficoltà per il familiare esterno di vivere una normale relazione affettiva con il suo congiunto all'interno del raggruppamento;
    - la imposizione di recidere i legami con il passato e soprattutto con la famiglia d'origine.
    Quando le pretese del gruppo iniziano ad aumentare, chiedendo tempo, denaro, impegno, è un campanello d'allarme.
    Se il membro non riesce più ad immaginare un futuro fuori o lontano dal gruppo, per uscirne occorre l'assistenza di esperti.

    CITAZIONE
    MANIPOLAZIONE MENTALE (PLAGIO)

    E' ormai noto che i manipolatori mentali si servono di tecniche psicologiche subdole e sofisticate, spesso abbinate alla somministrazione di sostanze chimiche (come allucinogeni, droghe, psicofarmaci "depersonalizzanti", eccetera), come dimostrano gli studi compiuti da Margareth Singer, G. De Gennaro, M. Gullotta, Jania Lalich e gli scritti di Randall Watters, G. Flick, Ted Patrick.

    Ma è sbagliato pensare che il plagio avviene solo nelle sette organizzate. Può verificarsi anche in un piccolo gruppo deviato, nella coppia, o addirittura in famiglia.

    Secondo lo psicologo Steven Hassan, il controllo mentale può essere compreso analizzando le tre componenti descritte dallo psicologo Leon Festinger. Si tratta del controllo del comportamento, controllo dei pensieri e controllo delle emozioni. Ogni componente influenza profondamente le altre: modificandone una anche le altre tenderanno a cambiare. Se si riesce a cambiarle tutte e tre, l'individuo sarà spazzato via (tratto dal libro Releasing the Bonds).

    Controllo del comportamento
    Il controllo del comportamento è ciò che regola la realtà fisica di un individuo. Include il controllo del contesto in cui si trova, vale a dire dove abita, quali vestiti indossa, che cibo mangia, quanto dorme, come pure il suo lavoro, le abitudini e le altre attività.
    In alcuni dei gruppi più restrittivi i membri devono chiedere il permesso per qualsiasi cosa. A volte l'individuo viene reso dipendente dal punto di vista finanziario cosicché la sua facoltà di scelta comportamentale si restringe. Un adepto deve chiedere i soldi per il biglietto dell'autobus o per comprarsi i vestiti, o il permesso per recarsi dal medico. Il seguace deve essere autorizzato a telefonare a un amico o a un parente fuori dal gruppo e deve rendere conto di ogni ora della sua giornata. In questo modo il gruppo può tenere saldamente le redini del suo comportamento e controllarne anche pensieri ed emozioni. Il comportamento individuale è spesso assoggettato alla richiesta di eseguire in gruppo ciascuna azione. In molte sette le persone mangiano assieme, lavorano assieme, partecipano a riunioni di gruppo e talvolta dormono nella stessa casa. L'individualismo è disincentivato. Ognuno vede assegnarsi degli "amici" fissi. La struttura del comando è autoritaria: il processo decisionale parte dal capo e, passando per i luogotenenti, arriva ai diretti inferiori fino ai ranghi più bassi. In un ambiente così strutturato, tutti i comportamenti possono essere premiati o puniti.

    Controllo del pensiero
    Il controllo del pensiero, la seconda importante componente del controllo mentale, prevede l'indottrinamento dei membri in maniera così pervasiva da far loro interiorizzare la dottrina del gruppo. Per diventare un buon seguace una persona deve prima imparare a manipolare i propri processi mentali. Tutto ciò che è buono si incarna nel leader e nel suo gruppo. Tutto ciò che è cattivo è nel mondo esterno. I gruppi più totalitari dichiarano che la loro dottrina è stata scientificamente dimostrata. La dottrina sostiene di poter esaudire tutte le domande, di rispondere a tutti i problemi e a tutte le situazioni. Un altro aspetto chiave del controllo del pensiero prevede l'addestramento specifico dei soggetti a bloccare e respingere qualsivoglia informazione critica nei confronti del gruppo.
    I basilari meccanismi di difesa di una persona vengono confusi a tal punto da farla arrivare a difendere l'identità acquisita nel culto a scapito dell'identità originaria, che soccomberà nello scontro. Se un'informazione trasmessa al membro di un culto viene percepita come attacco al capo, alla dottrina o al gruppo stesso, per tutta risposta viene immediatamente eretto un muro di ostilità.

    Controllo delle emozioni
    Il controllo delle emozioni, la terza componente del controllo mentale, mira a manipolare e limitare la sfera dei sentimenti. Sensi di colpa e paura sono gli strumenti impiegati per tenere le persone sotto controllo. Il senso di colpa è forse l'unica e più importante leva emozionale capace di indurre conformismo e accondiscendenza. La maggior parte degli affiliati non è affatto consapevole che i sensi di colpa e le paure vengono usati al fine di controllarli: sono stati condizionati a colpevolizzare sempre e soltanto se stessi, quindi rispondono con gratitudine ogni qual volta si fa loro notare una "mancanza". La paura mira a tenere unito il gruppo: un modo è la creazione di un nemico esterno che ti perseguita. Molti gruppi esercitano un controllo completo sulle relazioni interpersonali. I capi dicono ai membri chi devono frequentare e chi evitare. Alcuni leader di setta arrivano a indicare ai propri affiliati chi possono sposare e chi no. La confessione di peccati commessi nel passato o di comportamenti errati è anch'esso un potente mezzo per il controllo delle emozioni. Ma la tecnica più potente per il controllo emozionale è l'induzione di fobie. Si tratta, in sostanza, di indurre una reazione di paura alla sola idea di abbandonare il gruppo. È impossibile per un seguace ben indottrinato sentirsi al sicuro fuori dal gruppo. Se un gruppo riesce ad avere pieno controllo sulle emozioni di una persona, riuscirà a controllarne anche pensieri e azioni.

    Controllo dell'informazione
    Il controllo dell'informazione è l'ultima componente del controllo mentale. L'informazione è il carburante che usiamo per il buon funzionamento della nostra mente. Se a una persona viene negata l'informazione necessaria a formulare giudizi fondati, non sarà più in grado di formarsi opinioni proprie.
    Le persone rimangono intrappolate nelle sette non solo perché viene loro negato l'accesso a informazioni di carattere critico, ma anche perché vengono a mancare quegli appropriati meccanismi interni che servono a elaborarle. Tale controllo dell'informazione ha un impatto drammatico e devastante. In molte sette le persone hanno un accesso limitato ai mezzi d'informazione (giornali, riviste, televisione o radio) che non siano di pertinenza del gruppo. Ciò si ottiene anche impegnando i membri al punto da non avere tempo da dedicare ad altro. Il controllo dell'informazione avviene a tutti i livelli relazionali. Non sono permesse conversazioni critiche nei confronti dei capi e dell'organizzazione. I seguaci devono spiarsi a vicenda e riportare immediatamente ai leader attività improprie e critiche. Ai nuovi adepti non è consentito comunicare tra loro, se non alla presenza di un membro anziano. E, cosa più importante, viene proibito loro di avere contatti con chi è critico nei confronti della setta. Comportamento e pensiero, emozioni e informazioni, ogni forma di controllo ha grande potere sulla mente umana. Insieme formano una rete totalizzante che può manipolare anche le persone più forti. Di fatto, sono proprio gli individui più forti a trasformarsi in membri più devoti e coinvolti. Nessun gruppo mette in atto tutte queste tecniche insieme, ma senz'altro sono le pratiche più diffuse nell'ambito di ciascuna componente del controllo mentale, poiché esistono anche altri metodi in uso in certe sette.

    La riforma del pensiero secondo Singer
    Negli Anni '50, la psicologa del Walter Reed Army Hospital, Margaret Singer, ha studiato gli effetti del controllo mentale settario.

    Singer ha riassunto cinquant'anni del suo lavoro nel libro Cults in Our Midst, in cui spiega le sei condizioni per ottenere la riforma del pensiero:

    1. acquisire il controllo sul tempo personale individuale, in particolare quello dedicato alla riflessione e all'ambiente fisico;
    2. Creare senso di impotenza, paura e dipendenza, fornendo contemporaneamente modelli del comportamento che la leadership vuole produrre;
    3. premi, punizioni ed esperienze al fine di sopprimere precedenti comportamenti e atteggiamenti sociali, compreso l'utilizzo di stati alterati di coscienza;
    4. manipolazione di premi, punizioni ed esperienze per provocare comportamenti e atteggiamenti voluti dalla leadership.
    5. creazione di un sistema controllato, in cui chi dissente viene fatto sentire come se i suoi interrogativi indicassero che esiste qualcosa di intrinsecamente sbagliato in lui.
    6. mantenere i membri inconsapevoli e non informati sul fatto che esiste un piano per controllarli e modificarli.

    Secondo la dottoressa Singer, l'individuo crede di prendere decisioni autonome quando in realtà è socialmente influenzato a disinserire la mente critica e la capacità di prendere decisioni indipendenti. Nel giro di breve tempo le reclute immerse nel nuovo ambiente iniziano a pensare in modo diverso senza rendersene conto. Le sette giocano su normali sentimenti di ambivalenza, cosa facile con i giovani che hanno meno esperienza di vita. Ad esempio, è quasi impossibile che adolescenti e giovani adulti non abbiano sentimenti contrastanti nei confronti dei genitori. Anche la madre o il padre più amati hanno avuto scontri con i figli che lasciano ricordi di rabbia o delusione, e la maggioranza dei genitori ha almeno qualche abitudine o peculiarità irritante. Molte sette si preoccupano di battere su questi sentimenti irrisolti e li sfruttano per legare i membri al gruppo. Oltre ad essere indotti a condannare famiglia e relazioni personali, vengono portati a credere che essi stessi erano "persone cattive" prima di entrare nel gruppo.

     
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  2. Vajrapani
     
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    Unito ad alcune altre cosette ( come i links che parlano di fallacie ed espedienti retorici) è un formidabile mezzo abile per svergognare i ciarlatani :punk:
     
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  3. nanjo tokimitsu
     
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    A proposito di Setta, consiglio "Occulto Italia" libro inchiesta di Gianni Del Vecchio e Stefano Pitrelli www.pitrelli-delvecchio.com/wp-cont...na_completa.jpg
     
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    Visto che nel libro si indica la SGI come setta per completezza riporto il comunicato che mi risulta essere quanto ha da dire l'IBISG, in rapporto ai contenuti del libro che la riguardano

    CITAZIONE
    A qualche giorno di distanza pubblichiamo il comunicato che l’Ibisg ha scritto a proposito del libro Occulto Italia, edito da Rizzoli

    Recensione del libro: "Occulto Italia"

    Il nostro Istituto e in particolare i suoi praticanti sono definiti in questo "libro inchiesta" degli ingenui e poco avveduti adepti di una setta "pericolosa" per la democrazia italiana. Quella che segue è la nostra prima risposta.


    07/04/2011: Sulla copertina del libro Occulto Italia (Pitrelli, Del Vecchio, Bur, 2011) appare il nome del nostro Istituto qualificato come “setta”. 
Il termine italiano “setta” (inglese “cult”) fa pensare immediatamente a un gruppo socialmente pericoloso. 
Non a caso il primo richiamo che viene in mente è al satanismo.
Accingendosi a recensire un tale volume, si prova l'imbarazzo della maestra che desiderebbe usare anche la parte rossa della matita, ma che di fronte all'evidenza dei fatti sa che un esame spassionato del tema la costringerebbe a consumare la matita blu.

    Ciò che si preferisce non fare. S’impone, comunque, almeno una qualche considerazione su quelle che sembrano essere le lacune salienti di un'operazione editoriale che pare costruita con l'intento di generare un panico sociale, giacché è noto che il metodo giornalistico – non vogliamo dire quello scientifico – imporrebbe almeno la verifica delle fonti e il necessario confronto con la controparte.
    Di questo le pagine recano una desolante assenza. 
Assenza che è peraltro dichiarata dagli autori (pg.11) in questi termini: «Abbiamo ritenuto inutile chiedere ai loro rispettivi uffici stampa un commento della nostra inchiesta. D’altra parte i loro organi di propaganda ufficiali – alle sette non mancano i megafoni, siano essi quotidiani cartacei, blog o siti web – si guardano bene, ovviamente, dal riferire testimonianze di scontentezza o sofferenza, dubbi o crisi di fede, obiezioni o critiche, presentando sempre un’omogenea e imperturbabile facciata felice».
    Ovviamente gli autori hanno il pieno diritto di caratterizzarci come ritengono più opportuno. 
Altrettanto ne abbiamo di affermare che l’operazione approntata nei nostri confronti – pur partendo da fatti accaduti o da parziali verità – distorce la realtà in modo sapiente e sistematico per adattarla a confermare le tesi iniziali.
    La tesi di partenza è che le sette fino a poco tempo fa erano considerate un fenomeno periferico e frequentate da individui di bassa statura culturale.
    Oggi – avvisano Lucia Annunziata e gli autori nella prefazione – esiste un “terzo livello” delle sette dove: «restano impigliati avvocati, medici, giornalisti, imprenditori, manager, personalità del mondo della cultura, politici – anche i più avveduti – e perfino psicologi e militari. Nel corso della nostra inchiesta ne abbiamo conosciuti parecchi, di fuoriusciti che rientrano in queste categorie. Li abbiamo incontrati, ci siamo andati a cena, ci siamo fatti una birra al pub, abbiamo parlato della loro vita passata, ma anche di quella presente, abbiamo conosciuto le loro idee, abbiamo riso e scherzato insieme, li abbiamo guardati negli occhi. Erano per la maggior parte persone intelligenti e spiritose, colte e argute, Dimenticate dalle istituzioni (perché i loro racconti a chi non sa nulla di sette, paiono fastidiosamente fuori dal mondo). Ma oggi di nuovo in piedi, nel mondo» (pg. III della prefazione).
    Tutti gli altri e le altre che sono ancora dentro l’Istituto, sembra di capire, sono sciocchi, ingenui, psicologicamente deboli, in attesa di essere liberati e restituiti a una vita normale.
    Tale livello – affermano gli autori – avrebbe lo scopo di realizzare – nella piena ingenuità e forse complicità dei politici e del Ministero degli Interni – l’Intesa con lo Stato italiano per mettere le mani sull’otto per mille. Sostengono inoltre che queste sette di “terzo livello” avrebbero altresì la capacità di mimetizzarsi sia collaborando con organizzazioni – ancora una volta ingenue – che si battono per i diritti umani, la pace, la nonviolenza, sia appropriandosi direttamente della bandiera dei diritti umani per nascondere il loro vero intento.
    Insomma il cerchio si chiude intorno ai buddisti della Soka Gakkai: qualsiasi cosa facciano è comunque sbagliata e cela secondi e pericolosi fini.
    Per ovviare a questo grande pericolo nascente per la democrazia italiana non resta altro da fare – secondo gli autori – che invocare la reintroduzione del reato di plagio: questo grido si leva dalla prefazione curata da Lucia Annunziata.
    Dopo il processo Braibanti del 1964 – scrive Lucia Annunziata: «si è stabilita nell’opinione pubblica italiana una totale sovrapposizione fra libertà di pensiero e rifiuto del concetto di plagio. È giusto che sia così? O non serve invece, di fronte a nuovi pericoli, riaprire una discussione (e un abbozzo c’è in Parlamento) sulla necessità di un assetto legislativo per questo reato?» (pref. pg. IV).
    Quell’"abbozzo" era un vecchio cavallo di battaglia della destra che – fortunatamente – fu bloccato anni fa: mancherebbe solo questo al nostro paese…
    Quali sono le fonti ufficiali che hanno portato a definire “setta” la Soka Gakkai?
    1) Testimonianze anonime di ex membri

    2) Materiale ufficiale dell’Istituto “analizzato” secondo una prospettiva tracciata dagli stessi ex-membri e rinforzata dagli scriventi.
    Di cosa siamo accusati?
    Di corteggiare i politici (sempre per arrivare all’otto per mille…), non fa nulla se di destra o sinistra.
    Vengono citati Walter Veltroni, che all’epoca della sua unica visita ufficiale nel nostro centro di Roma era il Sindaco della città e Giovanna Melandri, che era Ministro dello Sport e delle Politiche Giovanili.
    Si parla dell’on. Giovanardi e di una sua visita: completamente falso.

    Viene citato anche E. C. – membro dell’Istituto – considerato il “cavallo di Troia” della Soka Gakkai nella sinistra.
    Quando E.C. si presentò alle elezioni di Roma con la lista Veltroni non fu eletto, malgrado nella città eterna ci fossero circa 10.000 membri…

    Per chiudere il discorso e arrivare all’attualità, si parla dell’invito rivolto al Presidente della Camera Gianfranco Fini a presenziare alla conferenza Senzatomica. È possibile creare una coscienza civile sul disarmo nucleare? che si è tenuta presso la Camera dei deputati a Palazzo Marini il 1 febbraio 2011.
    Cosa che fa dire ai due scrittori che ci stiamo spostando a corteggiare Futuro e Libertà…
    Alla fine di questo capitolo viene da chiedersi se in Italia esista ancora la libertà per un gruppo buddista di avere rapporti con le cariche istituzionali del nostro paese.
    A tale scopo – e per la precisione – aggiungiamo che il Presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti è intervenuto alla conferenza del prof. N.P. Radhakrishnan che si è tenuta a Roma il 17 aprile 2009 presso l’Auditorium della Conciliazione (vedi testo della conferenza su Buddismo e società n° 135,
    www.sgi-italia.org/riviste/bs/Numer...=1&C=135&A=2009).
    Nel capitolo “Ikeda superstar” ci si aspetta che si analizzi il pensiero del Presidente della SGI: vengono citati invece i buddisti “famosi”: Sabina Guzzanti, Ornella Muti, Herbie Hancock, Tina Turner, Orlando Bloom, Roberto Baggio, Vladimir Luxuria, Alan Sorrenti, Antonello Dose.
    Sempre per la precisione vogliamo aggiungere un “grande” dimenticato nella lista: Wayne Shorter (vedi biografia: Wayne Shorter, il filosofo col sax, ed. StampaAlternativa/Nuovi Equilibri, Viterbo, 2006).

    Di Ikeda si dice solo che la sua principale caratteristica: «è proprio una dottrina ridotta all’osso, “stilizzata” e soprattutto improntata a efficienza aziendale, che poi si riflette, come vedremo, in una rigorosa struttura gerarchica, così come in uno sfrenato marketing a caccia di conversioni. Il tutto sfrondato dalle complessità che invece sono proprie del pensiero buddista» (pg. 316).
    Probabilmente è proprio chi ha scritto il libro che lo ha «sfrondato dalle complessità» perché non ha avuto il tempo di leggere e approfondire la dottrina buddista di Nichiren Daishonin (vedi Raccolta Scritti di Nichiren Daishonin volume 1, edito in proprio dall’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, 2008) e il pensiero buddista che Daisaku Ikeda trasmette ai nostri giorni (vedi bibliografia completa di Ikeda sul sito www.sgi-italia.org/sokagakkai/DaisakuIkeda.php, e l’intervista rilasciata dal Presidente della SGI al trimestrale buddista americano Tricycle (Winter 2008) e pubblicata in italiano su Buddismo e società n° 133, www.sgi-italia.org/riviste/bs/Inter...=2093&R=1&C=133).
    Nel “Mistero della piramide di Kosen Rufu”, utilizzando il Manuale della Statistica che contiene indicazioni per valutare lo stato di salute dell’Istituto (perché in un sangha buddista non è la “massa” che conta ma la singola persona), gli scrittori deducono che si applichi un “proselitismo aggressivo” e che si voglia tenere sotto forte controllo gli “adepti”.
    Affermano inoltre che il tempo libero dei praticanti viene sfruttato per portare avanti alcune attività di volontariato interno, con la conseguenza di condizionare negativamente la personalità degli “adepti”. Ciò succede perché le persone si allontanano progressivamente dalle loro amicizie al punto che – quando escono dalla comunità – si trovano ad essere “psichicamente instabili” (sic).
    Quello che dagli autori viene definito “proselitismo aggressivo”, in realtà – nella tradizione di Nichiren Daishonin che si basa su un testo fondamentale del Buddismo mahayana: Il Sutra del Loto – è un vero e proprio “voto” che viene espresso dai Bodhisattva all’inizio del loro percorso per ottenere l’Illuminazione: «Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo del Budda?» (Sutra del Loto, Esperia edizioni, Milano, 1998,pg. 305).
    Questo brano viene recitato durante il rito religioso giornaliero di ogni praticante della Soka Gakkai.
    Di aggressivo non c’è nulla.
    E mai nessuno si è trovato ad aprire la porta di casa e incontrare un buddista della Soka Gakkai che vuole convincerlo a convertirsi.
    Vero è – come del resto confermano anche gli autori – che il dialogo con i propri amici e parenti si svolge su un piano strettamente personale, ed è normale che capiti, in quella sede, di raccontare e magari proporre di sperimentare un percorso spirituale che ha dato la possibilità di realizzare cambiamenti significativi e positivi.
    Nella visione buddista, ogni forma di vita è, nel suo profondo, ”inseparabile” da tutte le altre e dall’ambiente – sociale, naturale – che la circonda, per questo motivo è impossibile diventare felici senza adoprarsi per la felicità degli altri.
    Nella Soka Gakkai questo principio si concretizza “anche” nella trasmissione della propria esperienza spirituale, oltre che nell’impegno dei singoli fuori dall’Istituto e dentro le rispettive comunità di vita.
    Impegno che, nel pensiero degli autori, diventa “proselitismo aggressivo”...
    Impegno che potrebbe essere considerato anche come una piccola vittoria su quel “familismo amorale” che spesso viene citato per caratterizzare negativamente gli italiani.
Un intero capitolo è dedicato al momento difficile, caratterizzato anche da atteggiamenti autoritari, che abbiamo vissuto nei primi anni duemila. I fatti sono gli stessi che in quel periodo furono fortemente stigmatizzati al nostro interno attraverso numerose riunioni di chiarificazione tenute in tutta Italia.
    Apparvero anche articoli sui giornali, furono inviate lettere alla Presidenza del Consiglio e al Ministero degli Interni: insomma tutto alla luce del sole, con una data d’inizio e una di fine. Tutto questo non c’è nell’inchiesta. Appare solo la tendenza vendicativa di alcuni ex membri che forse volevano l’espulsione di un gran numero di persone.
    Ma questa soluzione – magari comprensibile per chi ha vissuto un’esperienza fortemente negativa – non è la via buddista percorsa dalla Soka Gakkai per trasformare i conflitti. 
L’analisi si inserisce – ancora una volta in un modo a dir poco superficiale – in un tema prettamente “religioso” quando – di passaggio – gli ex membri raccontano che la frustrazione più grande l’hanno vissuta quando si trovavano a «pregare senza ottenere risposta». Queste affermazioni – organizzate in un contesto dileggiante che percorre comunque tutte le pagine che ci riguardano – mettono in ridicolo la complessa dottrina del “desiderio” tipica del Buddismo mahayana e in particolare dell’insegnamento di Nichiren Daishonin.
    Si arriva al capitolo “Collezionista di onorificenze” che inizia affermando: «Non è strano che un culto che si definisce “buddista”, quindi presumibilmente lontano dall’attaccamento ai beni materiali, abbia a cuore la politica e gli affari? No, se si considera che una decina di anni fa Daisaku Ikeda, il cui stile è decisamente lontano dall’austerità del Dalai Lama, è finito al diciannovesimo posto nella classifica dei “cinquanta personaggi più potenti del continente asiatico”. E che aveva abbastanza soldi per permettersi un Renoir da sessanta miliardi di lire, vinto a un’asta londinese» (pg. 369).
    Il Renoir di cui si parla, naturalmente, non si trova nella dimora di Ikeda (che vive in una piccola casa nel quartiere di Shinano-machi di Tokyo), ma nel Tokyo Fuji Art Museum. 
Fondato da Ikeda, il museo svolge una grande opera divulgativa inviando le sue collezioni anche in Corea e altri paesi dell’Asia che normalmente sono esclusi dai circuiti dei musei giapponesi (link: www.fujibi.or.jp).
    Sul 19° posto come uomo più ricco del mondo stendiamo un velo pietoso: tutti i suoi diritti d’autore sono devoluti alle attività della Soka Gakkai. L’organizzazione, che conta dodici milioni di membri in Giappone e circa due milioni oltre oceano, senza ombra di dubbio è forte socialmente ed economicamente, ma questa forza non è personale di Ikeda.
    Egli porta avanti la sua leadership in quanto maestro buddista, ma la vita economica e finanziaria – in Giappone e in ogni altra nazione – è gestita da numerosi comitati interni.
Vengono fortemente ridicolizzati i discorsi di Ikeda e il fatto che egli venga accostato a personaggi storici importanti o addirittura semplicemente li citi all’interno dei suoi discorsi rivolti ai membri: «Accomunandolo a essi – scrivono i due autori – grazie a un fenomeno che i pubblicitari conoscono bene: l’effetto alone. I suoi discorsi, per esempio, sono farciti di citazioni di figure importanti, variegate ma non necessariamente coerenti tra loro, tanto che in uno dei suoi editoriali riesce a inanellare contemporaneamente riferimenti non solo al predecessore Toda, ma a Kennedy, al Mahatma Gandhi, al premier cinese Zhou Enlai, ad Albert Einstein, a Hegel e allo svizzero Hilty, a Goethe, Rodin, Ibsen, Charlie Chaplin e al poeta Ralph Waldo Emerson, per finire con Senofonte e Socrate, Un vero e proprio album di figurine».
    Visto che gli autori ci hanno insegnato a riconoscere “l’effetto alone”, ora riusciamo a rintracciarlo anche nelle loro parole: i termini che usano: “inanellare”, “album di figurine”, “discorsi farciti”, fanno pensare – prima di qualsiasi altra considerazione – a un ciarlatano piuttosto che a un leader buddista.
    Insomma Ikeda viene condannato a priori già nelle parole usate dagli scrittori (effetto alone), prima che il lettore abbia la possibilità di farsi una sua idea, magari avendo a disposizione (sarebbe bastata nel libro qualche nota in più...) l’intera bibliografia di Ikeda. 
«In nessun caso questo processo di buddificazione da vivo – continuano gli autori – risulta più evidente quanto nelle mostre organizzate dalla Soka Gakkai. A partire da Costruttori di Pace tra il XX e XXI secolo che presenta al visitatore una vera e propria “trinità laica” sokiana, quella formata dai “tre maestri di pace” Gandhi, Martin Luther King e Daisaku Ikeda (cui poi si aggiungono Mikhail Gorbaciov, Nelson Mandela, Madre Teresa di Calcutta, Florence Nightingale, Rosa Parks e Rogoberta Menchù Tum)».
    Per quanto riguarda il processo di “buddificazione” – scorrettissimo neologismo, ma con grande “effetto alone” – ricordiamo che Shakyamuni era Budda da vivo: l’illuminazione si ottiene durante la vita, altrimenti che illuminazione è? E comunque Daisaku Ikeda non si è mai proposto come “Budda”, né qualcuno ha mai usato questo termine per definirlo. 
Neanche un Budda – in virtù della sua natura illuminata e quindi vincente sulla natura egotica della propria vita – si definirebbe mai “Budda”.

    L’accostamento a Martin Luther King e Gandhi – e di conseguenza la mostra “Costruttori di pace tra il XX e il XXI secolo” fu promosso dal Morehouse College, la Chiesa Battista di M.L. King. L’avvicinamento a Gandhi nasce dall’induista professor N. Radakhrishnan, discepolo di Gandhi e direttore della Gandhi Smriti, che definisce Ikeda "l’erede naturale di Gandhi", (vedi: Ikeda Sensei: the triumph af mentor-disciple spirit, Gandhi Media Centre, New Delhi, 1998; e intervista su Buddismo e società, n° 86 maggio-giugno 2001 www.sgi-italia.org/riviste/bs/Inter...?A=691&R=1&C=86).
    È verissimo che l’Istituto utilizza le mostre per diffondere i valori in cui crede, è altrettanto vero che le mostre sono un’occasione per dialogare con i visitatori, come lo è stata la campagna per la Moratoria della pena di morte per la quale sono state raccolte oltre 700.000 firme consegnate alla Comunità di Sant’Egidio.
    Un’imprecisione appare invece nel commento alla campagna «a sostegno della proposta per una Legge regionale di iniziativa popolare per la promozione e diffusione di una cultura dell’educazione alla pace e ai diritti umani, effettivamente diventata poi legge regionale il 29 febbraio 2000» (pg. 372). 
Questa legge non è stata semplicemente “sostenuta” dai membri campani dell’Istituto – come scrivono gli autori: è stata da loro ideata e scritta, sono state da loro raccolte le firme legali entro il tempo stabilito, sono stati da loro contattati tutti i partiti dell’arco costituzionale e infine offerta ai cittadini campani. Ikeda ha ricevuto moltissimi riconoscimenti internazionali, questo grazie ai legami che nel tempo (dai primi anni settanta) ha stabilito con numerosi paesi di tutto il mondo (Nel 1974 andò a Pechino a incontrare Zhou Enlai).
    Anche in Italia, certamente non per sua volontà, ma per l’entusiasmo dei membri italiani, molti comuni – anche piccoli – lo hanno insignito della cittadinanza onoraria: questa tendenza – presente anche in altri paesi del mondo – è stata recentemente bloccata dalla casa madre giapponese che si è avocata il diritto di accettare o meno qualsiasi tipo di conferimento per il Presidente.
    A pg. 374 viene recensito il Profilo di Daisaku Ikeda, preparato dall’Istituto con il palese, ovvio, dichiarato, scoperto scopo di far conoscere il Presidente dell’SGI: «Quale sia la funzione di questo libro bianco dell’ikedismo – scrivono – ce lo spiega, in breve, “Adamo”: “Di fronte a cotante amicizie e cotanti premi, chi sono io, umile amministratore locale, per negare un riconoscimento a un personaggio tanto importante?”».
    Questo commento si lega ad un altro, ben più specifico (pgg. 376-377-378), nel quale “Adamo” racconta la vicenda (avvenuta circa dieci anni fa) di una piccola mostra che si tenne nel paese di Lari dove – racconta sempre “Adamo” – si chiese la cittadinanza per Ikeda in cambio della mostra. Certamente spiacevole faccenda – che il presunto autore M.P. non conferma – ma anche ammesso che sia tutto vero, si riferisce a un episodio che si inquadra in una fase sulla quale l’Istituto ha già aperto gli occhi e durante il quale sono state commesse anche azioni prive di saggezza.
    Per inquadrare poi un periodo così complesso, a nostro avviso, non bastano quattro o cinque testimonianze di ex-membri che, alla fine, conducono a considerazioni parziali facendole apparire, nel contesto dell’”inchiesta”, come verità definitive.
    Come quella di pg. 379: «La testimonianza di Adamo ci svela la natura del gioco: piazzare il prodotto-Ikeda, col doppio beneficio di un ritorno di immagine per l’organizzazione. E maggior gloria per lui, il maestro, che aspira – neanche tanto segretamente – al Nobel per la pace. “Ikeda non vuole altro. I sokiani ci passano le ore per strappare una cittadinanza onoraria. Come si fa a ottenere un Nobel? Intanto facciamogli dare onorificenze”, sorride Fedele, “poi lo segnaleremo alla commissione in Svezia, e gli diremo: ‘Lo avete dato a Obama?.. A uno così non glielo date il Nobel per la Pace?’’”».
    Che Ikeda aspiri così profondamente al Nobel non risulta da alcuna affermazione sua o di altri dirigenti della Soka Gakkai, ma solo dalle congetture di “Fedele” e da una considerazione di Sandro Magister (vaticanista de L’Espresso, in un articolo sulla Soka Gakkai citato nella nota a pg. 369).
    Il libro – nella parte che ci riguarda – si chiude con queste parole.
    Ci rendiamo conto dello stato d’animo dei nostri ex membri, ci rendiamo anche conto che studiare un gruppo buddista laico come la Soka Gakkai è faccenda molto più complessa che fare un libro scandalistico e intrigante da vendere bene e in fretta. (Sul sangha della Soka Gakkai è interessante leggere l’intervista che il presidente dell’Unione Buddista Italiana Vincenzo Piga – scomparso nel 1998 – rilasciò al nostro mensile DuemilaUno (n° 59), poi pubblicata su Paramita n° 1, ottobre 1999 dove si legge: «Ammiro moltissimo il fatto che la Soka Gakkai abbia particolarmente curato questo aspetto della comunità dei praticanti: facilitare gli incontri, lo scambio di esperienze, mettere i praticanti in condizione di potersi autogestire, aiutarsi a vicenda»).
    Diverso è stato l’atteggiamento degli studiosi di Sociologia delle Religioni che hanno condotto ricerche sulla Soka Gakkai o di quei rari yamatologi che hanno approfondito la tradizione mahayana di Nichiren Daishonin.
    A questo proposito ricordiamo le indagini pazienti e approfondite della prof.ssa Maria Immacolata Macioti e del prof. Karel Dobbelaere poi pubblicate rispettivamente in: Il Budda che è in noi (Seam edizioni, Roma, 1996) e La Soka Gakkai, un movimento di laici diventa una religione, ElleDiCi, Torino, 1998), gli atti del convegno (sulla presenza buddista in Italia) "Oggi il Risveglio", tenutosi al Centro Congressi dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza nel maggio 1994 (La critica sociologica, 111-112 autunno/inverno 1994-1995) e l’articolo della prof.ssa Macioti "L’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai a un bivio" (La critica sociologica, 141. primavera 2002). Sempre di Maria Immacolata Macioti: Il fascino del carisma – Alla ricerca di una spiritualità perduta, Liguori editore, Napoli, 2009, la voce Soka Gakkai ne Le religioni in Italia (a cura di Massimo Introvigne e Pierluigi Zoccatelli, ElleDiCi, Torino, 2006) oppure la parte sul Buddismo di Nichiren Daishonin contenuta nel libro del prof. Massimo Raveri: Itinerari nel sacro: L’esperienza religiosa giapponese (Libreria editrice Cafoscarina, Venezia, 2006). Lo stesso argomento, trattato dal punto di vista della psicologia transpersonale, in Coscienza e cambiamento, di Riccardo Venturini, Cittadella ed. Assisi, (Pg.), 1998, e anche: Daisaku Ikeda, maestro di dialogo, di Prisca Giaiero (edizioni la meridiana, Molfetta-Bari, 2008). Per la Collana Educatori antichi e moderni, La Nuova Italia nel 2000 ha pubblicato L’Educazione creativa, di Tsunesaburo Makiguchi, il pedagogista e filosofo fondatore – nel 1930 – della Soka Gakkai. Su Buddismo e società n° 85, appare una lunga e approfondita intervista sul Buddismo di Nichiren Daishonin al prof. Silvio Vita, docente presso l’Orientale di Napoli di Religioni e Filosofie dell’Asia Orientale (attualmente in Giappone presso l’Università di Kyoto), (www.sgi-italia.org/riviste/bs/Inter...?A=708&R=1&C=85).

    Utile altresì leggere Scegliere la Pace (Edizioni Esperia, Milano, 1996) il libro di dialoghi tra Daisaku Ikeda e Johan Galtung – uno dei fondatori mondiali degli Studi sulla Pace e la Nonviolenza e le interviste da lui rilasciate alla rivista dell’Istituto Duemilauno (n° 56) e Buddismo e società (n°127 www.sgi-italia.org/riviste/bs/Inter...=1815&R=1&C=127)
    Per concludere, nell’introduzione intitolata: “L’illusione della setta che non si tocca” gli autori dichiarano che «Questa non è un’inquisizione spagnola. (…) Questa non è neanche una crociata albigese. Crediamo nella libertà di religione. Ma crediamo anche, e fermamente, nella razionalità come prima virtù dell’uomo. Una virtù cui le sette impongono all’adepto di abdicare, seguendo gli insegnamenti del guru di turno e separandolo dalla vecchia vita».
    Tutto condivisibile sulla libertà di religione e sulla razionalità, anche se per un/a praticante buddista, oltre alla ragione, sono la categoria del “sentire” e un livello profondo di coscienza a rivestire un grande valore (vedi teoria mahayana delle “Nove coscienze”), così come l’onestà mentale, valido aiuto per bilanciare i lumi della ragione che tanto spesso hanno creato e continuano a creare mostri.
    Alla fine della lettura, comunque, rimane una domanda: ma tutte queste notizie, strategicamente messe insieme, fanno della Soka Gakkai una setta occulta, pericolosa per la democrazia e in grado di attuare una «manipolazione mentale e psicologica» dei suoi 50.000 membri?
    Oppure i 50.000 “manipolati” sono un fantastico bacino di vendita?
    Siamo sempre disponibili e ben felici di dialogare, magari “guardandoci negli occhi” (come scrivono nella prefazione) qualora gli autori ne manifestassero il desiderio.

    L’ISTITUTO COGLIE L’OCCASIONE PER DISSOCIARSI IN MODO NETTO E TOTALE DAGLI ARTICOLI CONTENUTI NEL SITO WWW.SOKARINNOVAMENTO.RU – CHE NULLA HA A CHE FARE COL NOSTRO ENTE RELIGIOSO. 
LE VOLGARI AFFERMAZIONI CONTENUTE NEL SITO, L’INCITAMENTO A UNA "CLASS ACTION" CONTRO GLI AUTORI DEL LIBRO IN QUESTIONE, NON ESPRIMONO LO SPIRITO BUDDISTA DELL’ISTITUTO (E, OGGETTIVAMENTE, LO SPIRITO BUDDISTA IN GENERE).

    Il maiuscolo è presente nel testo originale.

    Non mi rivolgo a nessuno in particolare, perchè finora non ce n'è necessità: si può discutere di tutto, evitiamo solo di innescare flame e crociate di opinioni, com'è successo in altri forum. Non serve a fare chiarezza
     
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    si puo' parlare di "plagio" se si parla di adulti capaci di intendere e volere.
    ad esempio....scientology....ha "fregato" molta gente....ma alla fine si sono andati a incasinare da soli..
    come chi si droga. No?
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    Col plagio wikipediamente parlando :D :teeth: (portate pazienza sono un cretino) "una persona subisce una manipolazione che ne influenza in modo determinante il comportamento e la personalità". La manipolazione è intesa con fini che incidono in profondità nelle persone, non è che chi manipola ti vuol vendere un'enciclopedia, ben altro ...
    Se uno si cerca da solo una droga è un conto, se uno viene indotto buttarsi via invece ...
    Comunque... mah!

    Poi ... a volte il confine tra l'educazione ed il plagio è molto sottile...
     
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  7. Theiwaz
     
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    Porto un contributo di Piero Angela, sui medium:

    www.cicap.org/new/articolo.php?id=101127

    CITAZIONE
    Come fa il medium a sapere tutto dei suoi clienti? Cose che magari non hanno mai detto a nessuno?

    Ci sono molti metodi. Lamar Keene, il medium "pentito" che abbiamo presentato nell'ultima puntata di questa rubrica, me ne ha mostrato uno davvero sorprendente.

    Egli si benda gli occhi in modo molto accurato, con nastri adesivi e un gran fazzoletto nero. Poi chiede a una persona presente di scrivere qualcosa su un bigliettino e di metterglielo tra le mani. Semplicemente toccando questi bigliettini con le dita e avvicinandoli alle tempie, egli riesce a capire esattamente il contenuto delle domande e a rispondere.

    È un esperimento di grande effetto, che crea un clima molto drammatico e che convince facilmente il cliente dell'esistenza di poteri paranormali nel medium. Naturalmente è un trucco. Ma io stesso ho potuto constatare la sorpresa delle persone cui avevo chiesto di sottoporsi all'esperimento, nel vedere Lamar Keene indovinare esattamente quello che avevano scritto.

    Ci sono altri trucchi, che creano effetti ancor più sorprendenti.

    "Un altro metodo" dice Lamar Keene "col quale si ottengono molti successi, consiste nel far scrivere ai clienti dei biglietti chiedendo loro di raccontare alcuni fatti personali, e spiegando che devono bruciare subito dopo tali biglietti in un portacenere, in modo che non ne rimanga traccia. In realtà, lo scrittoio è truccato (c'è sotto una carta carbone), per cui rimane la doppia copia di ciò che hanno scritto... Queste informazioni (fatti personali, problemi intimi, numeri e colori preferiti, persone care, nomi di parenti deceduti ecc.) serviranno per stupirli in varie circostanze. E andranno a finire, insieme a tutte le altre informazioni, nel dossier segreto di ogni cliente".

    "Cioè voi schedavate i clienti?"

    "Certo. Noi schedavamo i nostri clienti, con tutti i dati di cui entravamo in possesso, con le loro storie personali ecc. Poi ci scambiavamo le informazioni con altri medium. Se per esempio un cliente giungeva da noi provenendo da un'altra città, chiedevamo informazioni su di lui ai medium di quella città".

    "Esiste quindi una specie di rete di informazioni e schedature?"

    "Esattamente. Di solito questi clienti passano da un medium all'altro, e non è difficile trovare la loro storia intima già bell'e pronta presso un altro medium. Un altro metodo è quello di rubare la borsetta di una cliente durante la seduta spiritica. È molto facile, perché di solito è appoggiata alla sedia e si è al buio. Un complice vestito di nero la porta in un'altra stanza, prende nota di tutto il contenuto, compreso il numero della patente o del libretto postale, e dopo la riporta al suo posto. Alla prima occasione il medium fingerà di indovinare dei dati che l'interessato crede di essere il solo a conoscere. La stessa cosa si può fare con i portafogli degli uomini. L'effetto è straordinario. E il cliente racconterà a lungo questa sua esperienza. Tutto ciò, sommato agli altri racconti, rafforzerà la fama del medium e la credulità in questo tipo di fenomeni".

    Ammirazione e paura


    Ma il medium non deve essere solo ammirato: deve essere anche temuto. È bene cioè che il pubblico abbia di lui anche un certo timore, così come si ha timore per il soprannaturale. In questo modo il medium si può porre meglio al riparo da eventuali controlli che qualche cliente dubbioso avesse in mente di fare. Infatti, così come nessuno osa tirare la barba a uno iettatore (per timore di rappresaglie psichiche), analogamente, se si crea un clima di timore, ben pochi osano mettersi contro il medium, pensando che egli potrebbe vendicarsi con "fluidi negativi" sulla salute, sulle finanze, sull'amore ecc.

    Naturalmente tutto questo fa parte del gioco, e Lamar Keene mi ha confermato che uno degli obiettivi del condizionamento dei clienti era proprio questo: creare delle pecore...

    Lamar Keene, per creare questo clima di timore, ricorse una volta a un trucco bellissimo, che vale la pena di raccontare.

    L'idea era quella di dimostrare che possedeva addirittura dei poteri di invulnerabilità. Davanti al pubblico dei suoi fedeli disse, con tono drammatico, che essi dovevano avere una prova tangibile che tutto ciò che avevano visto era vero.

    Prese quindi un bicchiere, lo mise dentro un tovagliolo e lo sbatté più volte con forza contro il muro.

    I vetri andarono in frantumi. Dopodiché Keene invitò i presenti a raccogliersi per qualche istante in preghiera. Poi aprì il tovagliolo, prese uno a uno i frammenti di vetro e li mangiò!

    Il pubblico, esterrefatto, vide il medium in una specie di trance masticare questi frammenti, e ingoiarli tutti, senza che neppure una goccia di sangue gli uscisse dalla bocca!

    Qual era il trucco? Nell'attimo di raccoglimento Lamar Keene aveva abilmente sostituito il tovagliolo contenente i frammenti di vetro con un altro contenente dei sottili frammenti di... ghiaccio. E se li era mangiati tranquillamente!

    Questa "granita mistica" ebbe un enorme successo, e confermò le doti soprannaturali (e l'invulnerabilità) del grande medium, e naturalmente la veridicità dei suoi fenomeni...

    A letto col fantasma

    Di fronte a tante prove dell'esistenza di questi poteri e di tante energie misteriose, dell'aldilà e dell'aldiqua, è comprensibile che alcuni clienti non si stupiscano più di niente: neppure della possibilità di... avere rapporti intimi con gli spiriti.

    "Signor Lamar Keene, lei mi diceva che a volte vi sono anche rapporti sessuali nelle sedute spiritiche?"

    "Sì, è una cosa più comune di quanto si creda. Per esempio una vedova chiede di potersi congiungere con il marito deceduto, e il medium cerca di esaudire questa sua richiesta come meglio può. O anche la medium, a volte. Ci sono sempre trucchi e attrezzi per dare questa illusione ai clienti".

    "Ma non sorge mai un dubbio, tra queste persone?"

    "Devo dire che personalmente non ho quasi mai voluto praticare questa specialità (l'ho fatto una sola volta). Ma dai racconti fattimi da clienti, so che la maggioranza pensa veramente di essersi unita al congiunto scomparso. O a qualche personalità della storia. È una cosa abbastanza frequente".

    Ma mai nessuno cerca di smascherare il medium durante la seduta? Mai nessuno si accerta se gli oggetti che volano sono trucchi, se l'ectoplasma è solo un pezzo di stoffa ecc.?

    Abbiamo sentito che c'è una selezione nella clientela, e quindi più la gente crede più si va sul sicuro. Ma non capita mai qualche tiro mancino? Qualche pecora nera che si infiltri per cogliere il medium con le mani nel sacco?

    "È un'eventualità da tenere in considerazione" dice Lamar Keene. "Bisogna stare attenti. A volte qualcuno porta una lampadina tascabile. Il rischio più frequente che si può correre è che il cliente acchiappi lo straccetto di tulle dell'ectoplasma, per mostrare che si tratta di stoffa e non di spirito".

    "Ecco. In questo caso cosa succede?"

    "In questo caso il cliente viene accusato di aver portato lui stesso il tulle per screditare il medium, e viene cacciato via e sconfessato".

    "Ma la gente presente alla seduta, cosa dice?"

    "Ebbene, simpatizza per il medium; perché il medium in quei casi fa finta di entrare in coma (poiché si fa credere ai clienti che se succede qualcosa all'ectoplasma il medium può morire). Quindi tutti gli sono intorno a riconfortarlo, e il medium sfrutta questa situazione per ottenere la loro solidarietà".

    "Però certi trucchi sono stati scoperti, al di là di ogni dubbio?"

    "Sì, a volte capita. lo sono stato fortunato, non mi è mai successo. Ma ad altri medium sì. Alle volte si è accesa la luce, anche per sbaglio, e alcuni colleghi sono stati smascherati. Ma questo, mi creda, non ha troncato la loro carriera. Dopo un periodo di sospensione questi medium riprendono tranquillamente come prima. Per la semplice ragione che c'è sempre gente pronta a credere. In questo campo nasce un nuovo pollo ogni minuto".

     
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    ecco meraviglioso esempio di setta e di plagio ;-)

    p.s. li amo