Ruota del Dharma, un forum di scambio e confronto sulle attività e la pratica del Buddhismo.

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    L'originale in inglese lo trovate qui www.lionsroar.com/a-woman-of-zen/

    Parla della difficoltà incontrata a vivere come donna in un ambiente troppo ancorato a vecchie mentalità, pregiudizi, e comportamenti inadeguati a favorire l'esperienza e la ricerca spirituale.

    Al solito, per favore segnalatemi gli errori grazie

    CITAZIONE
    Una donna dello zen

    di Melissa Myozen Blacker
    24 settembre 2018

    Melissa Myozen Blacker racconta come, in qualità di praticante e insegnante, ha navigato in una tradizione dominata dagli uomini.


    CITAZIONE
    Caso 24, Raccolta della roccia blu
    tradotto dall'articolo, dall'inglese

    Mola di Ferro Liu andò da Kuei Shan.
    Tanto vale incontrarsi, affrontando le difficoltà. Questa vecchia donna esperta non rispetta le regole.
    Shan disse: "Vecchia Vacca, sei arrivata!".
    Cerca le ombre nell'erba sondando con un bastone. È difficile dire chi si incontra girando in quel posto.
    Mola di Ferro Liu disse: "Ci sarà una grande assemblea sul Monte Tai, ci andrai anche tu?".
    La freccia non ha mancato il bersaglio. Nella dinastia Tang si batteva il tamburo, in Corea si ballava. Il rilascio era più rapido; giungere all'accettazione era più lento.
    Kuei Shan si sdraiò.
    Colpire - sì! Chi affronta in questo modo Kuei Shan, sa di prendere le distanze, dissipando la nebbia, facendo altre considerazioni raffinate.
    Mola di Ferro uscì.
    Celebrazione - sì! Incontrare il fulcro e agire.
    Mola di ferro Liu!
    Monaca-sì!
    -Traduzione dal cinese a cura di Dosho Port e altri

    Ho preso la traduzione del caso dalla Raccolta della roccia Blu di Astrolabio Ubaldini, non sono riuscito a tradurre dall'inglese in modo decente
    CITAZIONE
    Caso 24, Raccolta della roccia blu

    Mola di Ferro Liu arrivò da Kuei Shan.1 Kuei Shan disse: "Vecchia
    vacca, così sei venuta!". 2
    Mola disse: "Domani c'è una grande festa comune sul T'ai Shan; voi
    ci andate, maestro?". 3
    Kuei Shan rilassò il corpo e si sdraiò; 4 Mola di Ferro Liu se ne andò immediatamente. 5

    NOTE
    1 . Sarà inevitabilmente difficile rimanerci. Questa vecchia non è all'altezza.
    2. Controlla! Una pertica per sondare, l'ombra di una canna. Dove dovresti
    guardare per vedere l'oscurità?
    3. Non si tira una freccia senza motivo. In Cina battono il tamburo, in Corea
    danzano. Il lasciare andare è stato troppo veloce, il raccogliere troppo
    lento.
    4. La freccia l'ha preso. Dove vedrai Kuei Shan? Chi capisce che tra le lontane
    onde nebbiose c'è un altro mondo di pensiero più eccelso?
    5. Se n'è andata. Ha visto l'opportunità ed ha agito.

    Fin dai miei primi giorni nello Zen, questo koan tratto dal Raccolta della Roccia Blu (appare anche come Caso 60 nel Libro della Serenità) è stato una storia importante per me. Come donna che studiava lo zen con un maestro maschio, ero felice di trovare una persona come Mola di Ferro Liu, una donna che sembra aver avuto un rapporto così profondo e giocoso con il suo maestro maschio, Kuei Shan.

    I casi contenuti in "La Raccolta della Roccia Blu" sono stati raccolti dal maestro cinese dell'XI secolo Xuedou Chongxian. Ognuno di essi è commentato riga per riga dal maestro del XII secolo Yuanwu Keqin. Questi commenti forniscono riflessioni che a volte sono piuttosto misteriose. Ed è così che dovrebbe essere. I koan ci mostrano un modo per confrontarsi direttamente con i mondi apparentemente inconciliabili della realtà consensuale (binaria) e della realtà assoluta (vuota). Nella realtà consensuale, ogni cosa è così com'è e può essere confrontata con altre cose che sono così come sono: neve e pioggia, sole e luna, destra e sinistra, uomo e donna. Nel regno dell'assoluto, invece, queste distinzioni scompaiono. La mente umana discorsiva di un praticante Zen si muove avanti e indietro tra questi due punti di vista. I koan sono uno dei tanti strumenti a disposizione di un insegnante zen per aiutare il suo studente a trovare un modo per vivere in entrambi i mondi contemporaneamente.
    Essere una donna nello Zen è stato problematico fin dall'inizio. Il mio primo insegnante mi trovava fisicamente attraente e sembrava non riuscire a trattenersi dal farmelo sapere.

    Come donna che studiava lo zen, avevo sentito gli insegnamenti buddisti secondo cui le donne erano meno capaci degli uomini di praticare il dharma e di riconoscere la loro natura risvegliata. Questa convinzione non mi sorprendeva. Essendo cresciuta negli Stati Uniti negli anni Cinquanta, la presunta inferiorità delle donne era l'aria che respiravo. Anche se il femminismo emerso negli anni Sessanta mi ha aiutato a superare questi presupposti, ho continuato a lottare con essi. Era difficile per me sfidare la cultura patriarcale che mi circondava; in qualche parte della mia mente profonda e inconscia, portavo con me l'idea di essere meno di un uomo. Tuttavia, ero determinata a praticare il femminismo e a vivere una vita di uguaglianza tra uomini e donne.

    A un certo punto, all'inizio dei miei studi zen, fui testimone di una conversazione pubblica tra una studentessa e il suo insegnante asiatico maschio che mi fece trasalire e mise in discussione molti dei presupposti di cui ero portatrice. La studentessa chiese: "Può una donna raggiungere il risveglio?". L'insegnante rispose: "No". E dopo che i rantoli si sono placati, ha detto: "E nemmeno un uomo può. Né un uomo, né una donna, nessun risveglio". Mentre continuavo il mio viaggio nel cuore della pratica Zen, mi sono tenuto stretto questo racconto. Volendo essere una buona studentessa zen, ho fatto del mio meglio per ignorare le differenze di genere che erano così evidenti e forti nella mia vita. Mi sono sforzata di considerare il genere come vuoto, ma col passare del tempo ho dovuto ammettere che questa visione era limitata e non davvero utile per aiutarmi a risolvere il koan dell'essere donna nel mondo dello zen.

    Come posso comprendere il mio genere nel contesto degli insegnamenti zen? Sono una donna? Non sono una donna? Ci può essere un modo per abbracciare il mio genere senza che questo intralci la mia pratica zen? Mi sono ritrovata a girare intorno a queste domande negli ultimi trentacinque anni di formazione e insegnamento dello zen.

    Essere una donna nello Zen è stato problematico fin dall'inizio. Il mio primo insegnante mi trovava fisicamente attraente e sembrava incapace di trattenersi dal farmelo sapere: un tradimento della fiducia che è arrivato gradualmente e alla fine si è concluso con il mio abbandono. Io imparavo lentamente in questo campo, confusa dalla sua insistenza sul nostro potenziale legame sessuale. Non solo eravamo entrambi sposati, ma mio marito era anche uno dei suoi studenti! Mi sentivo lusingata dalle sue attenzioni, ma sapevo nel profondo delle mie ossa che il tipo di relazione che voleva non riguardava il dharma. I miei fratelli del sangha e le mie sorelle gay erano liberi di essere se stessi con questo insegnante, ma io mi sentivo intrappolata nel mio corpo di donna, limitata a essere un oggetto di desiderio piuttosto che una persona completa.
    Spesso, quando agivo con forza e chiarezza, venivo criticata perché non ero abbastanza femminile. Mi veniva detto di essere più morbida. Questo consiglio non era mai rivolto ai miei fratelli maschi del sangha.

    Naturalmente, questo particolare problema non è unico nello Zen. E non è nuovo. Questa vecchia storia dell'oggettivazione delle donne da parte del patriarcato maschile è presente ovunque nella storia e nella cultura occidentale moderna. Stavo mettendo in scena uno stereotipo: la giovane studentessa vulnerabile di un potente insegnante maschio più anziano. Mi sono sentita tradita, confusa, arrabbiata e triste per molti anni.

    Ritirarmi nel vuoto di genere mi piaceva molto. Nella mia vita, questa visione è diventata un'ancora di salvezza che mi ha aiutato a liberarmi dall'attenzione della predazione sessuale del mio insegnante. Purtroppo, altre donne del nostro sangha non furono così fortunate. E, come ho capito in seguito, vedere la vacuità di ogni cosa è solo metà del cammino del risveglio.

    Mentre cercavo di risolvere questi problemi, ho continuato la mia vita di donna etero nell'America moderna. Mi sono sposata e ho avuto un figlio. Ho lavorato come terapeuta e come insegnante e formatrice di mindfulness, aiutando le persone a vivere pienamente nel mezzo del dolore e della disperazione. Pur sforzandomi nella mia vita zen di essere semplicemente una persona neutrale, nella vita di tutti i giorni ero decisamente una donna.

    Quando sono diventata una studentessa senior, ho lottato per possedere il mio potere. Spesso, quando agivo con forza e chiarezza, venivo criticata perché non ero abbastanza femminile. Mi veniva detto di essere più morbida, di non essere così sicura delle cose. Questo consiglio non era mai rivolto ai miei fratelli maschi del sangha. Ho incontrato lo stesso dilemma nella mia vita professionale.

    Questa lotta cominciò a risolversi quando incontrai il mio secondo maestro zen, James Ford. Egli combinava la chiarezza del dharma con la tenerezza e la gentilezza e dimostrava anche uno scrupoloso rispetto dei confini, riuscendo a evitare che i suoi desideri mettessero in ombra il suo insegnamento. Anche se quando lo conobbi avevo preso l'abitudine di nascondere la mia forza, lui riconobbe subito in me simili qualità di leadership. La sua riluttanza ad accettare la mia mancanza di fiducia in me stessa mi ha aiutato a sviluppare la mia capacità di diventare una insegnante, permettendomi infine di ricevere la trasmissione da lui. Anche allora, mi ci sono voluti anni per integrare il mio genere, la mia personalità e la mia comprensione del dharma.

    Sono stata ispirata dagli esempi di altre donne insegnanti zen e ho imparato molto da molte di loro su come essere una donna della via. Ma l'aiuto che ho ricevuto da queste donne sagge e compassionevoli è sempre stato mitigato dal fatto che molte di loro stavano affrontando problemi simili, come la mancanza di rispetto per la loro forza e il loro potere o il recupero da (o la negazione di) una storia di abusi da parte dei loro insegnanti maschi. Anche altre donne membri del sangha sono state d'aiuto. Attraverso conversazioni sincere con sorelle del sangha e insegnanti donne, esperienze che un tempo sembravano personali si sono rivelate fin troppo comuni.

    Così ho guardato alle storie di koan che hanno ispirato il mio cuore da quando ho iniziato a praticare lo zen. Quando ho iniziato a praticare i koan come giovane studente, c'erano pochissimi esempi di insegnanti donne nelle raccolte tradizionali. Più di recente sono state pubblicate alcune guide utili in questo campo, tra cui Zen Women di Grace Schireson, che offre storie sulla moltitudine di donne le cui vicende sono state registrate nelle storie dello Zen. Molte di queste donne sono solo personaggi di contorno senza nome, "vecchie nonne", come le descrive un insegnante maschio, o donne che vendono tè sul ciglio della strada. Spesso sembrano esistere solo in relazione agli uomini, apprezzate per la loro capacità di sfidare i maestri maschi. The Hidden Lamp, una raccolta di storie curata da Florence Caplow e Susan Moon, raccoglie molti altri esempi di donne insegnanti degli ultimi due millenni e mezzo, con commenti di donne insegnanti contemporanee.
    Volendo essere una buona studentessa di Zen, mi sono impegnata a fondo per vedere il genere come vuoto, ma col passare del tempo ho dovuto ammettere che questa visione era limitata.

    Mola di Ferro Liu è stata la prima donna Zen di nome che ho incontrato nei miei studi, decenni prima della pubblicazione di questi due libri. L'ho trovata affascinante fin dall'inizio. Nata nell'871, il suo nome completo era Liu Tiemo ed era un'allieva di Kuei Shan, l'altro personaggio di questo koan. Sembra che avesse un proprio tempio e che fosse considerata alla pari dei maestri maschi che incontrava. In un incontro, il maestro zen Zihu le chiede: "Ho sentito parlare di Liu la Mola di Ferro. Dicono che non sia facile affrontarti. È così?". E lei risponde: "Dove l'hai sentito dire?". Lui continua: "Lo dicono da destra e da sinistra". Lei risponde: "Non cadere, maestro". Il dialogo si conclude con Zihu che la caccia fuori dalla stanza, picchiandola con un bastone.

    Qui c'è un piccolo accenno della capacità di Liu di fondere il mondo relativo (non facile da affrontare e di cui si sente parlare da destra e da sinistra) con quello assoluto, mentre dice a Zihu di non cadere in mezzo a questo tipo di paragoni e giudizi inutili.

    Volevo tanto essere come lei, una donna di ferro, come la descrive Grace Schireson, dura e più simile a un uomo che a una donna. Era così lontana da chi io, giovane, piccola e timida, avrei mai potuto sognare di essere. Nello studio dei koan, però, è importante guardare al di là delle apparenze. Forse Liu aveva trovato un modo per risolvere il koan dell'essere donna nello Zen.

    Il maestro di Liu era Kuei Shan, allievo di Baizhang. In una delle mie storie zen preferite, che si svolge quando Kuei Shan era ancora uno studente, il suo maestro gli chiese di vedere se era rimasto del fuoco nella stufa. Kuei Shan cercò tra le ceneri e non riuscì a trovare nulla; a quel punto Baizhang stesso frugò tra le ceneri e trovò un tizzone. Mostrandolo a Kuei Shan, disse: "Hai detto di non aver visto nulla, ma che mi dici di questo?". Come studenti, perdiamo regolarmente la fiducia negli insegnamenti. Un vero maestro aiuta lo studente a trovare il tizzone ardente del cuore risvegliato, vivo tra le ceneri di ciò che al momento lo ostacola.

    In seguito, Kuei Shan divenne il cuoco del monastero di Baizhang. In un altro famoso koan, Baizhang stava cercando qualcuno che facesse da maestro in un nuovo monastero sul Monte Gui. Mise una bottiglia d'acqua sul pavimento e chiese ai suoi studenti: "Non potete chiamarla bottiglia d'acqua, come la chiamate?". Il monaco capo rispose: "Non si può chiamare sandalo di legno!". Kuei Shan, tuttavia, si limitò a calciare la bottiglia e ad andarsene. Baizhang nominò Kuei Shan capo del nuovo monastero. Sul monte Gui, Kuei Shan si costruì una capanna e continuò la sua pratica. Dopo circa otto anni, gli studenti cominciarono a riunirsi intorno a lui. Alla fine il loro numero raggiunse le millecinquecento unità. Kuei Shan, che si distingueva per la sua calma, la pazienza e l'abilità nell'insegnamento, produsse quarantuno successori, tra cui Liu Tiemo.

    Guardando il famoso dialogo tra Kuei Shan e Liu - "Vecchia vacca, sei venuta!" - sembra che i due avessero un rapporto piuttosto insolito per l'epoca in cui vivevano. Anche per i tempi attuali, è rinfrescante vedere due persone così giocose come in questo caso, che abbracciano e ignorano il genere. Pat Enkyo O'Hara, nel suo commento a questo koan in The Hidden Lamp, definisce lo scambio "un perfetto pas de deux... soddisfacentemente completo e straziantemente intimo".

    Yuanwu commenta: "Tanto vale riunirsi, toccando il difficile. Recitando la sua parte, questa anziana donna esperta non gioca secondo le regole". Ecco il primo indizio della libertà di Liu, una donna che non è intrappolata dal genere ma è certamente una donna. Kuei Shan la chiama "Vecchia vacca!". In inglese, chiamare una donna " vacca" è un insulto, ma in questa relazione funziona come un riconoscimento di uguaglianza e differenziazione. Kuei Shan stesso si identificava con un bufalo d'acqua, dicendo che quella era la forma in cui sarebbe rinato. Qui, il bufalo maschio e la mucca femmina si incontrano, pronti a impegnarsi.

    Yuanwu paragona l'incontro alla ricerca di qualcosa nell'ombra dell'erba con un palo. Non si può ancora vedere, ma si può toccare, all'inizio in modo remoto. È un invito. Kuei Shan chiede: "Cosa farai, mio vecchio amico, con questo momento?".

    Liu lo invita a un banchetto: una risposta semplice e diretta dal mondo della realtà consensuale. Non c'è nulla di complicato. Yuanwu commenta questa schiettezza, paragonando le parole di Liu a una freccia che non manca il bersaglio: "Nella dinastia Tang, batti un tamburo; in Corea, danza". Siate adeguati al luogo e alla situazione in cui vi trovate. Lei è come la freccia, che si libera improvvisamente nell'aria senza esitazione.

    E ora la storia prende una svolta. Kuei Shan non risponde dal mondo binario e dualistico. Semplicemente si sdraia. Yuanwu approva. Nel modo in cui commenta, anche Kuei Shan stesso ha dato un colpo preciso. Due frecce si sono incontrate a mezz'aria. La nebbia si è dissolta, ogni confusione è stata messa da parte.

    Liu risponde andandosene. Non c'è altro da dire. Anche Yuanwu approva, e la definisce una celebrazione. Il verso "incontrare il perno e agire" si riferisce alla capacità di trasformarsi rapidamente dall'unità alla differenziazione nel momento in cui la situazione fa perno. Tutto è in equilibrio su un punto sottile, pronto a cambiare in un attimo. Se abbiamo imparato a vivere in entrambi i mondi dell'unità e della forma, possiamo eseguire questa danza insieme.

    Gli ultimi due versi di questa nuova traduzione - "Mola di Ferro Liu! / Monaca-Si!" non si trovano di solito nelle moderne raccolte di koan; Dosho Port mi ha detto di averli scoperti nei caratteri cinesi. Lui e io ne siamo stati reciprocamente entusiasti. Per me sono l'affermazione di una donna forte che può giocare nei campi del vuoto e della forma, come richiesto.

    Nello Zen c'è la pratica di dire sì a tutto ciò che incontriamo. Quando succede qualcosa che fa male, quando c'è qualcosa di gioioso, diciamo semplicemente sì. Dopo tutto, dire di no è una forma di obiezione alla realtà. Possiamo certamente passare la vita a farlo, ma alla fine dobbiamo inchinarci a ciò che è reale. (E a volte questo include dire sì alla mente che rifiuta).

    Qui, Xuedou e Yuanwu dicono sì a Mola di Ferro Liu. Mentre rifletto su ciò che ho imparato nella mia vita di donna Zen, ricordo tante volte in cui ho detto di no a ciò che sono, lasciandomi definire da ciò che gli altri pensavano dovessi essere. Ora vedo il mio lavoro nel mondo come un essere pienamente me stessa. Sono una donna. E non sono una donna. In definitiva, sono sia una donna che non una donna. Quando mi alzo al mattino durante un sesshin, indosso la mia biancheria intima femminile, mi pettino e indosso la mia veste da sacerdote. In altri giorni, indosso la mia biancheria intima femminile, mi pettino e indosso gioielli. Tutti questi abiti e segni di forma sono fatti di vuoto.

    Nell'attuale clima politico, è più difficile ignorare la misoginia che si cela dietro le critiche palesi alle donne forti e la negazione del nostro valore di esseri umani completi. Incontriamo il sessismo ogni giorno - a volte come un'ombra e a volte inevitabilmente nelle notizie, nelle relazioni, nelle nostre famiglie. È possibile, senza cadere nella reazione eccessiva o nell'ignoranza, affrontare direttamente ogni caso? Essere presenti in questo modo ha un costo emotivo. A volte sentiamo il dolore e l'ingiustizia dell'oggettivazione in modo più forte, a volte meno. Ma in ogni caso, attraverso la pratica di allargare la nostra visione della realtà, di unire i mondi dell'uguaglianza e della differenziazione, possiamo imparare a sentirli pienamente. Il nostro dovere, come praticanti di qualsiasi genere, è quello di dire di sì a qualsiasi cosa si presenti e poi di agire dal luogo equilibrato della risposta piuttosto che della reattività.

    La mia intenzione è di essere come Mola di Ferro Liu: trovare un modo per essere diretta e giocosa nei miei incontri con ciò che spesso è stato confuso e frustrante. Donna! Nessuna donna! Donna insegnante zen - sì!

    www.learnreligions.com/women-ancestors-of-zen-449935
    CITAZIONE
    Liu Tiemo (780 ca. - 859 ca.), la "Mola di Ferro".
    "Liu Tiemo era una contadina che divenne una formidabile argomentatrice. Era chiamata la "Macina di ferro" perché riduceva in pezzi i suoi sfidanti. Liu Tiemo era una dei 43 eredi del dharma di Kuei Shan Lingyou, che si diceva avesse 1.500 discepoli.

    https://boundlesswayzen.org/guiding-teachers/
    Melissa Myozen Blacker Roshi, è una monaca Zen Soto, erede del Dharma di James Myoun Ford Roshi, in due lignaggi: una trasmissione Soto ordinata attraverso Jiyu Kennett, Roshi, e un lignaggio laico di insegnamento dei koan attraverso John Tarrant Roshi. È badessa di Boundless Way Zen e, insieme al marito David Dae An Rynick, Roshi, è insegnante residente al Boundless Way Temple di Worcester, Massachusetts. È laureata in antropologia, musica e psicologia del counseling e ha uno studio privato di counseling contemplativo. Dal 1992 al 2012 è stata insegnante e direttrice di programmi presso il Center for Mindfulness, fondato da Jon Kabat-Zinn. I suoi scritti sono pubblicati in diverse raccolte, tra cui Best Buddhist Writing 2012 e The Hidden Lamp, ed è coeditrice di The Book of Mu: Essential Writings on Zen's Most Important Koan. I suoi scritti appaiono anche in varie riviste buddiste, tra cui Shambhala Sun, Lion's Roar e Buddhadharma. Il suo blog si trova all'indirizzo http://fireflyhall.blogspot.com/

    Edited by warmbeer - 26/5/2023, 23:15
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    Jiriki e Tariki sono due termini delle scuole buddiste giapponesi che classificano il modo in cui una persona diventa spiritualmente illuminata.

    Jiriki (自力) la propria forza, raggiungimento della salvezza grazie alle proprie (自) forze (力)
    Tariki (他力) significa "altro potere", "aiuto esterno" forze (力) di un’altra persona (他)

    Nel Buddismo della Terra Pura si raggiunge l'illuminazione attraverso la fede e l'affidamento ad Amitabha Buddha. Questo è un esempio di Tariki
    Jiriki implica l'esperienza personale. Un esempio di Jiriki nel Buddismo è la pratica della meditazione.

    https://en.wikipedia.org/wiki/Jiriki_and_tariki
  4. .


    CITAZIONE
    Il Prof. Silvio Calzolari prendendo spunto dal suo libro Arhat. Figure celesti del buddhismo parlerà del tema: “Riflessioni sul concetto di ‘Arhat’ e sul Jiriki e Tariki giapponesi“.

    9 giugno 2022, Shinnyoji, Firenze.

    Sul prof Calzolari:
    www.lunieditrice.com/autori-luni-e...a-bibliografia/
    CITAZIONE
    Orientalista e storico delle religioni, Calzolari Silvio. Laureato in lingua e letteratura giapponese con il prof. Fosco Maraini, ha pubblicato numerosi saggi, libri e articoli su riviste specializzate.

    Già collaboratore della Nippon Dēkyō Gakkai (società giapponese di studi Taoisti), ha condotto ricerche in Giappone con il prof. Tadao Sakai (Storia delle Religioni all’Università Taisho di Tokyo, e con il prof. Kawaguchi Hisao (Antopologia ed Etnologia all’Università di Kanazawa).

    Ha condotto ricerche sul Taoismo e sul Buddhismo esoterico Shingon Mikkyō. Attualmente insegna Storia delle Religioni Orientali presso l’Istituto Superiore di Studi Religiosi (Issr) a Firenze.

    Il sito del centro Shinnyoji di Firenze
    www.zenfirenze.it/
    Il canale YT del centro
    www.youtube.com/@centrozenfirenze-shinnyoji2334
  5. .
    Per caso mi sono imbattuto in questo testo (testo in pali/inglese), mi è sembrato particolare.

    https://readingfaithfully.org/therigatha-i...indle-pdf-docx/

    eccone un paio

    CITAZIONE
    Mittātherīgāthā:
    Versi dell'anziana Mittā

    “Saddhāya pabbajitvāna,
    mitte mittaratā bhava;
    Bhāvehi kusale dhamme,
    yogakkhemassa pattiyā”ti.

    "Ora che sei partito per fede,
    Mittā, apprezza i tuoi compagni spirituali.
    Coltiva le qualità salutari
    per ottenere la salvezza dalla schiavitù".

    Mittā therī
    L'anziana Mittā

    CITAZIONE
    Abhayātherīgāthā:
    Versi della madre dell'anziano Abhayā

    “Abhaye bhiduro kāyo,
    yattha satā puthujjanā;
    Nikkhipissāmimaṁ dehaṁ,
    sampajānā satīmatī.

    "Abhayā, questo corpo è transitorio:
    questo è ciò di cui gli esseri mondani dovrebbero occuparsi.
    Metterò da parte questo corpo
    con consapevolezza e chiara comprensione.

    Bahūhi dukkhadhammehi,
    appamādaratāya me;
    Taṇhakkhayo anuppatto,
    kataṁ buddhassa sāsanan”ti.

    In mezzo a tanta sofferenza,
    mi sono dedicata all'attenzione.
    Ho ottenuto la distruzione della brama,
    e ho completato l'insegnamento del Buddha".

    Abhayā therī
    La madre dell'anziano Abhayā

    Qui un estratto di alcune meditazioni ispirate al testo
    www.buddhistinquiry.org/wp-content...20_Weingast.pdf
    Traduco la prima

    CITAZIONE
    Mitta ~ Amico

    Piena di fiducia hai lasciato la casa
    e presto hai imparato a percorrere il Sentiero
    facendoti amico di tutti
    e a fare di tutti un amico.
    Quando tutto il mondo è tuo amico,
    la paura non troverà un posto da chiamare casa.
    E quando la mente sarà tua amica,
    saprete cosa significa fiducia
    significa davvero.
    Ascoltate.
    Ho seguito questo Sentiero dell'amicizia fino alla fine.
    E posso dire con assoluta certezza
    vi condurrà a casa.


    Edited by warmbeer - 19/5/2023, 15:30
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    www.canonepali.net/milindapanha-libro-iii-capitolo-v/
    CITAZIONE
    Rinascita senza trasmigrazione

    Il re disse: “Dove non vi è trasmigrazione ci può essere rinascita, Nagasena?”
    “Sì, o re.”

    “Ma come può esservi? Datemi un esempio.”
    “Immaginate un uomo, o re, che accenda una lampada da un’altra lampada, può essere che la prima trasmigri da, o nella seconda?”
    “Certo che no.”
    “Proprio così, grande re, vi è rinascita senza trasmigrazione.”

    “Datemi un altro esempio.”
    “Vi ricordate, grande re, di aver imparato, quando eravate un ragazzo, qualche verso o altro dal vostro maestro?”
    “Sì, mi ricordo.”
    “Allora quel verso trasmigrò dal vostro maestro?”
    “Certo che no.”
    “Proprio così, grande re, vi è rinascita senza trasmigrazione.”

    “Molto bene, Nagasena.”

    L’anima

    Il re chiese: “Venerabile Nagasena, l’anima esiste?”
    “Secondo la realtà assoluta, o re, l’anima non esiste.”

    “Molto bene, Nagasena.”

    Non si è liberi dalle azioni malvagie

    Il re disse: “Nagasena, c’è un essere che trasmigra da un corpo all’altro?”
    “No.”
    “Allora se non vi è nessuno che trasmigra da un corpo all’altro, si è liberi dalle azioni malvagie?”
    “Sì, se non si rinascesse, ma se si rinasce allora no.”

    “Datemi un esempio.”
    “Immaginate, o re, che un uomo rubasse dei manghi ad un altro, sarebbe un reato degno di essere punito?”
    “Sì.”
    “Ma poiché questi manghi che quell’uomo ha rubato non sono gli stessi che l’altro ha piantato, perché deve essere punito?”
    “Perché quelli rubati sono il frutto di quei manghi che furono piantati.”
    “Proprio così, o re, è attraverso le azioni che si fanno con questo nome-e-forma, belle o brutte, che si rinasce in un altro nome-e-forma, perciò non si è completamente liberi dalle azioni malvagie .”

    “Molto bene, Nagasena.”

    Le azioni compiute

    Il re disse: “Quando le azioni sono compiute, Nagasena, da un nome-e-forma, cosa succede a quelle azioni?”
    “Le azioni lo seguono, o re, come un’ombra che non lo lascia mai.”
    “Si possono indicare quelle azioni, dicendo: “Quelle azioni sono qui oppure là.”
    “No.”

    “Datemi un esempio.”
    “Ora cosa pensate, o re? Si possono indicare i frutti che un albero non ha ancora prodotto, dicendo: “Eccoli qui, oppure là.”?”
    “Certo che no, venerabile.”
    “Proprio così, grande re, finché la continuità vitale non è recisa, è impossibile indicare le azioni compiute.”

    “Molto bene, Nagasena.”

    Chi rinasce sa di rinascere

    Il re disse: “Chi è in procinto di rinascere, Nagasena, sa di rinascere?”
    “Sì, o re.”

    “Datemi un esempio.”
    “Immaginate, o re, un contadino che piantasse dei semi in un terreno, e che vi fosse pioggia abbondante, saprebbe che vi sarà un raccolto?”
    “Sì.”
    “Proprio così, grande re, chi è in procinto di rinascere sa di rinascere.”

    “Molto bene, Nagasena.”

    Una persona come il Buddha

    Il re disse: “Esiste una persona simile al Buddha, Nagasena?”
    “Sì.”
    “Lo si può indicare come essere che è qui o là, Nagasena?”
    “Il Beato, o re, è trapassato in quel genere di trapasso in cui nulla rimane per formare un altro essere. Non è possibile indicare il Beato come essere che è qui o là.”

    “Datemi un esempio.”
    “Ora cosa pensate, o re? Quando la fiamma di un grande fuoco ardente è estinta, è possibile indicare la fiamma e dire che è qui o là?”
    “No, venerabile. Quella fiamma è cessata, è svanita.”
    “Proprio così, grande re, il Beato è trapassato in quel genere di trapasso in cui nulla rimane per formare un altro essere. Il Beato è giunto alla fine e non può essere indicato come se egli fosse qui o là. Ma lo si può indicare nel corpo della sua dottrina, o re. Perché la dottrina fu predicata dal Beato.”

    “Molto bene, Nagasena.”

    https://it.unionpedia.org/i/Milindapa%C3%B1ha
    CITAZIONE
    Il Milindapañha (pāli, sanscrito: Miliṇḍapañha, "Le domande di Menandro" o anche Nāgasenabhiksusūtra, "Il Sutra del monaco Nāgasena") è un testo buddhista composto sotto forma di dialogo in lingua pāli scritto originariamente in una lingua pracrita, probabilmente in gāndhārī, tra i due secoli a cavallo dell'inizio della nostra era.

    https://it.wikipedia.org/wiki/Milindapa%C3%B1ha
    CITAZIONE
    Della originaria versione in gāndhārī, composta presumibilmente nel Kaśmir, rimangono solo due traduzioni in cinese di autore sconosciuto redatte durante la dinastia Jin (317–420)[1] con il titolo di 那先比丘經 Nàxiānbǐqiūjīng (Il Sutra del monaco Nāgasena, giapp. Nasenbikukyō, conservate nel Lùnjíbù al T.D. 1670).
    Questa versione cinese è in soli tre volumi, a differenza di quella attualmente esistente in pāli in quattro volumi, l'ultimo dei quali a sua volta quadripartito. Questa discrepanza può essere spiegata col fatto che il testo non fu inserito nel canone buddhista in quanto non rientrante in nessuno dei classici "Tre Canestri" (Sutra, Vinaya, Abhidharma) se non in epoca più tarda e nella sola Birmania (nel Sutra Pitaka, sezione Khuddaka Nikaya).
    La mancanza di una precisa collocazione canonica permise che il testo subisse varie modificazioni che si stratificarono nel corso del tempo. Il fatto che il Milindapañha conservi al suo interno, nella successiva traduzione pāli, delle citazioni di testi canonici che non compaiono nel Canone pāli, ma probabilmente appartenenti al perduto canone sanscrito della scuola Sarvāstivāda, permette di confermare la collocazione geografica della genesi dell'opera.
    L'opera in pāli, così come la conosciamo oggi, appare per la prima volta citata in parti del Visuddhimagga di Buddhaghosa (370-450)
    L'opera
    Il dialogo filosofico di argomento buddhista è ambientato nella città di Sāgalā (l'odierna Siyālkoṭ) tra il monaco Nāgasena, altrimenti ignoto, e Milinda, il sovrano indo-greco Menandro I regnante tra il 155 e il 130 a.C. circa su un territorio variamente descritto dalle fonti da una porzione del Punjab fino a tutta la pianura gangetica fino a Pāṭaliputra.
    Oltre alle fonti archeologiche numismatiche, Menandro I è citato da vari storici quali Strabone, Patañjali, Plutarco e nel Gārgīsaṃhitā.
    La struttura del testo è basata su una serie di domande dottrinali e dubbi derivanti da apparenti aporie logiche poste da Milinda a Nāgasena, il quale risponde in stile chiaro e diretto, con molti esempi tratti dall'esperienza quotidiana, ma arricchiti da numerose citazioni da Sutra, brani del Vinaya, biografie delle vite anteriori del Buddha contenute nelle Jātaka.
    Nel testo è riportata anche la presa di rifugio nei Tre Gioielli (il Buddha, il Dharma ed il Sangha) da parte di Menandro, segnando così anche formalmente la sua conversione al Buddhismo. Nel testo si specifica in seguito che il sovrano abdicò in favore del figlio e dallo stato laicale prese i voti monastici.
  7. .
    E' disponibile su due playlist YOUTUBE un corso di lingua Pali in italiano

    Giuliano Giustarini - Corso Lingua Pāḷi - A
    https://www.youtube.com/playlist?list=PLX9...7FwswyIFoD8RkA7

    Giuliano Giustarini - Corso Lingua Pāḷi - B
    https://www.youtube.com/playlist?list=PLX9...0jPyVF32VpqAhhT

    il docente Giuliano Giustarini https://kalyanamitta.it/giuliano-giustarini/
    https://kalyanamitta.it/

    Il canale era di Flavio Munikumara Pelliconi, che manca a molti di noi già da due anni ... tempus fugit
    https://maitreyamilano.it/
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    Per strapparci quattro risate in semplicità
    Essendo cartoon non sono testi da studiare nè pretendono di essere accurati

    Se attivate i sottotitoli inglesi sono comprensibili ;)

    La playlist
    www.youtube.com/playlist?list=PL827F116175285EE7

    Un episodio
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  10. .
    Propongo questo che mi sembra - a prima vista, è molto ampio e non l'ho finito di ascoltare - un ottimo lavoro, fatto da gente preparata. E' presente anche la trascrizione degli audio.

    L'"accento" è la tradizione Theravada

    Se qualcuno - come per fortuna spesso accade - volesse rilanciare l'iniziativa anche su altri siti/forum credo farebbe una ottima cosa.


    p.s. non faccio parte dell'associazione, ho lasciato apposta nei quote il testo così come presente sul loro sito.



    https://kalyanamitta.it/introduzione-al-buddhismo/

    Gli episodi di "Introduzione al Buddhismo":

    - Descrizione della serie
    - Vita del Buddha
    - Insegnamenti fondamentali
    - Il Buddhismo, cosa si intende per esso, come si diffuso in diverse tradizioni
    - Sofferenza e felicità
    - La meditazione
    - L’etica e i cinque precetti
    - La saggezza


    Buddha


    CITAZIONE
    Gli insegnamenti del buddha, la sua filosofia di pratica, sono cosa molto complessa. La cultura indiana era ricca di discussioni filosofiche e religiose, e il Buddha ha spesso preso termini in uso cambiandogli completamente il significato. Si può inoltre osservare che tutti gli insegnamenti del Buddha Siddhattha Gotama (in sanscrito: Siddhārtha Gautama, Buddha Śākyamuni) sono correlati tra di loro in una rete di concetti che offre il massimo del suo potere di spiegazione quando questi vengono intesi collettivamente.

    Vi è l’ulteriore complicazione che il Buddha ha dato insegnamenti in un lungo periodo che va da quando si è illuminato a 35 anni fino alla sua morte a 80: 45 anni di insegnamenti che sono stati tramandati prima per via orale e poi trascritti in migliaia e migliaia di pagine.

    Inevitabilmente, alcuni temi sono stati insegnati in modo diverso in occasioni diverse, anche perché l’obiettivo del Buddha è sempre stato quello di farsi comprendere dal particolare pubblico che ascoltava “dal vivo” i suoi insegnamenti, e così questi erano adattati per argomenti, complessità e riferimenti alle specifiche persone.

    L'associazione si presenta:
    https://kalyanamitta.it/chi-siamo/
    CITAZIONE
    La nostra missione

    Permettere a tutti di praticare e studiare dovunque gli insegnamenti del Buddha e la meditazione

    Vuoi meditare ma non sai come iniziare? Mediti già e vorresti un gruppo con cui farlo, ma vicino a te non ce ne sono? Sei interessato alla filosofia e alla cultura buddhista e vorresti approfondirla?

    E’ per rispondere a queste esigenze che abbiamo creato l’Associazione Kalyanamitta, per far conoscere la cultura e la filosofia del buddhismo a tutti gli interessati, ovunque siano, sia di persona che on-line. Pensiamo che sia importante incontrare insegnanti e maestri qualificati e promuove la diffusione di testi anche tramite traduzioni. Vogliamo promuovere la conoscenza e la pratica della meditazione con incontri periodici e ritiri.

    L’associazione Kalyanamitta è riconosciuta come Associazione di Promozione Sociale iscritta al RUNTS – Registro Unico Nazionale degli Enti del Terzo Settore, nella sezione delle Associazioni di Promozione Sociale.

    Le nostre basi: etica ed azione

    I “Tre Rifugi”, quale anelito spirituale, e i “Cinque Precetti”, quale regola minima di condotta morale, uniti all’insegnamento fondamentale delle “Quattro Nobili Verità” sono il perno dell’attività promosse dall’Associazione.

    Monastero Santacittarama

    L’Associazione Kalyanamitta ha la guida spirituale del monaco buddhista Ajahn Chandapalo, abate del Monastero Santacittarama della Comunità Internazionale denominata “Forest Sangha”, riconoscendogli la figura di Guida Spirituale con funzione di ispirazione ed educativa.
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    Un piccolo compendio di affermazioni non banali, che spesso - come sostiene nel testo - solo per la frequenza con cui vengono esposte, consideriamo vere. da www.lionsroar.com/what-the-buddha-never-said/

    CITAZIONE
    1. "La vita è sofferenza".

    Questa è una delle Grandi Bugie sul buddismo - un'affermazione che si presume vera semplicemente perché viene ripetuta così spesso - sia nei libri popolari che in quelli accademici. La frase "La vita è sofferenza" dovrebbe essere un riassunto della prima nobile verità del Buddha, ma la prima nobile verità elenca semplicemente le cose della vita che costituiscono sofferenza: "La nascita è logorante, l'invecchiamento è logorante, la morte è logorante; la tristezza, il lamento, il dolore, l'angoscia e la disperazione sono logoranti; l'associazione con chi non è amato è logorante, la separazione dall'amato è logorante, non ottenere ciò che si desidera è logorante". In breve, i cinque aggregati dell'attaccamento sono logoranti. (Citazione dal Samyutta Nikaya, I discorsi raggruppati del Buddha, 56.11)

    La vita, come si può notare, non è presente nell'elenco.

    Le altre nobili verità dimostrano che la vita non è solo sofferenza: C'è l'origine della sofferenza, la cessazione della sofferenza e il sentiero della pratica che porta alla cessazione della sofferenza.

    2. "L'amore passato non è che un ricordo. L'amore futuro non è che un sogno. Il vero amore è nel qui e ora".

    Una volta ho visto questa frase su un cartoncino attaccato allo specchio del bagno di una casa in cui insegnavo. È così poco attinente a qualsiasi cosa abbia detto il Buddha che non ho idea di quale possa essere stata l'ispirazione originale.

    3. "Non esiste il sé".

    Questa è l'altra Grande Bugia. L'unica volta che al Buddha fu chiesto a bruciapelo se c'è o non c'è un sé, si rifiutò di rispondere (Samyutta Nikaya 44.10). Nel Majjhima Nikaya (i "Discorsi di media lunghezza" del Buddha) 2 affermò che le opinioni "ho un sé" e "non ho un sé" sono entrambe una selva di opinioni che lasciano bloccati nella sofferenza. Quando il Buddha insegnò il non sé (anatta) - in contrapposizione all'assenza di sé - stava raccomandando una strategia per superare l'attaccamento, un modo per recidere la tendenza della mente ad aggrapparsi alle cose rivendicandole come "io" o "mio".

    Il Buddha non ha mai detto nemmeno che "non esiste un sé separato". Ha rifiutato di farsi coinvolgere nella questione dell'esistenza o meno di un qualsiasi tipo di sé.

    4. "Tutto è impermanente".
    5. "La sofferenza deriva dalla resistenza al cambiamento".


    Queste due citazioni errate tendono ad andare insieme. Se tutto cambia, allora l'unico modo per sfuggire alla sofferenza sarebbe accettare che tutta la felicità è impermanente e smettere di cercare qualcosa di più duraturo. Un messaggio piuttosto misero.

    Fortunatamente, il Buddha ha detto semplicemente che tutte le cose prodotte sono impermanenti. Tutto ciò che viene percepito attraverso i sei sensi è prodotto, nel senso che è modellato dalle condizioni, sia esterne che interne.

    Tuttavia, c'è qualcosa di non prodotto che si può sperimentare, ed è il nirvana. (Per saperne di più, vedere il Majjhima Nikaya, i "Discorsi di media lunghezza" del Buddha, 49, e il Samyutta Nikaya, i "Discorsi raggruppati del Buddha", 43).

    Come disse il Buddha, il nirvana è la felicità suprema (Dhammapada 203): libera dal cambiamento, libera dalla morte, libera da tutte le limitazioni. Ecco perché ha insegnato il sentiero: perché le persone possano trovare una felicità incondizionata. Se il suo messaggio fosse stato: "Ehi, non c'è felicità duratura, quindi smettete di pensarci", non sarebbe durato tutti questi anni.

    Per quanto riguarda la seconda citazione errata, il Buddha ha detto che le persone soffrono perché si identificano con cose che cambiano. Quando la mente è abbastanza forte da non aver bisogno di identificarsi con qualsivoglia cosa, allora non c'è più sofferenza. Su questo punto, si veda Samyutta Nikaya 22:1.

    6. "Se vuoi vedere le azioni passate di una persona, guarda la sua condizione attuale. Se vuoi vedere la condizione futura di una persona, guarda le sue azioni presenti".

    Questa idea trasforma il karma in qualcosa di molto semplicistico e deterministico. È quella che io chiamo la teoria del "conto bancario karmico unico": l'idea che la vostra condizione attuale mostri il saldo in corso del vostro conto karmico: la somma di tutte le vostre azioni buone, meno la somma delle vostre azioni cattive, equivale a ciò che state vivendo in questo momento.

    Invece di un singolo conto bancario, il Buddha ha paragonato il vostro karma passato a un campo di semi: Alcuni semi sono già germogliati, altri non sono ancora pronti a germogliare e, per quanto riguarda quelli pronti a germogliare, quelli che ricevono più acqua hanno le migliori possibilità di fiorire. Questo significa che, anche se non potete tornare indietro e cambiare i semi che avete già piantato, avete un certo controllo su quali semi innaffiare. In altre parole, la vostra condizione attuale mostra solo una parte delle vostre azioni passate; le vostre azioni attuali influenzano la misura in cui soffrirete o meno per quella parte.

    7. "Mille candele possono essere accese da una sola candela e tuttavia non diminuiscono la luce della prima candela. La felicità non diminuisce mai se viene condivisa".

    Questa citazione è popolare tra le persone che scrivono opuscoli per la raccolta di fondi, anche se vogliono i vostri soldi e non si preoccupano necessariamente della vostra felicità. È un bel sentimento, ma non c'è traccia di questo nelle parole del Buddha. La cosa che più si avvicina a un sentimento del genere è l'Anguttara Nikaya ("I numerosi discorsi del Buddha") 10:177, in cui dice che quando si acquisiscono meriti e li si dedica ai propri parenti defunti, anche se quei parenti in particolare non si trovano in un luogo - il regno degli spettri affamati - dove possono ricevere quel merito, il merito non va perso. Altri tra i vostri parenti defunti che si trovano in quello stato ne prenderanno parte - e potete essere certi che almeno qualcuno tra i vostri parenti è lì.

    Non è una citazione adatta per gli opuscoli di raccolta fondi, ma vale la pena tenerla a mente.

    Thanissaro Bhikkhu è un monaco Theravada, della tradizione di monaci della foresta. Dopo essersi trasferito in Thailandia e aver studiato per dieci anni sotto la guida di Ajaan Fuang Jotiko, è tornato negli Stati Uniti e ha co-fondato il Metta Forest Monastery nella contea di San Diego, in California, di cui è abate. Traduttore di numerosi sutta e testi classici.

    I suoi testi sono liberamente scaricabili da www.dhammatalks.org/ebook_index.html

    in 4) e 5) "prodotto" si può anche tradurre con "nato", secondo me, ma le frasi andrebbero troppo "aggiustate" e forse sarebbe una forzatura mia

    segnalate per favore le imprecisioni ed errori, tx! ;)

    Edited by warmbeer - 18/5/2023, 00:37
  12. .
    Grazie colpo doppio e ben ritrovato. Sai che sono riuscito a trovare solo l'ebook inglese? Credo si intitoli "How to face the death wirhout fear".
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    Un breve testo molto interessante , di Shohaku Okumura
    Tratto da un suo libro, SŌTŌ ZEN An Introduction to Zazen, liberamente scaricabile (in inglese) qui
    www.sotozen.com/eng/library/leaflet/sotozen/pdf/soto_zen.pdf
    Okumura è sempre molto analitico, ma insieme riesce a mantenersi chiaro e semplice
    sapere in che modo stare con il pensiero in zazen è molto importante

    al solito, segnalatemi per favore errori e imprecisioni nella traduzione. ;)
    CITAZIONE
    Oltre il pensiero
    Nel suo Fukan Zazengi ("Istruzione universalmente raccomandata per lo Zazen"), Shōbōgenzō Zazengi ("Istruzione per lo Zazen") e Shōbōgenzō Zazenshin ("Indicazioni per lo Zazen", "'Ago di agopuntura' dello Zazen"), Dōgen Zenji cita un dialogo tra un monaco e il maestro cinese Yakusan Igen (Yaoshan Weiyan, 745-828). E dice che questo koan esprime l'arte essenziale dello zazen. Il dialogo è il seguente.

    Mentre Yakusan era seduto, un monaco chiese: "Che cos'è il pensiero (shiryō) nella seduta ferma e immobile?".
    Il Maestro rispose: "Pensare (shiryō) di non pensare (fu-shiryō)".
    Il monaco chiese: "Com'è il pensare del non pensare?".
    Il Maestro disse: "Al di là del pensiero (hi-shiryō)".

    Qui ci sono il pensare (shiryō ), il non pensare (fu-shiryō) e l'oltre-pensiero (hi-shiryō). Quando parliamo della mente in zazen (shikantaza) dobbiamo comprendere queste tre parole. Il pensiero è la funzione della mente.
    Il pensiero o shiryō non si limita al pensiero intellettuale e razionale, ma include il sentimento, l'emozione e molto altro. Nel Fukan Zazengi, Dōgen Zenji ha detto: "Metti da parte le operazioni dell'intelletto, della volizione e della coscienza". Le parole originali usate da Dōgen Zenji sono shin (Pali:citta), i (manas) e shiki (vijnana). Nel buddismo delle origini, queste tre parole sono usate alternativamente come nomi per la mente discriminante che fa distinzioni tra gli oggetti. Più tardi, negli insegnamenti Yogacara, shin (citta) si riferisce all'ottava coscienza-alaya. I (manas) si riferisce alla settima coscienza, il mana. E shiki si riferisce ai primi sei strati di coscienza che consideriamo la mente ordinaria.
    Nello zazen mettiamo da parte il funzionamento di tutti questi strati mentali. Anche se li mettiamo da parte, la mente funziona da sola in ogni momento, anche nel sonno. Il flusso di coscienza è come una cascata. Scorre costantemente, ma non ha una natura permanente o un sé.
    Mentre siamo seduti in posizione zazen, il nostro stomaco sta digerendo il cibo che abbiamo mangiato. Il nostro cuore batte e il sangue circola. Tutto il nostro corpo funziona di conseguenza. E il nostro cervello produce pensieri. Anche nello zazen, i pensieri sorgono naturalmente.
    Quando ci sediamo di fronte al muro, come oggetto non c'è nulla di fronte a noi.
    C'è solo il muro. Non abbiamo alcun oggetto nella nostra mente perché non visualizziamo nulla, non ci concentriamo su un mantra e non prestiamo particolare attenzione al respiro. Siamo semplicemente seduti. Eppure molti tipi diversi di pensiero vanno e vengono in modo naturale. È molto chiaro che i pensieri, le emozioni e i sogni a occhi aperti sono illusioni come bolle di sapone nell'acqua. Li lasciamo andare. Non ci aggrappiamo a loro, non li inseguiamo e non li respingiamo.
    Non facciamo altro che sederci.
    Questo è ciò che Dōgen Zenji intendeva quando dice "pensare di non pensare". Non possiamo dire che non c'è pensiero. E non possiamo dire che stiamo pensando. "Pensare di non pensare" è l'espressione precisa della realtà della mente nello zazen. È come il motore di un'automobile al minimo.
    Quando il cambio è in folle, anche se il motore è in movimento, l'auto non si muove. Anche se i pensieri vanno e vengono, non compiamo alcuna azione basata su di essi. I pensieri sono semplicemente inattivi. Non creiamo karma. Questo è ciò che Dōgen Zenji intendeva nello Zuimonki quando diceva che lo zazen è la vera forma del sé e del non fare o non agire (fui).
    Secondo la scuola di psicologia buddista Yogacara, tutte le nostre esperienze (karma) sono immagazzinate nella coscienza alaya come semi. Alaya significa magazzino. Quando incontriamo un oggetto, ognuno di noi lo concepisce in modo diverso e agisce in modo unico, a seconda dei semi che sono stati immagazzinati in passato. Poiché nello zazen non abbiamo oggetti e non afferriamo alcun pensiero che sale dalla nostra coscienza, non produciamo karma. Non siamo sotto il controllo della settima coscienza, che si aggrappa ai contenuti dell'alaya come "io" e influenza i primi sei strati di coscienza a vedere e pensare in modo egocentrico. Il settimo strato di coscienza è considerato la fonte dell'egocentrismo.
    Un'altra espressione di ciò che accade nella nostra mente è ciò che il monaco ha detto dopo: "Com'è il pensare del non pensare". Dōgen Zenji interpretò queste parole non come una domanda, ma come un'affermazione di ciò che sta effettivamente accadendo nello zazen. La comprensione di Dōgen del "come" è la realtà stessa, al di là di qualsiasi espressione verbale o concettuale. Possiamo solo dire "come", "cosa".
    Poi Yakusan ha detto: "Hi-shiryō" o "al di là del pensiero". Sia hi che fu sono negativi. Spesso fu viene usato per negare un verbo e hi per negare un nome. Nel caso di fu-shiryō, shiryō è un verbo. E lo shiryō in hi-shiryō è un sostantivo. Shiryō e fu-shiryō si negano a vicenda come opposizione in una dicotomia. Quando facciamo "pensiero", non possiamo fare "non-pensiero".
    Quando non pensiamo, non possiamo pensare. Ma hi-shiryō nega entrambi e allo stesso tempo li include. Ecco perché lo traduco con "al di là del pensiero" invece che con "non-pensiero".
  14. .
    Ho trovato qui qualcosa che - anche se è troppo per un babbano come me - mi pare un documento valido e completo di riferimenti (per chi è in grado di approfondire, non certo per me)

    www.degruyter.com/document/doi/10.1515/jsall-2016-0001/html

    Riassumo con moooolta sintesi.

    Il Pāli è un dialetto composito , Buddhaghosa equiparava Pāli a Māgadhī , ma anche se fosse un dialetto orientale che il Buddha potrebbe aver parlato, è una traduzione di qualcosa di precedente. E' una lingua mista creata dai monaci, "normalizzata per scopi religiosi"
    Molti studiosi ipotizzano che il Buddha abbia impartito i suoi insegnamenti in Māgadhī o in Ardhamāgadhī antico, Māgadhī antico o Ardhamāgadhī, ma non nacque nè morì a Magadha, nè tenne lì molti dei suoi sermoni, e probabilmente parlava anche una lingua non Indo-Ariana.
    Indipendentemente dalla lingua o dalle lingue utilizzate dal Buddha, molto presto, forse durante la sua vita o poco dopo, man mano che i suoi insegnamenti si diffondevano rapidamente in India, diventavano sempre meno comprensibili nella loro forma originale per chi parlava altri dialetti. Confrontando le traduzioni buddiste parallele che sono giunte fino a noi nei diversi dialetti, gli studiosi anno identificato uno strato precedente che hanno definito una lingua comune, una forma interdialettale con tutte le principali differenze dialettali rimosse e omogeneizzate per facilitare la comunicazione attraverso i confini dialettali.

    Edited by warmbeer - 13/5/2023, 05:57
  15. .
    Riporto qui la traduzione dall'inglese in un documento che potete trovare su www.sciencedirect.com/science/article/pii/S088539241200262X

    Ovvio non so giudicare quanto viene riportato da un punto di vista clinico/medico figuriamoci, però non è questo il topic del forum, per cui ...

    Il testo contiene diversi spunti utili per iniziare a riflettere (e a prepararsi) a quel periodo che presto o tardi (tardi tardi :P ) tocca. E anche su quale comportamento tenere quando siamo noi ad assistere altri, mai supponente, senza spiegoni, senza imporsi o cercare di imporre qualcosa ma stare al nostro posto, supporto, molta vicinanza e ascolto

    Al solito, non sono un interprete, per cui per piacere segnalate per favore errori e imprecisioni

    CITAZIONE
    Vol. 44 n. 2 Agosto 2012
    Journal of Pain and Symptom Management


    Humanities: Art, Language, and Spirituality in Health Care
    Series Editors: Christina M. Puchalski, MD, MS, and Charles G. Sasser, MD



    Scienze umane: Arte, linguaggio e spiritualità nell'assistenza sanitaria
    Curatori della collana: Christina M. Puchalski, MD, MS, e Charles G. Sasser, MD


    La vita è incerta. La morte è certa.
    Buddismo e cure palliative


    Eva K. Masel, MD, Sophie Schur, MD e Herbert H. Watzke, MD
    Unità di cure palliative, Dipartimento di Medicina Interna I, Università di Medicina di Vienna, Vienna, Austria



    Estratto

    L'identificazione dei bisogni spirituali dei pazienti fa parte della valutazione delle cure palliative. Secondo il Buddismo, la sofferenza è inerente a tutti gli esseri umani. I consigli su come ridurre la sofferenza nel corso di una malattia grave potrebbe essere utile ai pazienti con malattie incurabili e progressive. Le cure palliative potrebbero trarre vantaggio dalle intuizioni buddiste sotto forma di cure compassionevoli e di relazione tra morte e vita. Gli insegnamenti buddisti potrebbero portare a una più profonda comprensione delle malattie inguaribili e offrire ai pazienti i mezzi per concentrare la loro mente mentre affrontano i sintomi e i disturbi fisici. Questo potrebbe essere vantaggioso non solo ai seguaci del buddismo, ma anche a tutti i pazienti.
    Pain Symptom Manage 2012 U.S. Cancer Pain Relief Committee. Pubblicato da Elsevier Inc. Tutti i diritti riservati.

    Parole chiave
    Cure palliative, cure di fine vita, buddismo, morte, morire, malattie incurabili, cancro


    La morte e il morire sono un argomento che evoca emozioni così profonde e sconvolgenti che di solito cerchiamo di vivere negando la morte. Eppure potremmo morire domani, completamente impreparati e impotenti. Il momento della morte è incerto ma la verità della morte non lo è. Tutti coloro che sono nati, certamente moriranno.
    Chagdud Tulku Rinpoche (1930 - 2002)


    Introduzione
    Il National Consensus Project raccomanda di includere gli aspetti spirituali, religiosi ed esistenziali dell'assistenza per migliorare la qualità delle cure palliative 1. L'assistenza ai pazienti gravemente malati e in fin di vita è, ovviamente, un processo individuale.
    A maggior ragione, è importante osservare alcuni criteri quando si è a contatto con questi pazienti e tenere conto dei loro bisogni e desideri nelle fasi finali della loro vita. Le cure palliative sono l'assistenza ai malati terminali e ai pazienti in fin di vita. Oltre al sollievo dei sintomi, comprendono l'assistenza psicosociale dei pazienti e dei loro familiari. Un approccio interdisciplinare gioca un ruolo importante nelle cure palliative, perché è necessario considerare gli aspetti fisici, mentali, sociali e spirituali.2 Le convinzioni spirituali possono aiutare i pazienti ad affrontare meglio la loro sofferenza, e la loro considerazione può anche ampliare la relazione tra medici e pazienti, entrando nel campo di ciò che dà al paziente significato e scopo.3,4
    Gli insegnamenti buddisti raccomandano ai medici di curare innanzitutto con amore e compassione. Dal punto di vista buddista, i medici dovrebbero incoraggiare i pazienti a concentrarsi sulla loro mente piuttosto che sui loro disturbi fisici, anche se soffrono di malattie incurabili. Questo è considerato un aspetto importante per il sollievo dei disturbi fisici e psicologici e anche un mezzo per aiutare i pazienti a non essere completamente preoccupati dalla dalla loro malattia. Trovando valore nelle situazioni, nell'etica morale o biografica e nel credo religioso di una persona, un approccio spirituale può essere credenze religiose di una persona, si può ottenere un approccio spirituale.4

    Credenze buddiste e fine della vita
    Gli insegnamenti buddisti hanno una rilevanza duratura perché mettono coerentemente in relazione la morte con la vita. È normale iniziare ad affrontare la morte la volta che ci si affronta. I buddisti sostengono che si dovrebbe iniziare molto tempo prima, in modo che il dolore e l'ansia non interferiscano con la capacità di comprendere la situazione.
    Nella dottrina buddista, il corpo e la mente non sono considerati separati, perché non si pensa che esistano entità indipendenti in modo indipendente. Tutto è intrecciato e collegato causalmente e le cose cambiano e si aggregano continuamente. Ciò significa che la transitorietà e il cambiamento sono caratteristiche fondamentali degli insegnamenti buddisti. Potremmo dire che lo stesso vale per il corpo umano: anch'esso cambia costantemente dalla nascita alla morte e quindi rappresenta questo pensiero. Il corpo è percepito come un insegnante dell'impermanenza.
    Lo stesso Buddha storico cercava una condizione che non potesse essere infranta dalla morte. In seguito all'esperienza dei suoi cari che invecchiavano, si rese conto che tutto ciò che è nato deve morire. Questo lo spinse a cercare la vera natura delle cose. Morì all'età di 80 anni in uno stato di serenità e consapevolezza.
    Il buddismo è considerato una religione moderata, senza rigide formalità, in cui la compassione e il rispetto per la vita sono intrinseci e la morte è considerata parte integrante della vita5.
    A causa del suo approccio non teistico, alcuni lo definiscono più una filosofia che una religione.
    Secondo gli insegnamenti buddisti, è un errore fondamentale pensare al proprio io come se esistesse separato dagli altri. Nel Buddismo, avere un un corpo umano è considerato un raro privilegio, perché la forma fisica è la base per il percorso all'illuminazione. Una persona non è considerata essere o avere un corpo, ma piuttosto di abitarlo.
    Il confronto con la morte va di pari passo con il rifiuto, la negazione e la sfida, non solo nella società, ma anche quando lo si guarda dal punto di vista clinico. Nella scuola di medicina, le malattie incurabili sembrano essere un fenomeno temporaneo, come dimostra il sottolineare ripetutamente che per certe malattie non è ancora stata trovata una cura. Guardando alle malattie incurabili, alla morte e al morire solo da una prospettiva scientifica, la comunità medica rischia di perdere di vista l'individuo.6 Secondo il Buddismo, la verità non si trova in nessuno dei due estremi.
    Le Quattro Nobili Verità sono considerate come l'essenza centrale del buddismo. Sono state esposte dal Buddha subito dopo la sua illuminazione e costituiscono quindi l'inizio del suo insegnamento. Le Verità sono chiamate nobili perché vengono rivelate a chi che ha sperimentato l'altruismo. In questo modo, esse mostrano la vera natura della realtà. Le quattro Nobili Verità sono le seguenti: 1) la nobile verità della sofferenza; 2) la nobile verità dell'origine della della sofferenza; 3) la nobile verità della cessazione della sofferenza e dell'origine della sofferenza; e 4) la nobile verità del sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza e dell'origine della sofferenza.7
    A differenza di altre grandi religioni mondiali, il buddismo non si concentra sulla questione dell'origine del mondo o del senso dell'esistenza. L'origine degli insegnamenti buddisti è la domanda sul perché tutti gli esseri debbano sperimentare la sofferenza. La prima delle Quattro Nobili dice che tutta l'esistenza è sofferenza. Questa include la nascita, la malattia, la morte, la separazione da ciò che è piacevole, l'unione con ciò che è non piace, l'unione con ciò che non piace, l'impossibilità di ottenere ciò che si desidera, e i cinque skandha (skandha significa aggregazione), che possono essere descritti come sensazioni del corpo umano: forma fisica, sensazione, percezione, formazioni mentali e coscienza.
    La seconda verità riguarda la causa della sofferenza. Le cause sono la sete di vita, la lussuria, l'odio, l'ignoranza e l'illusione. Esse vincolano la persona al ciclo vitale. La terza verità è che eliminando la radice della sofferenza, si può ottenere la fine della sofferenza. La quarta verità riguarda i mezzi per porre fine alla sofferenza, ovvero il Nobile Ottuplice Sentiero. Il sentiero per raggiungere la libertà dalla sofferenza comprende la retta visione, il retto pensiero, la retta parola, la retta azione, la retta sussistenza, il retto sforzo, la retta consapevolezza, e la retta concentrazione.
    I buddisti credono che l'esistenza sia limitata e considerano l'ignoranza, la rabbia e l'attaccamento come la radice della sofferenza. La libertà dalla sofferenza e la sua origine possono quindi si può trovare solo al di là dell'attaccamento al corpo, al nome e alla forma. Si dice che questo si ottenga attraverso la meditazione e lo studio degli insegnamenti buddisti.

    Studi sulle cure palliative e Buddismo
    Non siamo a conoscenza di studi sui possibili effetti del buddismo sui pazienti affetti da malattie incurabili che ricevono cure palliative o cure di fine vita. Tuttavia, la stretta relazione tra le preoccupazioni spirituali e la qualità di vita dei pazienti affetti da cancro avanzato evidenziano l'importanza delle cure spirituali nelle cure palliative.8,9 La gestione dei sintomi della malattia alla fine della vita è uno dei compiti più importanti. Se la vita non può essere prolungata, i pazienti esprimono spesso preoccupazioni spirituali.10 La maggioranza dei pazienti considera la religione e/o la spiritualità importanti.11,12
    L'obiettivo delle unità di unità di cure palliative è quello di migliorare l'assistenza ad un livello tale da facilitare la dimissione del paziente dall'ospedale; tuttavia, questo obiettivo è accompagnato dalla circostanza che un'alta percentuale di pazienti soffre di stadi avanzati di malattia e non può essere dimessa e che, di conseguenza, muoiono in ospedale.
    Un approccio spirituale potrebbe quindi aiutare i pazienti ad affrontare la malattia e ad alleviare l'angoscia alla fine della vita. In uno studio empirico di Kongsuwan et al.13 della Thai Buddhist Intensive Care Unit [Unità di Terapia Intensiva Buddista Thailandese], sono state definite quattro qualità fondamentali per descrivere il concetto di morte serena: avere una mente serena, non soffrire, l'accettazione della morte del paziente da parte della famiglia e l'essere con altri e non da soli. Le malattie avanzate possono causare diversi sintomi, e l'obiettivo delle cure palliative è quello di sostenere i bisogni del paziente dal momento della diagnosi, durante e dopo il trattamento. Occorre distinguere tra cure palliative e cure di fine vita, ma entrambe hanno in comune la necessità di migliorare la qualità della vita, la gestione dei sintomi e la gestione della malattia.

    Il potenziale degli insegnamenti buddisti in Cure palliative
    Il buddismo e le cure palliative si concentrano entrambi sul presente. Il ricovero in un'unità di cure palliative è di solito causato da sintomi fisici,14 e l'unità si concentrerà inizialmente sui sintomi con cui il paziente si presenta. Come per la comprensione buddista, il presente è ciò che essenzialmente siamo. Il buddismo non richiede di credere. Uno degli insegnamenti buddisti di base è quello di provare tutto e di non credere ciecamente a ciò che Buddha ha insegnato solo perché si trovano persone convincenti. Non si deve rinunciare all'autonomia o seguire ciecamente la volontà degli altri. Questo porterebbe solo all'illusione. L'obiettivo è scoprire da soli cos'è la verità. Ciò significa che il buddismo non deve essere proposto come un metodo per manipolare la mente dall'esterno. Dovrebbe piuttosto essere considerato come uno stimolo ad affrontare argomenti difficili.
    Affrontare la morte e l'impermanenza della vita è molto importante nella filosofia buddista. La morte è considerata sempre presente e parte naturale dell'esistenza. ''Invece di essere nati e morire, la nostra vera natura è quella di non nascita e non morte".".15 L'evento fisico della morte offre tuttavia l'opportunità di preparare e allenare la mente. Indipendentemente che si tratti di un buddista esperto in tecniche di meditazione, esistono tecniche di approcci ed esercizi buddisti che possono offrire protezione e forza di fronte alla morte.
    Il buddismo è diventato molto popolare in Occidente perché non considera la morte come punto di arrivo. I malati terminali possono imparare a utilizzare gli insegnamenti buddisti per comprendere la loro coscienza come ospite del proprio corpo. In larga misura, la morte fa emergere il desiderio intrinseco dell'uomo di raggiungere l'impossibile, cioè di controllare il corpo durante il processo di morte. Di solito, alla fine della vita, il corpo non può essere controllato, mentre è possibile che la mente rimanga lucida fino alla fine. Un modo per controllare il potere della mente è quello di meditare sugli insegnamenti buddisti sulla morte: Se siamo avvisati di un uragano, non aspettiamo che la tempesta si abbatta sulla riva prima di iniziare a prepararci. Allo stesso modo, sapendo che la morte incombe al largo, non dovremmo aspettare che ci sovrasti prima di sviluppare le capacità meditative necessarie per raggiungere il grande potenziale della mente al momento della morte.16
    Il personale medico può instaurare relazioni intense con i pazienti ricoverati nelle unità di cure palliative. Il buddismo può essere utilizzato dal personale come fonte di ispirazione per i pazienti, anche se non dovrebbe essere suggerito come metodo. La sensazione di non essere in grado di offrire qualcosa a un paziente può portare a un comportamento distante da parte del personale. A questo proposito, il buddismo può essere utile al personale medico, sottolineando l'importanza di usare tutta la saggezza e la compassione possibili per alleviare la sofferenza umana. Nelle malattie avanzate che non possono essere curate, l'assistenza compassionevole come elemento centrale del Buddismo può aiutare il personale medico a cercare di alleviare le sofferenze dei pazienti.
    La pratica medica quotidiana negli ospedali è segnata dalla sofferenza; si tratta di una professione in cui la finitezza della vita è presente ogni giorno. Questa presenza, però, non implica che si debba affrontare una situazione. Bisogna chiedersi perché un confronto spirituale con la morte attraverso il personale medico sia ostacolato piuttosto che promosso in questa realtà professionale, così com'è attualmente in essere.

    Portare il buddismo al letto del malato

    La signora B. era una paziente di 65 anni con un cancro al seno metastatico, ricoverata nel nostro reparto di cure palliative. Era di fede protestante, ma veniva regolarmente visitata da un maestro buddista. Secondo la signora, ciò le è stato di grande aiuto nell'affrontare la sua situazione. La paziente soffriva di un forte dolore da sfondamento, allora il maestro le diede questo: "Se provi dolore, non pensare a quanto sia forte o a quando passerà. Pensa: "Questo è dolore!"". Questo ha reso più facile per la paziente affrontare il dolore.
    Per alcuni pazienti, il buddismo può offrire il sollievo di affrontare apertamente una situazione piuttosto che evitarla. Joshua et al. hanno esaminato la percezione del dolore in un gruppo di meditatori Zen addestrati: La meditazione zen è stata associata a una minore sensibilità al dolore. Un sistema oppioide endogeno altamente efficace con produzione di beta-endorfina e riduzione del cortisolo, potrebbe offrire una possibile spiegazione.17
    Le persone soffrono in modi diversi ed è un fatto che ogni individuo vuole evitare il dolore e la sofferenza. Nell'assistenza ai pazienti con malattie avanzate, non esiste un unico modo per aiutare tutti. Durante l'esperienza con la signora B., il nostro team ha discusso il suo approccio alla filosofia buddista. Abbiamo notato che la filosofia buddista è molto utile per insegnare l'impermanenza. Il Maestro buddista in visita alla nostra unità è stato eccezionale anche per noi. Nel contesto della richiesta alla signora B. di informazioni sulla sua anamnesi come parte del primo colloquio, le è stato chiesto anche quali fossero i suoi desideri; ha espresso il desiderio di vedere il Maestro buddista. Dopo aver consultato il personale infermieristico, il nostro team non ha visto alcuna ragione per non integrare questa visita nella nostra comprensione di come come i pazienti possono essere assistiti alla fine della vita.
    Un'altra volta, la paziente è stata sopraffatta dalla malattia progressiva e divenne disperata. Allora il Maestro mise una goccia d'acqua sulla sulla sua mano e le chiese: "Cos'è questa goccia nella mia mano?". Arrabbiata per quella semplice domanda, lei rispose: "È solo una goccia, non è vero?". Allora lui soffiò via la goccia e disse: "Tu pensi che sia una goccia, ma nel giro di un secondo si è cambiata in un'altra forma. Non puoi controllare nulla di tutto questo. Succede e basta". Il paziente ne dedusse che non aveva senso concentrarsi su ciò che potrebbe accadere nel corso della sua malattia. Queste cose sono imprevedibili, e preoccuparsi dei motivi provoca solo dolore.
    Quando si è a contatto con pazienti che soffrono di malattie che mettono a rischio la vita, bisogna trovare un modo per essere sensibili senza essere disonesti. I turni di visita in un'unità di cure palliative si differenziano da quelli abituali, in quanto un consulto medico in queste circostanze prende in considerazione in misura maggiore i sentimenti personali dei pazienti. Durante i nostri giri, abbiamo scoperto che alcuni elementi del buddismo, senza necessariamente menzionare che si erano buddhisti, potevano dare conforto ai nostri pazienti. Ad esempio, l'istruzione di concentrarsi sul qui e ora, la conoscenza dell'impermanenza di tutte le cose (così come dei sintomi sgradevoli), o l'essere presenti con compassione.
    Contrariamente a quanto si crede, l'esperienza dell'unità di cure palliative ci dice che i pazienti si sentono liberati dopo una discussione sulla fine della vita. Sembra che la percezione realistica della situazione del paziente della situazione lo sostenga nel corso della sua malattia. I dati di uno studio di Steinhauser et al. hanno dimostrato che la domanda "Sei in pace?" funziona bene come strumento di screening per i bisogni spirituali e che il sentirsi in pace correla fortemente con il benessere emotivo e spirituale.18,19
    La pratica medica senza prospettive spirituali può risultare in un affidamento riduzionistico alla scienza senza soddisfare i bisogni dei pazienti.20
    La fine della vita è qualcosa di così personale che la scienza stessa è confusa al riguardo. Come si affronta qualcosa che nessuno può sperimentare senza morire in prima persona?

    Conclusione
    Affrontare la sofferenza è l'elemento comune del buddismo e delle cure palliative. È obiettivo della pratica buddista liberare tutti gli esseri senzienti dalla sofferenza, così come è un obiettivo medico alleviare la sofferenza nelle cure palliative. La pratica buddista nella forma della meditazione può aiutare a evitare la sofferenza. Può anche rafforzare il riconoscimento del fatto che l'esistenza umana è dolorosa. Questo può offrire un sostegno mentale, soprattutto ai pazienti ricoverati in un'unità di cure palliative. Il Dharma buddista, ovvero gli insegnamenti buddisti, può essere utile durante i periodi di sofferenza. Soprattutto negli ospedali ben attrezzati, le esigenze del lavoro quotidiano e il miglioramento delle conoscenze mediche hanno di solito la precedenza sulla coltivazione della mente. Stabilire e offrire insegnamenti buddisti o anche pratiche di meditazione negli ospedali può può rivelarsi benefico sia per i medici che per i pazienti. Potrebbe aiutare i pazienti a diventare più indipendenti dalle influenze esterne. Dover affrontare una malattia incurabile può far perdere l'autocontrollo a una persona che deve avere fiducia nelle mani del personale medico. Essere ricoverati in un'unità di cure palliative significa rinunciare alla propria indipendenza ed essere condizionati da fattori che esulano dal proprio controllo. Mantenere una mente forte e lucida può diventare più difficile in uno stato di salute in peggioramento. Dal punto di vista buddista, questo significa che si è intrappolati in un'esistenza condizionata. Il dolore, l'ansia o l'insicurezza possono portare a uno stress travolgente. È quindi utile preparare la mente in anticipo. L'importanza delle cure professionali è indiscutibile. Tuttavia, la filosofia buddista potrebbe aiutare ad affrontare la transitorietà e la finitudine del corpo umano. Il buddismo potrebbe funzionare come opzione individuale per aiutare i pazienti ad acquisire un maggior senso di autonomia.

    Un piccolo tempio nelle polverose strade secondarie di Kathmandu riporta l'iscrizione: "La vita è incerta, sii buono. La morte è certa, fai del bene".





    Riferimenti
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    Edited by warmbeer - 25/5/2023, 15:11
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