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Boh... Personalmente mi sento di sposare in pieno la prospettiva Ekayana, per cui pur sentendomi più vicino al pensiero Mahayana, apprezzo enormemente il Theravada, e trovo i Sutta del Canone Pali meravigliosi da leggere e rileggere, la base di tutto quanto. . -
Sonosoloio07.
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Da buon (?) bastian contrario, non ha senso la domanda, a meno di rigettare anatta.
Nulla "sopravvive" al divenire per cui chi "raggiunge" il nirvana, "ottiene" la buddhità in realtà non la sperimenta in "sè"/possiede per "sè" qualcosa.
Ci sono esseri eccezionali come Gautama che intonano la canzone, ma con esiste un "sè" che "sia" la melodia suonata. "Mi sono illuminato"? Bella roba, e quindi? Sono comunque un sacco d'ossa.
Il compito è fare del proprio meglio, consapevoli che per chi scrive/parla nulla sopravvive ma da un altro punto di vista per la vita nostra e degli altrinon possiamo fare di più che praticare / far quel che si può.
E' sempre un problema per me pensare che la salvezza sia preclusa a qualcuno, per storia, accidenti o capacità, lo trovo ingiusto. Magari ho risolto in questo modo propro per risolvere questa mia avversione e matter fine alla dicotomia salvo/dannato o giusto/ingiusto. Non è un pensiero che si fonda su chissà quali esperienze o studi o incontri, ma solo opinione personale.
Infatti, è il mio stesso dubbio perché nel therava per raggiungere il nirvana bisogna essere dei monaci? Ok, posso impegnarmi in questa vita ma ciò implicherebbe che alla rinascita ci sarebbe un altra vita e che in questa o nelle altre (che ovviamente non saresti tu stessa ma un altra persona in cui si passa questa fiamma, scintilla) bisogna diventare monanci ma se nella tua essenza non si ha alcun interesse a diventarlo?. -
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Infatti, è il mio stesso dubbio perché nel therava per raggiungere il nirvana bisogna essere dei monaci? Ok, posso impegnarmi in questa vita ma ciò implicherebbe che alla rinascita ci sarebbe un altra vita e che in questa o nelle altre (che ovviamente non saresti tu stessa ma un altra persona in cui si passa questa fiamma, scintilla) bisogna diventare monanci ma se nella tua essenza non si ha alcun interesse a diventarlo?
In tutte le tradizioni è necessario praticare con intensità per poter esperire la liberazione dalla sofferenza. Non è "una cosa che si riceve" per grazia o miracolo. E' difficile conciliare con la vita laica una pratica intensa e continuativa, per cui è più facile vivere in quel modo in un ambiente monastico dove tutto è dedicato in modo più esplicito alla pratica.
Il monaco non ha uno "status" ma espleta una funzione, non c'è nulla di speciale di per sè.
Senza i laici che lo sostengono, chi vive in un chiostro comunque non avrebbe di che sostentarsi, e i monaci dovrebbero portarsi a casa la pagnotta come chiunque altro.
Noi laici dal canto nostro beneficiamo degli insegnamenti dei religiosi, del frutto della loro esperienza, del loro supporto, del loro sostegno e guida.
Diciamo che è uno scambio alla pari, quando è sano: ognuno rinuncia ad una parte della propria vita a favore dell'altro.
Quando è sano
Quando non è sano, ecco il "reverendo venerabile" e il "praticante bancomat", i preti e i fedeli, prendere e dare
Un inciso. Diversi monaci (non credo solo zen) dopo un periodo intenso in monastero hanno un lavoro, e condividono parte dell'esperienza laica.
Altri no.
Tornando all'argomento, non è una ordinazione a fare la differenza ma la continuità e la dedizione alla pratica e allo studio.
Edited by warmbeer - 14/6/2022, 09:17. -
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Dimanticavo: temo che la mia non sia una indicazione ortodossa per cui non prendetemi troppo sul serio. .