Il pensiero filosofico di Franco Bertossa

confronto tra i pensieri filosofico e scientifico occidentali relativi alla coscienza e i modi della conoscenza interiore orientali.

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    CITAZIONE (warmbeer @ 22/9/2021, 00:47) 
    Peer esempio:

    CITAZIONE
    La verità può svelarsi solo se quei sapori l'accompagnano - stranezza e stupore

    Perchè?

    Io risponderei così da praticante in cammino:

    Mistero. E un Mistero non lo spieghi, lo contempli, ci stai, fino a quando non rilascia il suo significato. Così si dà... Così è...


    CITAZIONE
    CITAZIONE
    Assistenza di cui non ti riesce di sapere fino in fondo la verità.

    Cosa vuol dire?

    Scusate errore di scrittura "Esistenza"...

    CITAZIONE (zenbaba @ 22/9/2021, 08:08) 
    CITAZIONE (warmbeer @ 22/9/2021, 00:47) 
    Peer esempio:

    CITAZIONE
    La verità può svelarsi solo se quei sapori l'accompagnano - stranezza e stupore

    Perchè?

    CITAZIONE
    Assistenza di cui non ti riesce di sapere fino in fondo la verità.

    Cosa vuol dire?

    ti ammiro perche' hai capito tutto il resto del testo :XD:

    :D :;wall: :bow:

    Edited by warmbeer - 23/9/2021, 09:05
     
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    Got ignorance?
    Uncertainty is an uncomfortable position. But certainty is an absurd one.


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    CITAZIONE (Loredana Sansavini @ 22/9/2021, 08:40) 
    Mistero. E un Mistero non lo spieghi, lo contempli, ci stai, fino a quando non rilascia il suo significato. Così si dà... Così è...

    Può essere un approccio però è rischioso, perchè la contemplazione imho espone a scambiare sensazioni e percezioni come la cosa reale che è.
    Un po' come la soluzione di un koan. Non c'è modo di "trasmetterla"/"spiegarla, perchè è individuale e frutto di un percorso personale. Se dai una soluzione "prefatta", una regola per approcciarlo e risolverlo, rimane parola riferita a un "non sense" e tutto finisce lì.
    Sempre imho...Però la mia e' una fissazione personale: scartare qualsiasi cosa che sia fideistica.
     
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    Articolo del Maestro Franco Bertossa dalla pagina Facebook del 24/9/2021

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    Per diversi anni ho praticato un tipo di meditazione "violenta"(nulla a che fare con Osho).
    Intendo dire che certe fasi di tale pratica comportano forzature sul naturale andamento fisiologico.
    Volutamente non do altri dettagli perché non sono cose con cui giocare in un fai da te.

    Il risultato di tale pratica è davvero notevole.

    Ogni volta è possibile calarsi nel fondo della coscienza.

    È necessario previamente conoscere la topografia degli affacciamenti della coscienza nel corpo e dei canali lungo i quali essa si sposta (sì, proprio così).

    Per ottenere dei risultati è altresì importante conoscere i centri di potenziamento ed amplificazione del sentire significativo che via via si accende nel praticante.

    Tali risultati consistono nel potersi ogni volta calare nel fondo dello star vedendo coscienziale ripulito di ogni perturbazione mentale.

    "Si ha lo stato di yoga allorché cessa il turbinio mentale", dice Patanjali.
    Allora il veggente si reinstalla nel propria originario stato."

    Questo viene confermato in un'esperienza limpida.

    Quando il fondo coscienziale risplende in un profondo silenzio, si possono attivare stadi più profondi della ricerca.

    Si scava sottilissimamente nel "veggente".

    Prima che intraprendessi tale pratica, l'esperienza che aveva trasformato irreversibilmente la mia vita, quarantuno anni fa, verteva sulla esplosione stupefatta della consapevolezza del mio impossibile esistere - sullo sfondo del nulla.

    Evento che uso chiamare "il miracolo di nessun Dio".

    Prima di allora ero già un meditante da qualche anno e lo sono rimasto dopo.
    Questa pratica "violenta" di cui scrivo la appresi solo successivamente a quella folgorante esperienza.

    Una volta iniziata con metodo detta pratica, succedeva che mi ritrovassi ripetutamente e facilmente, grazie ad essa, nel fondo coscienziale.
    Là constatavo che più a fondo di così non aveva senso cercare, ma mi chiedevo come mai questo ultimo e singolare residuo del "vedere" non splendesse di quel senso di stranimento che avevo vissuto nella prima grande deflagrazione di decenni prima - un "Io sono!" pregno di meraviglia - e nei diversi momenti simili dallo stesso sapore schiusisi dopo.

    Invece niente: giungevo al puro, cristallino, etereo, fondo del vedere e questo restava calmo, senza increspature.

    Ho insistito per parecchio tempo e ogni volta con la stessa domanda: perché mi sembra che esso sia così normale?
    In esso, e quale esso, dovrei invece restare colpito per il suo (mio) esistere, per l'esserci di una coscienza.
    Ma nulla..

    Finché un giorno - notte, in realtà - durante una particolarmente profonda immersione, rivivendo la stessa questione, d'un tratto non mi apparve la risposta.

    Quel fondo si ostinava a restare "normale" e "familiare", ovvero non stupefacente nel suo essere, perché il suo sapore è proprio quello della normalità e della familiarità.

    La luce dello sguardo buddhista più profondo, il vipassana, ovvero la luce della "dharmizzazione" dei vari aspetti del vissuto - dharmizzazione significa che quel che viene di volta in volta colto, sia esternamente che interiormente - mostra ogni fenomeno come singolo, enucleato, distinto dagli altri.

    Quel fondo coscienziale si mostrò esso stesso essere un dharma, un elemento dell'esistenza isolabile, singolarizzabile, come ogni altro.

    Guardo il ciliegio in fiore nel mio giardino - proprio ora nel suo massimo fiorito splendore - e quell'attimo esperito è un dharma; noi diremmo "fenomeno".

    Tutto ciò che si mostra in un lampo di esperienza è un dharma.
    (So che vi sono altri modi di intendere il termine "dharma", ma in molto buddhismo vien inteso come dico e qui calza perfettamente).

    Ebbene, mentre così permanevo nel principio calmo e naturale intriso di sapore di normalità e familiarità - realizzai che quel fondo sapeva di normalità e familiarità radicali proprio perché tale è il suo ruolo: di avere propriamente il sapore di normalità e familiarità.

    Esso è il "dharma familiare".
    Grazie ad esso l'esperienza verte su un sé, un io, e ha il carattere di "mia" esperienza.

    Senza il dharma familiare, l'esperienza ci sarebbe, ma non potrebbe essere "mia".

    Il dharma familiare che funge da tappeto dell'io è il "vijnana", il terzo grado del pratityasamutpada, la coproduzione condizionata, pilastro dell'analisi buddhista dell'esperienza umana..

    E mentre così andavo scoprendo, accadde qualcosa che mi diede un tuffo al cuore.

    Stavo assaporando il "cuore" della prajnaparamita.

    "O Shariputra, tutti i darmi sono vuoti."

    Ma "vuoto", nella mia esperienza precedente, significava che ogni dharma è sospeso nel nulla, in una luce di totale e metafisica stranezza e nel fuoco del più profondo stupore.

    E ciò restava vero poiché spesso mi accadeva, e accade ancora, di restare fulminato dalla luce dell'impossibile che accade - e ciò nel situazioni più ordinarie, come avere una tazza di tè in mano, guardare l'orizzonte o una luce arancione del tramonto stagliata su un antico muro.

    E invece ora mi trovavo nella pieno di una contraddizione:
    la logica dell'inevitabile stupore per l'impossibile e strano fatto d'essere si scontrava con qualcosa che aveva il ruolo di non dover saper di strano e stupefacente, ma di un normalissimo e familiarissimo me stesso.

    Da una semi eternità sono me stesso.
    Come potrei non essermi familiare e normale?

    Il sapore di sé non può che essere il più familiare e normale.

    Ma l'esperienza - che mi accadeva da quasi quarant'anni - della visione dello stupefacente fatto d'essere mi costringeva a vedere anche il "dharma familiare" quale stupefacente.

    Contraddizione.

    Nella logica che frequentiamo, quella della non contraddizione, avrei dovuto risolvermi per una delle due: stupefacente o familiare.

    Qui si mostra quel che l'Occidente non conosce: una dimensione del sapere dove la contraddizione non invalida affatto l'ipotesi, ma la conferma.

    Possono il familiare apparire non-familiare e il normale non-normale?

    Sì.

    Questo è il cuore del Sutra del Cuore e per questo viene chiamato così.

    "Forma è proprio e solo vuoto;
    vuoto è proprio e solo forma."

    E così è con ogni altro dharma, anche con il sapore fondamentale di sé attinto in un assorbimento profondissimo, assoluto.

    Il massimamente familiare è strano e se cerchi lo strano cercalo nel familiare.

    È strano che vi sia un sapore familiare ed è solo grazie al sapore familiare che posso sapere che è strano perfino il poterlo sapere..

    Secondo Seigen Ishin (Ch'ing-yüan Wei-hsin), citato da DT Suzuki:

    "Prima che un uomo studi lo Zen, per lui le montagne sono montagne e le acque sono acque, dopo aver ottenuto una visione della verità dello Zen attraverso l'istruzione di un buon maestro, le montagne per lui non sono più montagne e le acque non sono più acque; quando però raggiunge veramente la dimora del riposo, le montagne sono ancora una volta montagne e le acque sono di nuovo acque ".

    Mi sgorgarono lacrime.

    Il mondo intero mi prese ad apparire in quella doppia luce; doppia ma non duale.

    Tutto è normale e familiare - E - al contempo, è strano e spaesante.

    "Non vi è nulla di più surreale del reale", diceva un grandissimo Maestro di Bologna: Giorgio Morandi.

    Per me fu un compimento.

    Ora il Mistero lo vedo dappertutto e sempre.

    Se è già un mistero che esistano due sapori significanti quali la familiarità e la spaesatezza, quale mai abisso della Sapienza fa sì che essi siano due voci compenetrate mostranti lo Stesso..

    Qui resto nel silenzio vero.

    Quello che domina anche in uno stadio pieno di accesi tifosi.

    E il solo grazie non basta più.


    ...
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    Yoga e Tantra si sviluppano a partire dal respiro, adottando via via altre pratiche di movimento e posture, di visualizzazioni e sonorità (mantra).

    Ciò permette l' "isolamento" del principio cosciente.

    So bene che la descrizione di questo importante traguardo non può essere esaustiva.

    Personalmente, mi accadde la prima volta molti anni fa, dopo un ciclo di pratiche regolari ed intense.

    Meditavo anche di notte.

    Un giorno, seguendo un protocollo preciso che mirava a portare corpo e mente ad una immobilità cristallina, si verificò un fenomeno che poi ho saputo via via riprodurre: l'isolamento della coscienza ripulita di altri fattori di esperienza quali la sensibilità, la immaginatività, la volontà, il ragionamento..

    Avvertivo che era uno stato delicatissimo il quale sarebbe stato guastato dal benché minimo atto di pensiero.

    Era una sorta di spazio terso e silenzioso che trovava distanti, di fronte e attorno al proprio centro cosciente e contemplante, quei fattori i quali, allorché si mescolino a tale spazialità, costituiscono l'esperienza quotidiana e ordinaria.

    Era invece accaduto che la "spazialità cosciente" fosse distaccata dagli altri fattori dell'esperienza.

    Ho poi ancora modificato la mia pratica potenziandola attraverso esercizi più spinti e quel che ora accade è che posso permanere in tale principio e indagare "il principio del principio".

    È un viaggio appassionante perché radicale.

    Ogni volta affiorano intuizioni e comprensioni che mi riempiono di fascinazione.

    Oggi sono molto soddisfatto di questo percorso e ho compreso quel che accade lì, al principio.

    Ciò ha fatto sì che le opinioni su cosa sia la morte - ma, ancora prima, la vita - siano diventate conoscenza diretta.

    Proprio come testimoniato dalle tradizioni tantriche.

    Molto altro è affiorato e lo insegno per piccoli bocconi ai miei allievi più avanzati (da venti a trentacinque anni di pratica con me).

    I mezzi per dirimere i dubbi su vita e morte esistono e possono essere insegnati a persone che dimostrino una seria motivazione nel corso di lunghi anni di pratica e che abbiano vissuto stadi preliminari di risveglio.

    Non sono istruzioni da dare a chi è solamente curioso o a chi non mostra il giusto rispetto per la pratica e per chi gliela insegna.

    E neppure a chi non mostra l'adeguato spessore karmico.

    In che consiste lo spessore karmico?

    Io trovo che abbia a che fare con una speciale forza interiore capace di vivere col niente.

    Tali persone non cadono mai in prostrazione o disperazione.

    La loro forza e il loro equilibrio, anzi, sono di riferimento quando chi sta loro intorno soffre.

    Conosco di tali grandi anime e le seguo con molto rispetto ed attenzione.

    Sono anime antiche.

    La via della meditazione è cosa estremamente seria.

    Ancor più in Occidente dove, per DNA, per lo più la gente è incapace di seria continuità così che diventa problematico dare insegnamenti realmente profondi.

    Il cantiere è aperto, ma credo che richiederà un paio di generazioni per vedere qualche serio esito.

    Intanto si lavora con gioia per la Causa: la nascita del Dharma in Occidente.

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    Franco Bertossa
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    Articolo del Maestro Franco Bertossa dalla pagina Facebook del 9/10/2021

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    Vi sono due nichilismi, quello materialista e quello metafisico.
    Il primo è piuttosto diffuso, vede la vita e la storia del mondo nel gioco della materia e conclude, più o meno lucidamente che senso e valore ultimi non possono esservi poiché la materia non li detiene, cosicché tutto si gioca in questa vita nella quale non ha senso negarsi nulla.

    Il secondo, il nichilismo metafisico è più raro ed è molto più consapevole.
    A mio avviso la figura principale nei tempi recenti ne è Sartre, ma il gigante è Leopardi.
    Per Sartre il fenomeno, ovvero il mostrasi del mondo, è evento originario e misterioso.
    Anche ciò che chiamiamo materia si mostra; è fenomeno il cui mostrarsi non dipende da funzioni materiali le quali, esse stesse, non sarebbero che altri fenomeni..
    Per il nichilista metafisico la vita non ha senso ultimo perché l'esistenza in toto è "di troppo" rispetto a niente.
    "L'uomo è una passione inutile" conclude Sartre in "L'essere e il nulla".

    Il primo è, per lo più, un nichilista operativo, protagonista del mondo della scienza.
    Non è contemplativo; vede le cose e le riduce a problemi da risolvere.
    Oltre non va.

    Il secondo è contemplativo, sa calarsi nel mistero dell'essere, ma non sa trovarvi un valore, essendo che l'esistente è senza fondamento; un di troppo inutile, appunto.

    Il primo non ha fatto i conti radicalmente col fatto d' "essere" che ha ridotto a "stare": le stelle stanno posizionate in cielo e si studiano con metodologie fondate sull'osservazione scientifica; il secondo, invece, vede e contempla essere le stelle, come questa terra; vede che sono invece che non essere e ne vede la misteriosità.

    Ma proprio perché ne vede la misteriosità dovuta alla netta differenza tra ciò che c'è e niente - per cui ogni ragione o fondamento dell'essente starebbe in ciò che c'è non potendo così fungere da veri ragione e fondamento - vede anche che non è possibile attribuire senso e valore all'esistenza.

    Di qui un nichilismo più consapevole e privo di quella fede che ogni nichilista materialista ancora alberga nascostamente in sé e che risulta comicamente naif dal punto di vista del pensiero filosofico e della consapevolezza.

    Il nichilista metafisico è il vero nichilista per il quale nutro una profonda ammirazione: ha visto l'abisso e ne è stato sconfitto da grande guerriero.
    Egli, come il samurai più anziano de "I sette samurai" è un grande generale perché ha perso tante battaglie.
    È un combattente del pensiero degno di profondo rispetto e di essere interpellato ed ascoltato.

    A questi dico che il niente che ha visto e che ha determinato la sua sconfitta è anche la cura alla sua disperazione.

    Occorre, però, scalare i gradi del niente dalla negazione alla vacuità.

    Tale è la cura del Buddhismo.

    Leopardi non poteva conoscerla.
    Cioran ha studiato profondamente il Buddhismo e ne ha visto l'esito, in qualche misura.
    Sartre non l'ha cercata.
    Di Camus dicono avesse un sorriso insolitamente sereno quando lo trovarono morto, schiantato in macchina contro un platano.

    Che l'assurdo gli si fosse mostrato assurdo anch'esso, ovvero vuoto?


    Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
    Silenziosa luna?



    Gate gate paragate parasamgate bodhi svaha!
    Andato, andato, andato oltre, compiutamente andato oltre… quale illuminazione!



    Franco Bertossa
     
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    E neppure a chi non mostra l'adeguato spessore karmico.

    Ma non seguiva una scuola zen prima di "illuminarsi"?
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    Ma non seguiva una scuola zen prima di "illuminarsi"?
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    Bertossa a che titolo divide il grano buono dalla pula? Anche lui "figlio di Dio" come quel tale nato(checché ne dica quella baggianata su Betlemme) in Galilea? :D
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    Articolo del Maestro Franco Bertossa dalla pagina Facebook del 14/10/2021
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    La singolarità e la vacuità

    L'essere non è qualcosa, ché se fosse qualcosa, di tal cosa si darebbe essere.

    La prima Differenza Ontologica heideggeriana, antecedente la svolta verso l'essere che si dà in quanto storia (Ereignis), definisce e mostra il significato di essere quale differenza rispetto a niente.
    Essa appare in "Che cos'è metafisica?", a mio avviso l'opera centrale e chiave per penetrare l'esperienza di pensiero del Maestro dalla Foresta Nera.

    In tale opera il significato di essere appare a partire da quello di niente.

    Il niente non è qualcosa, ché se fosse qualcosa, di tal cosa si potrebbe dare niente.

    Il niente non è un concetto, non un pensiero, una rappresentazione o un'astrazione.

    Il niente è… niente.

    Il niente… non c'è.

    Accade anche il miracolo nel miracolo di esserci, che oltre ad essere, ed essere senza causa o fondamento, anche sappiamo dell'essere - di essere altro rispetto a niente.

    Essere: primo miracolo.
    Sapere e patire l'essere: miracolo nel miracolo.

    Perché è così?

    Non c'è risposta e non ci può essere.
    Se esistesse, farebbe parte del miracolo dell'essere e dunque non potrebbe rivestire ruolo di risposta.

    Resta mistero.

    Ogni cosa si mostra alla luce dell'infondatezza; ogni cosa appare sospesa, muta, misteriosa, ingiustificata nella sua eccedenza rispetto a niente.

    È singolare.

    Nessun nesso, invenzione della mente creatrice di illusioni, seppur funzionali e funzionanti, potrà darle uno statuto di realtà essenziale, intrinseca.

    Volgo lo sguardo al cielo che si apre sopra gli alberi dl giardino.
    Vedo nubi azzurro grigie e mi pare che esse siano davvero tali, che abbiano essenza di nubi.
    Ma se insisto nel contemplarle, esse prendono a "straneggiare" e tale straneggiamento, che Heidegger radica nella Nichtung, che la dottoressa Manuela Ritte ed io abbiamo tradotto con "nienteggiare" (*- vedi nota), si prende tutto.

    Ecco la Angst esistenziale heideggeriana che apre anche alla spaesatezza (Unheimlichkeit), esperienza centrale nell'arte moderna, ma non più in quella contemporanea, la quale ultima, allorché pretenda essere avanguardia, mi pare sovente caratterizzata dalla sola celebrazione della bizzarria.

    Le cose sono, ma altrettanto potentemente anche non sono.

    "L'ente, nella sua totalità, sta affondando" dice Hedidegger.

    Semi di vacuità.

    Infatti la struttura della Differenza è perfettamente sovrapponibile all'intendimento di vacuità.

    Vacuità non è qualcosa, ché se fosse qualcosa, di tal cosa si darebbe vacuità.

    Vacuità di vacuità.

    Il Buddhismo, invece che con "ente nella sua interezza" si esprime con "cinque skandha", ovvero i cinque ambiti esperienziali, i soli possibili dalla densità del materiale (forma) alle sottigliezze coscienziali (vijnana).

    E il Sutra del Cuore entra nel proprio denso facendo affermare al bodhisattva Avalokiteshvara: ""Forma è vuota, vacuità è forma. E lo stesso vale per gli altri ambiti di esperienza (skandha)".

    Ma il Sutra de Cuore va ben oltre, aprendo alla estrema liceità ontologico-etica, ossia il solo rapporto che l'ente ha con il proprio esserci che non ingeneri allucinazioni (karma).

    La vera vacuità è etica.

    Ma ciò sarà per la vita prossima.

    In questa sarebbe già tanto accorgersi di esistere e non piuttosto non esistere. Evento senza il quale si dorme.

    Poiché Buddha vuol dire "svegliato".

    Svegliato al miracolo della Differenza.

    Ma se non vi scalfisce la Differenza, ci siamo ancora molto alieni.

    ...
    Franco Bertossa
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    (*) - Il nienteggiamento non è nemmeno equiparabile ad annientamento e negazione. Il niente stesso nienteggia. Il nienteggiare non è un avvenimento qualsiasi, ma, in quanto respingente rinvio all'ente nella sua interezza che sta sfuggendo di mano, rivela questo ente nella sua piena, e fino ad ora nascosta, [e]straneità (Befremdlichkeit), come l’assolutamente altro - rispetto al niente.
    Nella chiara notte del niente dell'angoscia, solo allora nasce l'originario esser aperto (Offenheit) dell'ente come un così determinato: che è essente - e non niente. Questo «e non niente» detto da noi in aggiunta nel discorso, non è però una spiegazione inserita in seguito, ma è ciò che preliminarmente rende possibile che l’ente sia rivelabile.

    Che cos'è metafisica? - Martin Heidegger, trad. nostra.
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    E allora perchè si dice "qualcosa piuttosto che nulla"? Cosa significa quel "piuttosto che"? Stiamo parlando di qualcosa sullo sfondo? Se il nulleggiare :) non può essere un'alternativa di qualcosa, un'alternativa di qualcosa non nulleggia per niente. Gli zeri contano soltanto all'interno di un numero, nessuno quando si contava con le dita si chiedeva quale fosse il colore di zero pomodori.
     
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    CITAZIONE (fajuzi @ 20/10/2021, 09:43) 
    E allora perchè si dice "qualcosa piuttosto che nulla"? Cosa significa quel "piuttosto che"? Stiamo parlando di qualcosa sullo sfondo? Se il nulleggiare :) non può essere un'alternativa di qualcosa, un'alternativa di qualcosa non nulleggia per niente. Gli zeri contano soltanto all'interno di un numero, nessuno quando si contava con le dita si chiedeva quale fosse il colore di zero pomodori.

    Domande importanti :bow: se vuoi puoi fargliele direttamente sulla sua pagina aperta di facebook :)
     
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    signor no
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    Loredana ,ottima risposta ma non e' il signor Bertossa che posta i discorsi qui ,bensi' tu
     
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    CITAZIONE (zenbaba @ 22/10/2021, 09:12) 
    Loredana ,ottima risposta ma non e' il signor Bertossa che posta i discorsi qui ,bensi' tu

    Sì, hai ragione, io però non sono una Maestra, né ho tali profondità di esperienza... È per questo che rimando... A chi può rispondere...🙇

    Articolo del Maestro Franco Bertossa dalla pagina Facebook del 23/10/2021
    --------

    Il Tantra, l'uovo e la gallina…

    L'analisi che propongo è più efficace se attuata in meditazione, al principio dell'esperienza cosciente, quello che ho chiamato "affacciamento originario su un mondo" e che si attinge attraverso le pratiche di cui ho già scritto nei post precedenti.

    Le discipline dei "prana" (non voglio mistificare, ma vi sono pratiche che conducono a sorprendenti equilibrii enereetici e a centrate e lucide visioni dall'origine) danno accesso allo "sguardo senza occhio", il Mahabindu nella tradizione indiana, o il Thiglé in quella tibetana.

    In tale originario vedere gli "elementi dell'esperienza" originari, i dharma, si offrono alla contemplazione.
    Come ora vediamo le cose attorno a noi e udiamo i suoni, in quella originaria visione si "vedono" lo stesso vedere e l'udire, così come ogni altro "elemento dell'esistenza".

    È una visione dall'origine, trascendente anche ogni forma che essa provasse a dare a se stessa, perfino quella di io-identità che, colà si mostra un dharma (fenomeno) come tutti gli altri.

    Tale originaria visione non è concepibile poiché anche i concetti appaiono in essa.

    È, in ciò, trascendente perché è visione dell'essere: da parte dell'essere circa l'essente.

    Il pervenire a queste sottili dimensioni di osservazione necessita di lungo e disciplinato apprendistato. Tale pratica non va intrapresa per curiosità, ma per amore della verità, un amore che è necessario sia più forte che per la vita stessa.

    Nell'originario "guardare senza occhi" si colgono le spinte che muovono l'esistenza manifestantesi attraverso il potentissimo sapore di "io".

    Quelle spinte rispondono ad una ricerca di senso il cui primo attuarsi, per darsi una possibilità, consiste nella apertura su un ambito in cui si danno fenomeni.

    Tutti funzioniamo così, all'origine.

    (Come si vede, l'impianto esperienziale risuona con quello fenomenologico husserliano e heideggeriano)

    Nel primo vedere i fenomeni si offrono restando sconosciuti fantasmi, dei meri non-nulla.
    Ma ecco che accade un prodigio: l'ostinato mostrarsi del fenomeno vuoto, quasi una "testa di Diego di Giacometti", estorce una luce speciale e necessaria allo sviluppo della ricerca di senso, quella della domanda: Chi è? Cos'è?

    Il mistero stesso dell'ostinato ed ancora oscuro fenomeno-essente estorce tale prodigio: il domandare.

    Qui occorre un esercizio di autoreferenza vissuta.

    La nostra esperienza cognitiva attraversa quattro momenti e solo quattro:

    1. un silente stare sull'aperto;
    2. un accorgersi della irruzione di un fenomeno;
    3. l'accendersi della prodigiosa luce domandante;
    4. il calare nella provvisoria o definitiva risposta.

    Solo quattro e solo questi; nessuno è fatto diversamente.

    Questi quattro momenti - che in articoli ho chiamato i Quattro Tempi della Coscienza (QTC) - si ripetono macinando contenuti sempre diversi, ma permanendo essi sempre tali.
    Mi accorgo, domando e rispondo ora di questo ora di quello, ma sempre mi accorgo, domando e rispondo.

    Se mi contesterai, mi darai ragione poiché l'avrai fatto attraverso quei quattro momenti.

    In tale movimento nasce anche la domanda: "come so che questa - in atto ora - è una domanda?

    Per nulla banale, la risposta avviene autoreferenzialmente: la si comprende MENTRE ancora ci si sta domandando.

    È un evento originario che non ci insegna nessuno, come nessuno ci insegna a meravigliarci.

    Il senso del mondo e il suo costrutto nascono da tali originari momenti.

    Pensare di ridurre anche tali momenti del conoscere a spiegazione naturalistica patisce di un serio problema: la petitio principi o circolo vizioso.

    Tali momenti del conoscere, i QTC, creano mondo, e non il contrario.

    Essi sono trascendentali. Insormontabili.

    - Viene prima l'uovo o la gallina?

    Viene prima questa domanda.


    Franco Bertossa


    P.S. Sono consapevole che i post sono talvolta manchevoli di linearità, ma li scrivo di getto nel poco tempo che ho. Scusate; via via il discorso si chiarirà, spero.
     
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    CITAZIONE (Loredana Sansavini @ 23/10/2021, 09:47) 
    io però non sono una Maestra, né ho tali profondità di esperienza...

    Se è per questo nemmeno Bertossa è un "maestro". Non mi risulta sia riconosciuto come tale da nessuna tradizione. Quindi non buttarti giù!

    Sulla profondità di esperienza, da quello che si legge, Bertossa non è andato troppo aldilà del naso di Heidegger. :D
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