Il pensiero filosofico di Franco Bertossa

confronto tra i pensieri filosofico e scientifico occidentali relativi alla coscienza e i modi della conoscenza interiore orientali.

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    CITAZIONE (Loredana Sansavini @ 25/1/2022, 07:15) 
    Conosco una serie di "esperimenti ontologici" che fanno immediatamente "vedere" il mistero dell'essere e, che avessero fatto diretta esperienza di ciò che mostrai loro, fu palese soprattutto dalle loro facce sbigottite per ciò che avevano esperito, come mi confermò anche un caro amico che partecipava all'incontro.

    Bho.

    Sono frasi come questa che fanno sì che sia difficile prenderlo sul serio(giochi di parole sul "nulla", il "niente", l'"essere" e altri vuoti verbi e avverbi sostantivizzati a parte).
    Che esperimenti? Perché pare sempre che giochi all'illuminato? Quale "mistero dell'essere"? E che ci azzecca con la visione ciclica del buddhismo questa espressione che presuppone un inizio dell'essere(in perfetta continuità con la sciocchezza della creazione dal "nulla")? Questo sì che è un Mistero!


    Il resto del discorso sul nichilismo è la solita interpretazione in chiave "epocale" e "inaudita" del normale ciclo di nascita e morte dei valori sovrastrutturali, ideologici. Interpretazione che manca di visione d'insieme: all'uomo cacciatore/raccoglitore - probabilmente - la nuova società basata sulla produzione agricola deve essere sembrata priva di valori e incapace di darsene degli altri. E invece così non fu. Si ha questa impressione solo se non si guarda la storia nel suo complesso e non si vede che le civiltà continuamente fanno morire valori/fondamenti per farsene inevitabilmente degli altri nel giro di poco. A me non pare che la nostra attuale società non abbia i suoi propri valori o fondamenti ideologici. La cosiddetta "puzza di Dio" Beniana non interessa solo il Buon Signore :D
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    io mi sono stufato di seguire la discussione lo dico onestamente ...pero' nelle prime righe ho visto citato Varela...
    io Varela negli anni 90 l ho letto ...un altro pianeta ,uno scienziato con una visione di frontiera interessato al buddhismo ma con delle basi solidissime ...c'entra nulla con cio' che scrive il signor Bertossa
     
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    Articolo del Maestro Franco Bertossa dalla pagina Facebook del 16/4/2022

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    Fole sull'illuminazione

    Cosa significa illuminarsi?
    In genere lo si intende come esperienza di intuizione profonda relativa a..?

    Ecco, è qui che mi trovo in grande dissenso con molti maestri.

    Avendoci ragionato e meditato per decenni, e per decenni essendomi confrontato con le varie tradizioni, ho concluso che vi sono tre grandi correnti di ricerca.

    La prima segue alla domanda "quale è la mia natura essenziale?".
    La seconda è quella del "cuore", là dove una pienezza del sentire sazia, accompagnando o meno le intuizioni successive alle domande precedenti.

    Ve n'è una terza che segue, invece, alla domanda "Comunque sia, che senso ha?".

    La prima, riguardo al vero Sé, ha, oggi, un grosso seguito, così come quella del "lasciati andare al sentire e non chiederti oltre".

    Io, invece, sono figlio della terza, quella sul senso.

    Ritengo che dove non c'è domanda sul senso dell'esistente nel suo insieme - coscienze sottili e amore inclusi - neppure vi sia profonda illuminazione.

    Ciò non toglie che si possano vivere autentiche esperienze sui binari della ricerca della natura essenziale e su quella del cuore, ma le ritengo parziali.

    La via che mi convince a fondo facendomi spesso apparire polemico e incontentabile nel confronto è quella che ha posto fine al mio disagio esistenziale vissuto e patito tra i quindici e i venticinque anni.

    Ho cercato per tutto il resto della vita persone che avessero vissuto e compreso quel tipo di risveglio e ho realizzato che sono pochissime.

    Che ne abbiano vissuto l'esperienza ve ne sono, ma che anche ne abbiano desunto il significato appropriato, poche.

    Credo che ciò accada anche perché quell'esperienza può assumere toni inquietanti - può spaventare.

    È lunare, siderale.

    D'un tratto il mondo appare sconosciuto, mostruoso, ma al contempo puro, meraviglioso miracolo..

    Invece quando si vive l'esperienza circa la "natura essenziale" le espressioni sono di natura diversa: unità col tutto, vuoto-ma-in-realtà-pieno, pura coscienza, amore infinito, pace senza limiti..

    Questa è la terra dei santi e dei dispensatori di beatitudine.

    Ma v'è dell'altro.

    L'altro lo si coglie solo se si viene sorpresi dalle sue voci.

    La prima esplosione intuitiva lascia il sapore di prossimità al definitivo, ma ancora restano zone oscure.

    Solo indagando con coraggio e abbandono nelle ombre residue si fa chiaro.

    Essere è puro miracolo.

    E ciò non per "il sorriso dei bambini, il canto degli uccellini, i fiori di primavera..", ma per l'essere del tutto, dai rifiuti che imbrattano la natura, agli assassini e ai politici corrotti, così come naturalmente anche dei santi illuminati.

    Questo è difficile capirlo.

    Il discrimine decisivo per la retta illuminazione sta nelle voci che solo il niente può risvegliare e sono voci spaesanti.

    Voci che aprono alla visione della differenza di quel che è - dunque tutto - rispetto a niente.

    Stupore, meraviglia, miracolo.

    Il solo esserci è portento che, se colto appieno, lascia catatonici.

    Dalla illuminazione sulla prodigiosa differenza rispetto a niente prende inizio quella che per me è la vera Via.

    Ed è la via del Buddha.

    Dunque non ci si limita alla natura essenziale a cui, sapendo come meditare, si ha talvolta accesso (talvolta perché v'è quel che noi "tecnicamente" possiamo preparare meditando e v'è azione autonoma della coscienza stessa che, d'un tratto, ti rapisce "sua sponte" e ti fa ritrovare nel suo apersonale cuore madreperlaceo, vuoto ma pieno di potenza e grazia).

    Ma, insisto, non è tutto.

    Il Buddha, primo, lo realizzò classificando anche la infinita coscienza (infinito vijnana) a mero "elemento dell'esistenza"; un dharma come gli altri (dharma: più o meno "fenomeno"; datità specifica dell'esistenza).

    Esiste coscienza, seppure considerata anche nei suoi strati più profondi ed essenziali, come esiste ogni altro elemento dell'esistenza.

    Ciò spinge alla vacuità.

    Vacuità che non sta per "dimensione vuota".

    Oltre non mi spingo perché l'oltre lo si insegna occhi negli occhi.

    Ecco dove non sono d'accordo con l'insegnamento di molti maestri, tradizionali o rivoluzionari che siano.

    E, per completare una trilogia dei post, Osho non ha certo tematizzato il niente nelle sue meditazioni.

    Non sto mettendo in dubbio, come ho ripetutamente scritto, che abbia vissuto un risveglio, ma solo che abbia visto il fondo di quanto sia possibile vedere.

    La bella intervista che linko, purtroppo solo in inglese, esprime, con le sue stesse parole, dove è arrivato.



    Non è certo poco, ma non bastò perché io cercassi ulteriormente di incrociarne lo sguardo e vivere quella rara festa che poche volte nella vita è dato di celebrare.

    Quando accade che due occhi che sanno mirino in altri due occhi che sanno, non si evidenziano solo quattro occhi, ma, in un brivido, sorge potenziata la comune consapevolezza del prodigio ultimo.

    Quello stupefatto silenzio, quella celebrazione ishin denshin, da cuore a cuore, vale una vita.

    Per questo ho cercato tante volte chi ne fosse consapevole.

    Soprattutto dopo che ne ero diventato consapevole io.

    E lo faccio ancora, dopo quarantadue anni.

    Se venissi a sapere che all'alto capo del mondo vi è chi ha questa consapevolezza, partirei subito.

    Il Conte von Dürckheim mi ha insegnato questo: dedica fosse anche il tuo ultimo respiro a condividere questa mistica celebrazione.

    Per questo mi dedicò uno dei suoi ultimi respiri in questo mondo.



    Franco Bertossa
     
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    Articolo del Maestro Franco Bertossa dalla pagina Facebook del 3/5/2022

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    E dunque se il logos senza thàuma è vuoto, la nostra stessa scuola lo è.

    Accade talvolta che un insegnante riesca a risvegliare la meraviglia negli studenti ed ecco che anche il logos prende a parlare con rinnovato vigore.

    Perché?

    Perché solo il sentire colpisce e rivela che nel pensare ne va di te.

    "L'esserci umano è quell'ente per il quale ne va del proprio essere", scrisse Heidegger.

    Il "ne va" irrompe come thàuma e il thàuma dice che ne va.

    Nessuno te lo deve insegnare.

    Per quanto evoluto e sofisticato possa arrivare ad essere il pensiero, solo quando anche le viscere riprendono a parlare, esso si mostra totalizzante.

    L'Oriente lo sa dai primordi, l'Occidente continua ad ignorarlo.

    Allorché la filosofia sarà integrata dal buddhismo, vivremo una nuova aurora del sapere.

    ...
    Franco Bertossa


     
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    Articolo del Maestro Franco Bertossa dalla pagina Facebook del 10/5/2022

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    V'è una nozione difficile a cui attingere ed è quella di Prajna - cuore del Buddhismo.
    È nozione a cui ci si apre a seguito di un'esperienza.
    Io traduco Prajna, concettualmente, non etimologicamente, come il sapere della differenza: il sapere da parte della differenza, circa la differenza.

    Il "da parte della differenza" è problematico, poiché la differenza - differenza di qualcosa rispetto a niente di quel qualcosa, e dunque dell'Universo intero rispetto a niente di Universo - la differenza non è un soggetto, non è un ente: essa dice della differenza di ogni possibile soggetto o ente rispetto al niente di ogni possibile soggetto o ente.

    Beatrice Benfenati, maestra di meditazione e yoga presso Asia di Bologna, ha sottilissimamente precisato che la nozione di niente allorché si esprime la differenza, per non essere ipostatizzata, debba essere usata con la specificazione del "di".
    Esempio: "perché l'ente invece di niente?" guadagna in chiarezza ed incisività se formulata con "perché l'ente invece di niente di ente?".

    Così non v'è possibilità di confondere il niente con un che che non si proprio… un bel niente.

    Niente è solo… niente!
    Non esiste.

    Chiarito ciò, continuiamo prendendo atto che noi, alquanto mirabilmente, sappiamo del niente, di quel che non c'è, e sappiamo anche della differenza rispetto a niente.

    Questo sapere è ciò che caratterizza più originariamente e profondamente la "esperienza umana"; esperienza che, peraltro, fatica parecchio ad assurgere a tali vette, in un susseguirsi di grandi tormenti e sofferenze.

    Dunque Prajna sta per "sapere della differenza: da parte della differenza, circa la differenza".

    Ma, tradizionalmente noi siamo invece impostati su un piano della conoscenza che non fa appello al niente radicale.
    Sulla scia di Heidegger, condivido che tale sia la via della conoscenza da Platone in poi: oblio dell'essere sta per oblio del niente e dunque della differenza rispetto a niente.

    La visione platonica assume che si dia, al principio, un soggetto di cui vada ricercata la verità - ciò risuona anche nel pre platonico "conosci te stesso" scolpito sul frontone del tempio di Apollo a Delfi.

    Nel corso della storia del pensiero la verità è stata dunque cercata come verità circa la natura ultima dell'ente.

    La differenza, invece, non ha per baricentro un soggetto o un ente, ma l'essere perfino del soggetto e di ogni ente nella loro differenza rispetto a niente di soggetto e di ente.

    Ecco, qui inizia il difficile.

    Chiarisco che non sto negando l'esperienza di soggettità, poiché l'essere di un soggetto si conferma perfino nel dubbio e nella negazione di esso:
    Chi dubita?
    Chi nega che vi sia un soggetto?

    Il soggetto, io.
    L'esperienza di soggetto non può essere negata.

    La questione è, piuttosto, che il soggetto non può essere il termine ultimo del sapere. Il sapere ultimo trascende anche il soggetto.

    Ecco la trappola per i mistici di ispirazione platonica-vedantica: certo, penseranno, la Realtà è oltre il soggetto…

    Ebbene, cari amici, quella stessa Realtà non sarebbe (è) un mero niente, ma sarebbe comunque differente rispetto al niente, al niente perfino di quella Realtà.

    Anatman, disse il Buddha (non perfino l'atman, la realtà suprema).

    La conoscenza di questo - Prajna - si riflette nello specchio della mente del soggetto il quale lo assume, lo articola e lo dice, come fa ora, però non si esaurisce nel soggetto, per quanto supremo esso possa essere.

    Tale conoscenza, d'altronde, non appartiene neppure a qualche altra dimensione - la quale dimensione, trovandosi ad essere, sarebbe differente da niente e, dunque, ci farebbe permanere nella impostazione platonica.

    Non a questa dimensione , non ad altre dimensioni più sottili.

    Chi può comprendere questo è liberato.

    "Forma è proprio e solo vuoto, vuoto è solo e proprio forma…"

    "Non v'è la benché minime differenza tra samsara e nirvana."

    "Lo stesso andare e venire del mondo, dipendente e condizionato da altro, non dipendente e condizionato da altro è nirvana - tale l'insegnamento."

    "Anche senza aver trovato l'uscita da questa terra di morte, ecco io ne sono fuori."

    Per concludere, ecco il punto essenziale: a ciò non si ha accesso intellettualmente.

    L'intelletto e la ragione potranno aiutarci ad impostare il problema e a chiarirne i significati in un tempo successivo, ma l'accesso è un lampo, una folgore nella mente e nel cuore.

    Ripeto che tale esperienza è databile: si sa quando è accaduto, ora, giorno, mese, anno.

    Chi non ha vissuto tale improvviso risveglio, ma immagina di stare capendo, sta, appunto… immaginando.

    Accettarlo è difficile per la nostra impostazione educativa oggettiva dove pare sia sufficiente studiare e ragionare, ma le cose stanno così.

    "Se capisci, le cose stanno come stanno;
    se non capisci le cose stanno come stanno."

    A cui alcuni replicano: allora perché affannarmi nel cercare di capire?
    Se ti riesce di non farlo, allora non farlo, rispondo io.


    Franco Bertossa
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    Articolo del Maestro Franco Bertossa dalla pagina Facebook del 5/6/2022

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    Possiamo certamente condividere il fatto che il comprendere avvenga a diversi livelli: dal più ordinario e quotidiano concludere logico, a un mero constatare una situazione, alla intuizione che ti sveglia di notte e fa balzare seduto con un "èureka!".

    Credo possiamo anche condividere che l'intensità del momento realizzativo dipenda dalle implicazioni più o meno profonde che tale evento porta con sé.

    Il percorso zen pone al centro il momento realizzativo: se TU non intuisci ciò che il Buddha intuì, a nulla vale, anche se arrivassi a rivestire alte cariche nella gerarchia religiosa o accademica.

    Tale momento di intuitività profonda viene indotto attraverso vari espedienti che certa tradizione buddhista chiama upaya (mezzi idonei).

    Un monaco chiese a Faguo:
    - Qual è il più importante insegnamento di tutto il grande canone di scritture?
    Faguo: - Così ho sentito.

    (Così iniziano tutti i sutra classici del buddhismo)

    ---

    Un monaco chiese a Huitang: - Come stavano le cose prima che ti illuminassi?
    Huitang rispose: - Nulla di che.
    - E ora che ti sei illuminato?
    - Alzando il volto verso il cielo, non vedo cielo.

    ---

    Un monaco chiese a Langye:
    - Come ha potuto la purezza fondamentale improvvisamente far sorgere montagne, fiumi, la grande terra?
    Langye:
    - Come ha potuto la purezza fondamentale improvvisamente far sorgere montagne, fiumi, la grande terra?

    ---

    Ogni qualvolta il maestro Gutei veniva interrogato, si limitava ad alzare un dito. A seguito di ciò, un assistente molto giovane incominciò a sollevare anch'egli un dito quando qualcuno gli chiedeva cosa insegnasse il maestro.
    Quando Gutei lo venne a sapere, tagliò il dito del ragazzo con il coltello.
    Il ragazzo corse via urlando di dolore, ma Gutei lo chiamò.
    Quando il ragazzo voltò la testa, Gutei sollevò un dito.
    Improvvisamente il ragazzo ottenne l'illuminazione.

    ---

    Una volta, Te shan pose domande al maestro Longtan fino a notte tarda. Longtan disse: "È tardi; perché non ti ritiri?". Te shan allora si congedò e sollevò il paravento per andarsene.
    Vedendo che fuori era completamente buio, si voltò e disse: "È buio fuori".
    Longtan accese una torcia di carta e la porse a Te shan.
    Quando Te shan fece per prenderla, Longtan ci soffiò sopra e la spense facendoli piombare nel buio pesto.
    Improvvisamente, Te shan ebbe una intuizione così profonda che cadde addirittura al suolo, prostrato.

    ---

    E così via…

    Occorre essere molto educati e sensibilizzati a riguardo per farsi penetrare da tali mezzi escogitati con acume e coraggio dai maestri.
    L'intero nostro percorso educativo si basa, invece, sul solo comprendere logico o constatativo.

    Dicevo che le implicazioni determinano l'intensità dell'esperienza illuminante.
    Costoro colsero qualcosa di ultimo, sconvolgente, di cui, però, la nostra cultura non si pone neppure il problema.

    Di qui la difficoltà a proporre il buddhismo in occidente.

    L'occidentale, infatti, neppure crede più che vi sia qualcosa di ultimo da cercare.

    ...
    Franco Bertossa
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    Non li conoscevo questi racconti zen. Quello di Te Shan mi sembra particolarmente bello, evocativo.
    Grazie per la condivisione, Loredana :)
     
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    CITAZIONE (Obi_Wan_Kenobi @ 6/6/2022, 15:32) 
    Non li conoscevo questi racconti zen. Quello di Te Shan mi sembra particolarmente bello, evocativo.
    Grazie per la condivisione, Loredana :)

    :bow: mi fa piacere!
    Buona serata!
     
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    Articolo del Maestro Franco Bertossa dalla pagina Facebook del 14/6/2022
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    Il balzo della fede

    Dai tempi di una intensa presa di coscienza occorsami quarantadue anni fa, mi pare evidente che l'uomo pensi, senta e agisca dal patire la enigmaticità del proprio essere nel mondo.

    Tale sentire lo precede e solo raramente prende la via di una lucida decodifica che si traduca in cultura - pensiamo ad un Leopardi.

    Ma il turbamento lo affligge comunque e sempre.

    Io riconduco questo all'avvertire l'impossibilità di un senso ultimo dell'esserci e dell'essere di tutto quanto c'è.

    Essere è un di più gratuito rispetto a niente.

    Le nostre viscere lo sanno e lo sentono.
    E lo patiscono.

    La nostra mente, però, raramente sa elaborarlo e inoltrarsi verso la risoluzione che neutralizzi la sofferenza.

    L'impossibilità di un senso ultimo dell'essere è patimento.

    Quando mi rapporto con qualcuno, cerco di tenere presente che anche lui sta percorrendo il suo cammino nel fatto oscuro dell'essere.

    Il fatto è che tale oscurità è abissale e talvolta anche spaventosa e pochi si azzardano di affacciarsi su quell'abisso - certo nessuno che, al contempo, si proponga di salvare qualcosa di ciò che è e di ciò che ha.

    L'abisso chiede totale abbandono.

    (Ricordate il "balzo della fede" in Indiana Jones e l'Ultima Crociata?)

    Ma per poterlo accettare occorre che alcune "virtù" siano maturate in noi.

    Il Buddhismo le chiama "paramita" (perfezioni).

    Dana - la capacità di donare e donarsi
    Shila - moralità e contegno
    Kshanti - sopportazione, pazienza
    Virya - forza d'animo, coraggio di fronte al rischio
    Dhyana - capacità meditativa
    Prajna - visione dell'essere e contemplazione dell'infondatezza

    Riflettendo sulle paramita, mi sono reso conto che esse essenzialmente definiscono la nostra capacità di rapportarci col niente, di accettare il rischio di perdere qualcosa nei vari aspetti della vita.

    Il Buddha intuì la portata abissale del gioco in cui versiamo.

    Gli dèi giungono in seconda istanza e a solo supporto, non certo a spiegazione o a fondamento.

    Il turbamento che rode le nostre anime può essere affrontato a diversi livelli, ma se non lo si fa radicalmente, esso è passibile di riproporsi.

    Concludo secondo il filo dell'esordio: solo se guardiamo in faccia l'inaudito: che siamo e non piuttosto che non siamo - e il fatto che è impossibile sapere come mai ciò si dia - possiamo sperare di trovare la traccia della via alla pacificazione radicale.

    Ciò è possibile.

    La Quarta Nobile Verità, infatti, dice:
    sappiamo come si estirpa la sofferenza.

    Ora resta a ognuno di far i conti con le declinazioni del proprio peculiare dolore.

    Ma sono certo che nel fondo della vostra coscienza sia stata avvertita una assonanza con quel che ho scritto e dunque che intuiate che la fonte del soffrire è una.

    La stessa che dona la pace.

    ...
    Franco Bertossa
    ...

    https://m.youtube.com/watch?v=CslESmGagGg#menu
     
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    CITAZIONE (warmbeer @ 14/6/2022, 11:27) 
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    Essere è un di più gratuito rispetto a niente.

    Cioè?

    Esatto! *_*
     
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    CITAZIONE (fajuzi @ 14/6/2022, 14:55) 
    CITAZIONE (warmbeer @ 14/6/2022, 11:27) 
    Cioè?

    Esatto! *_*

    :bow:
     
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    Got ignorance?
    Uncertainty is an uncomfortable position. But certainty is an absurd one.


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    CITAZIONE (fajuzi @ 14/6/2022, 14:55) 
    CITAZIONE (warmbeer @ 14/6/2022, 11:27) 
    Cioè?

    Esatto! *_*

    Ah capito, come se fosse antani
     
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    Il problema è che può significare tanto esatto che giusto quanto esatto che sbagliato :=/:
     
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    Got ignorance?
    Uncertainty is an uncomfortable position. But certainty is an absurd one.


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    Riflettendo sulle paramita, mi sono reso conto che esse essenzialmente definiscono la nostra capacità di rapportarci col niente, di accettare il rischio di perdere qualcosa nei vari aspetti della vita.

    pigramente copio da wikipedia

    CITAZIONE
    Dāna : generosità, disponibilità;
    Sīla: virtù, moralità, condotta appropriata;
    Nekkhamma: rinuncia ai beni materiali, ai piaceri e alla famiglia;
    Pañña: saggezza trascendente, comprensione;
    Viriya: energia, diligenza, vigore, sforzo;
    Khanti: pazienza, tolleranza, sopportazione, accettazione;
    Sacca (pāramitā): verità, onestà, coerenza;
    Aḍḍhiṭhana: determinazione, risoluzione;
    Mettā: amorevole gentilezza, benevolenza;
    Upekkha : equanimità.

    CITAZIONE
    Dāna: generosità, disponibilità;
    Śīla: virtù, moralità, condotta appropriata;
    Kṣanti: pazienza, tolleranza, sopportazione, accettazione, imperturbabilità;
    Vīrya: energia, diligenza, vigore, sforzo;
    Dhyāna: concentrazione, contemplazione;
    Prajñā: saggezza.

    [...]

    L'opera mahāyānica che offre una disamina completa delle pāramitā secondo queste scuole è il Śūraṃgamasamādhi sūtra.

    A queste sei pāramitā, un'altra opera mahāyānica, corrispondente al XXXI capitolo dell'Avataṃsakasūtra ovvero il Daśabhūmika-sūtra (十住經, Shízhù jīng, giapp. Jūjū kyō, Sūtra delle dieci terre, conservato nello Huāyánbù al T.D. 286) ne aggiunge altre quattro:

    7. Upāyakauśalya: abili mezzi;
    8. Pranidhāna: voto, risoluzione, aspirazione dei bodhisattva;
    9. Bala: forza spirituale;
    10. Jñāna: conoscenza.

    Non ci azzecca con il rapportarsi con niente

    CITAZIONE
    Concludo secondo il filo dell'esordio: solo se guardiamo in faccia l'inaudito: che siamo e non piuttosto che non siamo - e il fatto che è impossibile sapere come mai ciò si dia - possiamo sperare di trovare la traccia della via alla pacificazione radicale.

    Più rileggo più mi convinco che voglia principalmente evocare una suggestione di qualcosa senza chiarire alcunchè.
     
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