Motivazioni e fraintendimenti

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  1. Talpo Dhir
     
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    La stragrande maggioranza di noi (io per primo) inizia quello che spesso pomposamente viene definito percorso spirituale con motivazioni prevalentemente egoiche quali possono essere vari tipi di disagi e sofferenze o generate comunque da un IO fortemente strutturanto nella sua percezione di essenza permanente. Del resto non potrebbe essere diversamente, cerchi una soluzione se pensi di avere un problema…. Il fatto è che ...

    “Il fine del cammino spirituale non è quello di eliminare l'incertezza, il disagio, il malessere, la sofferenza. Questo è ciò che vuole fare l'ego. La finalità del sentiero non è certamente quella di trovare la Verità, di avere finalmente ragione, di passare definitivamente dalla parte del «Bene». Si tratta qui delle finalità dell'ego. In tutte queste versioni erronee della Ricerca, paragoniamo ancora ciò che è a ciò che dovrebbe essere. Il cammino spirituale si trasforma così facilmente nel suo contrario! [...]
    Tratto da: Il fuoco liberatore di Pierre Levy: “


    Non so bene chi sia Levy e non ho manco letto il suo libro però condivido pienamente queste sue quattro righe perché sintetizzano veramente un fraintendimento comune. A questo punto pare che non ci rimanga che due scelte o uscire da un percorso ben strutturato che però non soddisfa pienamente le nostre aspettative, magari inventandoci un buddhismo occidentale che null’altro è che un purpurì di sciamanesimo cristianesimo esoterismo vario e hold-new age oppure rimaniamo e cominciamo a destrutturarci pian pianino, lentamente e con amorevolezza nei nostri confronti. Ma come sapere circa circorum se siamo su quest’ultimo tipo di percorso oppure se siamo di nuovo ricaduti nel trappolone del nostro ego? L’osservazione onesta di noi stessi è di certo la cosa più utile… questo breve testo può essere un utile spunto di riflessione (anche qui non so bene chi sia Barry Magid e non ho letto il suo libro quindi rimango legato per “questa utilità – in questo contesto” a solo quello che lui scrive in questo breve testo)

    Nella nostra pratica quotidiana dobbiamo scoprire ed esprimere la verità fondamentale che questa mente, questo corpo, questo momento sono tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che c'è. Arriviamo alla pratica convinti che la mente così com'è, il corpo così com'è, siano il problema. Chi vorrebbe una mente che divaga o due ginocchia doloranti, per non parlare di un corpo che invecchia e che contrae una grave malattia? Ma la pratica non ci insegnerà mai a scambiare questa mente con un'altra o sostituire questo corpo con il corpo di qualcun altro. E nemmeno dobbiamo esercitare il corpo e la mente per trasformarli in versioni nuove e migliori di quelle che già abbiamo. [...] Date ascolto a Hsiang Lin: questo vecchio corpo stanco non è il problema; è la risposta.
    [...] Vogliamo sfuggire a qualcosa che crediamo sia sbagliato in ciò che siamo, sfuggire a tutto ciò che ci lascia vulnerabili alla sofferenza. Non ci rendiamo conto che il tentativo di sfuggire è in se stesso il motore della nostra sofferenza. Gradualmente, però, la nostra pratica può permetterci di venire a patti con chi e cosa siamo [...]. In quell'attimo potremmo anche pensare di aver raggiunto lo scopo che da tanto tempo inseguivamo [...].
    Non appena abbiamo pensato di aver raggiunto un qualche nuovo stato perfetto, permanente e invulnerabile, abbiamo tradito l'essenza stessa della nostra realizzazione. [...] Solo quando abbiamo cessato di sfuggire l'impermanenza e la vulnerabilità, siamo stati capaci dopo tutto di sperimentare noi stessi come buddha. Ma ora la realizzazione diventa qualcosa a cui vogliamo afferrarci. [...]
    Dobbiamo uccidere qualsiasi nozione abbiamo che ci sia qualcosa da ottenere, qualcosa a cui afferrarci, qualcosa di speciale che possiamo diventare una volta per tutte. L'illuminazione non è una 'cosa' che 'otteniamo' dalla pratica. [...] Quando non c'è nulla e non resta nulla che ostruisca, allora la limpida brezza spirerà liberamente in tutte le direzioni" .
    Tratto da: Guida zen per non cercare la felicità, di Barry Magid
     
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  2. il_praghese
     
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    Grazie, era da tempo che non leggevo un intervento così interessante. Intervento che tra l' altro, almeno per me, cade a fagiolo visto che ultimamente, sempre più spesso, mi capita di chiedermi quanto ci sia del mio "Ego spiritualizzato" nella mia mezz' oretta di meditazione quotidiana :)
     
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    signor no
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    per trovarsi bisogna prima perdersi ,ci sono tanti modi di perdersi ,non ultimo il volere fortemente "liberarsi" , cosi' alla fine se c'e' abbastanza intensita' , restando attenti a cio' che accade ...ci si trova ...l'importante e' non essere tiepidi ...

    poi qualche santo c'e' in giro ...che fa il suo percorsino lineare , ma quella e' un 'altra storia
     
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  4. rinchen dorje
     
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    CITAZIONE (zenbaba @ 29/3/2014, 23:04) 
    per trovarsi bisogna prima perdersi ,ci sono tanti modi di perdersi ,non ultimo il volere fortemente "liberarsi"

    Mi piace molto...quoto...quoto profondamente perché so di essere schiavo di questa tua frase
     
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  5. il_praghese
     
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    L' Ego fa sempre paragoni con gli altri. "Quello è più bello di me, quello ha più soldi e più donne, quell' altro si è laureato prima di me ma io...io sono una persona spirituale! Ho incontrato il Buddhadharma ed ho veramente capito cosa conta nella vita!". Beh, quando sento questi discorsi (o quando li faccio a me stesso) a parlare sempre l' Ego è. Però già il solo fatto di esserne consapevole è, forse, una cosa positiva...:)
     
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4 replies since 29/3/2014, 10:48   190 views
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