"Sia fatta la mia volontà. Ripensare la morte per cambiare la vita"

Marina Sozzi

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  1. Tomo Ko
     
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    Non è un libro ispirato al buddhismo ma ad un tema molto sentito dal buddhismo, la morte e come affrontarla.

    www.affaritaliani.it/libri-editori/...arelettere.html


    Invecchiare è disdicevole, morire inaccettabile. La morte è diventata un pensiero da respingere, la medicina ha il dovere di annientarla. Come un nemico, quello più tremendo. Il senso di sconfitta verso la fine diventa allora insopportabile. Il libro di Marina Sozzi in uscita per Chiarelettere aiuta a toglierci questo peso, a rendere più leggera la vita, ripensando e accettando la morte come un evento naturale, che ci appartiene. Abbiamo “diritto” a morire bene e come vogliamo, ad alleviare il dolore fisico nostro e degli altri, contrastando la paura del distacco, accettando di essere fragili senza soffrirne. Anzi, con la consapevolezza che la ricetta principale della felicità risiede proprio nell’accettazione della fine, che rende unico ogni singolo attimo.

    L'AUTRICE - Marina Sozzi, filosofa, ha diretto la Fondazione Fabretti, dedicata allo studio della morte, e insegnato Tanatologia storica all’Università degli Studi di Torino. Cura per ilfattoquotidiano.it un blog sul tema del Terzo settore e tiene un altro blog dal titolo “Si può dire morte”. Il suo libro più recente: Reinventare la morte. Introduzione alla tanatologia (Laterza, 2009).

    LEGGI IL CAPITOLO "I doni della morte"
    (per gentile concessione di Chiarelettere)

    Ci sono vari doni che la morte fa a chi non fugge lontano da lei e la guarda negli occhi. Il primo è una certa resilienza, ossia la capacità di affrontare le avversità della vita, e nello specifico la morte propria o di una persona amata, con maggiore calma. Anche se non siamo mai veramente «pronti» per la morte, siamo più saggi, e sappiamo che nel grande ordine del cosmo è scritta per noi tutti la parola fine. Questa sapienza non elimina il dolore, ma frena il precipitare nella disperazione. Di fronte alla fine ineluttabile, i piccoli mali si ridimensionano, assumono la giusta misura nell’ordine delle cose. Noi stessi non siamo al centro del mondo. Ma invece di essere uno sgradevole memento, questa verità può diventare fonte di pace e accettazione degli eventi. Il secondo regalo della morte è proprio la consapevolezza che non siamo eterni. Perché dunque affannarsi oltre ogni ragionevole limite ad accumulare riconoscimenti e denaro, dimenticando di godere del qui e ora, di fermare un po’ la corsa e permanere qualche attimo nel presente? Perché non dedicare una quantità maggiore di tempo a coloro che amiamo e al nutrimento della nostra mente? Perché non provare a essere felici? Perché non lasciar andare pregiudizi e meschinità, perché non lasciare briglia sciolta alla nostra creatività? Non abbiamo nulla da perdere. Il terzo omaggio del dialogo con la morte è di carattere etico, e riguarda il senso del limite e della responsabilità. Se gli uomini fossero immortali, le azioni di ciascuno avrebbero conseguenze trascurabili rispetto alla totalità dei tempi. Viceversa, la nostra mortalità, limite per eccellenza, ci rende responsabili per ogni gesto che compiamo nei confronti nostri e degli altri. Se offendiamo, se feriamo, se siamo aggressivi, modifichiamo la nostra vita e quella altrui, come ben sanno gli orientali quando parlano di karma. Le azioni hanno conseguenze sulle nostre fragili vite. La morale laica non può che fondarsi su questa consapevolezza reciproca della vulnerabilità che tutti, in quanto umani, abbiamo di fronte alla sofferenza e alla morte: la nostra mortalità ci obbliga ad agire con il rispetto dovuto alla debolezza che è propria di tutti gli esseri. Un’idea, quest’ultima, più efficace di un generico appello all’amore per l’umanità. Solo se ci sentiamo mortali possiamo essere sensibili al destino umano.
     
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