Juzu

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    Ho trovato su internet questa spiegazione del Juzu. Non so se è corretta o meno.

    http://pantareinova.blogspot.it/2013/02/la...ra-le-mani.html
    Fino dalle origini, il juzu ha accompagnato la pratica buddista. Ricco di significati simbolici, può essere considerato soprattutto un valido supporto durante la recitazione al Gohonzon.

    Nella tradizione buddista abitualmente si prega tenendo tra le mani un filo di perline, il cosiddetto juzu. A seconda della congregazione, si trovano juzu di varie forme e dimensioni e diverso numero di grani. I monaci buddisti del Tibet, della Mongolia, della Cina e del Giappone lo hanno usato fin dai tempi antichi; le origini di questa tradizione sono da rintracciare nel Sutra Mokugenshi, dove si narra che una volta il re Haruri chiese aiuto al Budda Shakyamuni perché il suo paese era devastato dalla carestia e dalle epidemie. Allora il Budda chiese che i suoi fedeli portassero un rosario di 108 sfere ricavate dal legno dell’albero mokugenshi con lo scopo di aiutare gli abitanti del paese a esprimere la profonda devozione ai tre tesori (il tesoro del Budda, della Legge e del Prete).
    Nel Buddismo di Nichiren Daishonin se ne usa uno che contiene proprio 108 grani tutti eguali, più altri quattro più piccoli, infilati nell’anello principale. Secondo un antico insegnamento, 108 è il numero dei desideri terreni. Dunque, tenere tra le mani il juzu durante la preghiera ha, tra gli altri, il significato di trasformare i desideri terreni in Illuminazione e manifestare la propria saggezza. È chiaramente un fatto simbolico che può servire a ricordare la ragione per cui si pratica. Tuttavia l’elemento più importante durante la recitazione non è il juzu ma il Gohonzon, il vero oggetto di culto che materializza la natura illuminata della propria vita e a cui si rivolge la preghiera.
    I quattro grani più piccoli rappresentano le quattro guide dei Bodhisattva della Terra: Jogyo, Jyogyo, Muhengyo e Anryugyo. Di loro si parla nel capitolo Yujutsu (quindicesimo) del Sutra del Loto e rappresentano le manifestazioni concrete della natura di Budda, una volta attivata nella vita dell’individuo; si tratta delle quattro virtù di vero io, purezza, eternità e felicità. Tutte assieme simboleggiano la vita di Nichiren Daishonin, anche se in un senso più ampio indicano le qualità che vengono potenziate nella vita attraverso la pratica buddista.
    Le due palline più grosse, che nell’anello sono diametralmente opposte, sono dette grani “genitori”. Il grano “madre”, quello unito a tre nappine, vuol dire “mistica” (myo oppure invisibile); il grano “padre”, quello legato a due nappine, significa “Legge” (ho o anche visibile). Rappresentano i regni oggettivo (kyo) e soggettivo (chi) della vita, o, in altri termini, la realtà oggettiva dell’ esistenza e la saggezza necessaria per percepirla.
    Come si impugna il juzu? In genere, secondo la tradizione, lo si ritorce in modo che si incroci nel mezzo, poi si infila il grano “madre” dietro il dito medio della mano destra, quello “padre” dietro il dito medio della mano sinistra e infine si uniscono le mani, palmo contro palmo, dito contro dito. Quest’azione rappresenta gassho, cioè comprendere che la Buddità esiste nella propria vita. Farlo con atteggiamento consapevole aiuta ad esprimere il proprio spirito di ricerca verso il Gohonzon.
    Incrociare il juzu nel mezzo sta a significare soku (uguale o anche unicità), quindi l’atto di congiungere le mani mentre si recita indica la fusione della realtà (kyo) con la saggezza intrinseca in ognuno (chi), ovvero comprendere che la vita individuale è un tutt’uno con la Legge mistica dell’universo.
    «“Realtà” significa l’entità di tutti i fenomeni dell’universo – spiega Nichiren – e “saggezza” significa la perfetta manifestazione di questa identità nella vita individuale. Poiché è come il letto di un fiume infinitamente largo e profondo, l’acqua della saggezza scorre incessantemente. Illuminazione è la fusione di realtà e saggezza» (“Ammonimenti contro la calunnia”, Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, pag. 97).
    I due cordoncini che si staccano dal grano “padre” rappresentano il Budda e la Legge, sono annodati perché secondo l’insegnamento di Nichiren Daishonin la Persona (ossia il Budda originale) e la Legge sono la stessa cosa, principio anche noto come ninpo ikka.
    Le tre nappine che escono dal grano “madre” simboleggiano invece i tre tesori, i due cordoncini uguali rappresentano il Budda e la Legge, quello più corto il Prete. Il Budda è il grande maestro buddista risvegliatosi alla verità dell’universo e alla Legge causale della vita, e possiede le tre virtù di sovrano, maestro e genitore. La Legge è l’insegnamento esposto dal Budda per rivelare la sua Illuminazione. Il Prete è il discepolo del Budda che eredita e trasmette la Legge alle generazioni future. Tutti e tre sono detti tesori, in quanto conducono le persone all’Illuminazione e il mondo alla pace e alla sicurezza.
    Tutti i cordoncini sono bianchi perché questo è il colore attribuito alla purezza, qualità che non indica però una condizione statica priva di impurità, piuttosto rivela il potere dinamico della vita e la saggezza di trasformare tutti gli aspetti negativi in essa presenti in aspetti positivi.
    «Raccogli tutta la tua fede – scrive il Daishonin – e prega questo Gohonzon. Allora, che cosa non può essere realizzato? Credi nel Sutra del Loto quando dice: “Questo sutra esaudisce i desideri. È l’acqua fresca e limpida del laghetto che placa la sete” e “Godranno di pace e sicurezza in questa vita e di circostanze favorevoli nella prossima”» (“Risposta a Kyo’o”, Ibid. pag. 150).
    Le quattro pallottoline di forma allungata rappresentano i vasi contenenti i benefici che immancabilmente scaturiscono per mezzo della pratica al Gohonzon.
    Tra i quattro grani a forma di vaso e quelli “genitori”, ci sono altri trenta grani che rappresentano i tremila mondi di ichinen sanzen, la filosofia fondamentale del Buddismo, cioè i tremila potenziali stati vitali contenuti in un singolo istante di vita.
    Se si solleva il juzu tenendolo per la nappina con cui termina il cordoncino che rappresenta il prete, si può vedere stilizzata la figura di un essere umano: in definitiva, impugnare il juzu significa prendere in mano la propria vita e decidere dal profondo del cuore di alzarsi da soli e cambiare il proprio destino. E questo «È il principio della “vera causa” (hon’nin myo). È il principio di ichinen sanzen» (Il capitolo Hoben, Daisaku Ikeda, Esperia, Milano).
    La missione condivisa da tutti i discepoli del Daishonin è di portare felicità a tutto il genere umano attraverso la diffusione del suo insegnamento, le nappine che si trovano alla fine di ogni cordoncino stanno appunto a significare che kosen-rufu si diffonderà in tutto il mondo e la piccola pallina accanto al grano “padre” indica la realizzazione della vera entità della nostra vita, la piena attuazione della nostra missione su questa terra, proprio come si afferma nel Sutra del Loto: «Dovete abbracciare questo sutra. Quelli che lo faranno percorreranno la diretta via verso la Buddità».
    Ad eccezione dei quattro a forma di vaso, ogni grano è rotondo a significare che l’insegnamento di Nichiren Daishonin è armonico, completo e perfetto, e comprende tutti e tutto. Seguendolo con coraggio e determinazione si raggiungerà immancabilmente la Buddità in questa esistenza.
    Sfregare gentilmente il juzu tra le mani può aiutare la concentrazione; ma senza esagerare per non disturbare gli altri manifestando così, oltre che poca considerazione per chi sta pregando insieme a noi, anche la scarsa dimestichezza col credere che la Buddità esiste nella vita di ognuno.
    Per quanto interessante tutto questo possa essere, è importante non lasciarsi distrarre dal simbolismo del juzu o forzarsi in atteggiamenti innaturali durante la recitazione di Gongyo e Daimoku. È meglio recitare con gioia, vigore e un profondo senso di gratitudine.

    Cristina Sereni


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    E' la versione Nichiren Shoshu/Soka Gakkai ,per le altre scuole ci sono interpretazioni differenti
     
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    Su fb l'ho trovato postato da una (un po' più di) praticante soto di vecchia data che conosci anche tu, ma il sito da cui è preso riguarda (credo) Nichiren Shoshu/Soka Gakkai.
    Per le altre scuole le spiegazioni sono molto differenti?
     
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  4. il_praghese
     
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    CITAZIONE
    Per le altre scuole le spiegazioni sono molto differenti?

    http://www.nichirenshuromako.org/nichiren-...studio/il-juzu/
     
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    www.aetw.org/jsp_nenju_juzu.htm
     
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  6. acero_rosso
     
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    CITAZIONE (warmbeer @ 1/11/2013, 02:30) 

    Grazie :)
     
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  7. emiko
     
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    Il juzu si usa anche nello Zen? ho una qualche vaga idea che lo associa al Soto, ma non so perche', probabilmente me lo sono inventato. :D
    Se non e' un ricordo inventato, come viene usato?
     
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    Non si usa nello zen. almeno io non l'ho mai visto fare, ma non ho una gran esperienza. Forse zenbaba saprà meglio
     
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    generalmente la portano i monaci durante le cerimonie ufficiali come uno degli accessori formali per quanto ho visto io ,non conosco nessuno nello zen che la usi per recitare
     
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  10. emiko
     
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    Grazie zenbaba. Me lo ero mezzo inventato. :D
    Potrebbe secondo te essere un retaggio di antiche pratiche, ridotte ormai all'uso simbolico del juzu nelle questioni ufficiali?
    Giusto una curiosità.
     
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    sicuramente si ,comunque in Cina e poi in Giappone le scuole erano un po' tutte imparentate e quasi ovunque si recitavano sutra ,nembutsu ,alcuni i mantra ...quindi credo che l'accessorio sia rimasto come tradizione anche in chi recita poco oggi
     
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10 replies since 15/8/2013, 04:32   987 views
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