La rinascita nel Buddhismo antico

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  1. Yodha
     
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    di Nanavira Thera.



    Premessa:
    amici nel Dharma, questo è il primo di una serie di diversi post che seguiranno ideati con l'intento di cercare di far chiarezza sull'annosa questione di chi o cosa rinascerebbe, così come su cosa il Buddha storico intendesse per Puna-bhava l'essere ancora, ed anche su cosa il Buddha storico abbia categoricamente dichiarato come visione erronea.( il continuum della coscienza) il testo è di Nanavira thera, corredato da citazioni dal canone pali. la traduzione è mia. i prossimi post verteranno sopratutto su questi ultimi. Yodha.


    Na ca so na ca añño, 'Nè egli né un altro'. Questa nota affermazione è contenuta nel Milindapanha, in risposta alla domanda 'Quando un uomo muore, chi rinascerà, egli o un altro?'. Questa domanda è posta in maniera impropria, così come qualsiasi tentativo di risposta non potrà che essere altrettanto improprio. La domanda, nel chiedere chi rinasce, cade nel sakkayaditthi. Prende per certa la validità della persona come un 'Sé'; In quanto è solo in relazione al 'Sé' che questa domanda -' eterno (so) o perituro (Anno)? -può essere posta.
    Anche la risposta prende per scontata l'esistenza di tale 'Se', al punto di permettere a tale domanda di essere posta. tale risposta nega meramente che tale 'Sé'(che deve essere o eterno o perituro) sia di fatto Eterno o perituro, rendendo così la confusione ancora peggiore. Il modo coretto di rispondere è quello di rigettare tale domanda fin dall'inizio. per comparazione, leggasi Anguttara Nikaya VI, ix (A.iii,440)dove viene detto che il ditthisamapanna (possessore della visione) non solo non può sostenere che l'agente di piacere e dolore sia qualcuno (o se stesso o un altro) ma non può nemmeno sostenere che l'agente non sia qualcuno ( né se stesso né un altro). Il ditthisampanna vede la persona presente (sakkaya) come sorta a grazie a condizioni presenti e come cessante con la cessazioni di queste condizioni presenti. E, vedendo ciò, egli non considera la persona presente come il 'Sè' presente. Di conseguenza, egli non pone la domanda Chi? in riguardo al presente. Per inferenza, -Atitanagate nayam netva, avendo indotto questo principio al passato ed al futuro ( vedasi Gamini Samyutta, 11 S.iv 328)- egli non considera la persona passata o futura come il 'Sé' passato o futuro, e quindi non pone la domanda Chi? in riguardo al passato o al futuro. (vedasi la domanda di Mara al capitolo 2 di Paramattha sacca)




    Na ca so na ca añño, 'Neither he nor another'. This often-quoted dictum occurs in the Milindapañha somewhere, as the answer to the question 'When a man dies, who is reborn—he or another?'. This question is quite illegitimate, and any attempt to answer it cannot be less so. The question, in asking who is reborn, falls into sakkāyaditthi. It takes for granted the validity of the person as 'self'; for it is only about 'self' that this question—'Eternal (so) or perishable (añño)?'—can be asked.
    The answer also takes this 'self' for granted, since it allows that the question can be asked. It merely denies that this 'self' (which must be either eternal or perishable) is either eternal or perishable, thus making confusion worse confounded. The proper way is to reject the question in the first place. Compare Anguttara VI,ix,10 <a.iii,440>, where it is said that theditthisampanna not only can not hold that the author of pleasure and pain was somebody(either himself or another) but also can not hold that the author was not somebody (neither himself nor another). The ditthisampanna sees the present person (sakkāya) as arisen dependent upon present conditions and as ceasing with the cessation of these presentconditions. And, seeing this, he does not regard the present person as present 'self'. Consequently, he does not ask the question Who? about the present. By inference—
    atītānāgate nayam netvā having induced the principle to past and future
    (cf. Gāmini Samy. 11 <s.iv,328>)[a]—he does not regard the past or future person as pastor future 'self', and does not ask the question Who? about the past or the future. (Cf. Māra's question in line 2 of PARAMATTHA SACCA §1.)



    Footnotes:
    [a] Dhamm'anvaye ñānam is knowledge dependent upon the inferability of the Dhamma—i.e. knowledge that the fundamental Nature of Things is invariable in time and can be inferredwith certainty (unlike rational inference) from present to past or future. See Nidāna/Abhisamaya Samy. iv,3 <s.ii,58>. In other words, generalization without abstraction
    Posted 3 minutes ago by Admin
     
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    Uncertainty is an uncomfortable position. But certainty is an absurd one.


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  3. aquilapicco
     
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    Molto interessante, grazie. E' un problema sul quale è stato detto e scritto molto, ma in maniera vaga e, a volte, approssimativa.
     
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  4. Tabasco
     
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    CITAZIONE (Yodha @ 6/4/2012, 11:41) 
    Na ca so na ca añño, 'Nè egli né un altro'. Questa nota affermazione è contenuta nel Milindapanha, in risposta alla domanda 'Quando un uomo muore, chi rinascerà, egli o un altro?'. Questa domanda è posta in maniera impropria, così come qualsiasi tentativo di risposta non potrà che essere altrettanto improprio. [...]

    E' un argomento estremamente interessante e personalmente lo ritengo cruciale, per l'osservazione critica di ciò che è Dhamma e ciò che invece è semplicemente una delle tante religioni che l'uomo si è costruito.
    L'intervento qui tradotto, non è così immediato come sembra e almeno nel mio caso non sono sicuro di averlo compreso del tutto.
    Provo a riassumere per capire se sto seguendo o se sono fuori strada:
    L'ambiguità della risposta "Nè egli né un altro" (che a mio parere si presta ad essere letta sia a favore che a sfavore del concetto di rinascita tradizionalmente diffuso), sta nella mal formulazione della domanda "Quando un uomo muore, chi rinascerà, egli o un altro?".
    Questa errata formulazione dipende a sua volta dal dare per scontato un "Se" (o un chi) di qualche sorta, che rinasca.
    La nostra esistenza si manifesta grazie alla manifestazione di altri determinati fattori, e cessa con la cessazione di altri determinati fattori, non lasciando quindi spazio per "Sé" di qualsiasi tipo.
    E' un pò una spiegazione della interdipendenza applicata all'esistenza, no?
    Fin qui sto seguendo correttamente? :D
     
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  5. Yodha
     
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    CITAZIONE (Tabasco @ 7/4/2012, 11:29) 
    CITAZIONE (Yodha @ 6/4/2012, 11:41) 
    Na ca so na ca añño, 'Nè egli né un altro'. Questa nota affermazione è contenuta nel Milindapanha, in risposta alla domanda 'Quando un uomo muore, chi rinascerà, egli o un altro?'. Questa domanda è posta in maniera impropria, così come qualsiasi tentativo di risposta non potrà che essere altrettanto improprio. [...]

    E' un argomento estremamente interessante e personalmente lo ritengo cruciale, per l'osservazione critica di ciò che è Dhamma e ciò che invece è semplicemente una delle tante religioni che l'uomo si è costruito.
    L'intervento qui tradotto, non è così immediato come sembra e almeno nel mio caso non sono sicuro di averlo compreso del tutto.
    Provo a riassumere per capire se sto seguendo o se sono fuori strada:
    L'ambiguità della risposta "Nè egli né un altro" (che a mio parere si presta ad essere letta sia a favore che a sfavore del concetto di rinascita tradizionalmente diffuso), sta nella mal formulazione della domanda "Quando un uomo muore, chi rinascerà, egli o un altro?".
    Questa errata formulazione dipende a sua volta dal dare per scontato un "Se" (o un chi) di qualche sorta, che rinasca.
    La nostra esistenza si manifesta grazie alla manifestazione di altri determinati fattori, e cessa con la cessazione di altri determinati fattori, non lasciando quindi spazio per "Sé" di qualsiasi tipo.
    E' un pò una spiegazione della interdipendenza applicata all'esistenza, no?
    Fin qui sto seguendo correttamente? :D

    mi viene in mente questo ragionamento:
    'Na ca so na ca anno' vuol dire: quando il defunto rinascerà, il nuovo nascituro sarà eterno (so) e quindi identico a quello di prima o perituro (anno) e quindi 'diverso'. in altre parole: quando yodha morirà, colui che rinascerà, sarà la stessa persona o una persona differente? tale domanda è impropria perché si basa sulla visione errata che postula l'esistenza di Yodha sulla base dei suoi aggregati. gli aggregati vengono scambiati per 'Yodha'. il putujjhana prende gli aggregati o una parte di essi per il suo Sè. (ad esempio: Io, Yodha, odio Silvio B.!) questa idea è chiamata Sakkaya ditthi, le credenza erronea nella perduranza della persona, uno dei primi tre elementi nocivi che il sotapanna, colui che è entrato nella corrente del risveglio ha abbandonato.( da non confondere col senso dell'io-mio, asmim, che solo l'arahant ha abbandanato)
    la risposta semplicistica di nagasena nel Milindapanha è altrettanto fuorviante perché rispondendo: Nè l'uno né l'altro, (non sarà né la stessa persona, né tanto meno un altra persona) lascia spazio per un eventuale altra opzione, come di fatto e poi successo nello sviluppo della metafisica buddhista dove le teorie su chi o cosa sarebbe soggetto alla rinascita si sono sprecate. di questo ne parliamo coi prossimi post.. ;)

    :D
     
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  6. dparo
     
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    CITAZIONE (Yodha @ 6/4/2012, 11:41) 

    di Nanavira Thera.



    Na ca so na ca añño, 'Nè egli né un altro'.

    Grazie Yodha :;namaste:

    questi interventi sono preziosi, e questo in effetti è un punto chiave.


    d
     
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  7. aquilapicco
     
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    Devo dire che del Theravada conosco poco, e vorrei approfondire. Mi pare di aver letto da qualche parte che l'unica cosa che rimanga di noi siano le nostre azioni (cause). Si puo' dunque ipotizzare una rinascita non del nostro ego, ma frutto dlle nostre azioni? Grazie a tutti.
     
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  8. Tabasco
     
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    CITAZIONE (Yodha @ 7/4/2012, 11:52)
    mi viene in mente questo ragionamento:
    'Na ca so na ca anno' vuol dire: quando il defunto rinascerà, il nuovo nascituro sarà eterno (so) e quindi identico a quello di prima o perituro (anno) e quindi 'diverso'. in altre parole: quando yodha morirà, colui che rinascerà, sarà la stessa persona o una persona differente? tale domanda è impropria perché si basa sulla visione errata che postula l'esistenza di Yodha sulla base dei suoi aggregati. gli aggregati vengono scambiati per 'Yodha'. il putujjhana prende gli aggregati o una parte di essi per il suo Sè. (ad esempio: Io, Yodha, odio Silvio B.!) questa idea è chiamata Sakkaya ditthi, le credenza erronea nella perduranza della persona, uno dei primi tre elementi nocivi che il sotapanna, colui che è entrato nella corrente del risveglio ha abbandonato.( da non confondere col senso dell'io-mio, asmim, che solo l'arahant ha abbandanato)
    la risposta semplicistica di nagasena nel Milindapanha è altrettanto fuorviante perché rispondendo: Nè l'uno né l'altro, (non sarà né la stessa persona, né tanto meno un altra persona) lascia spazio per un eventuale altra opzione, come di fatto e poi successo nello sviluppo della metafisica buddhista dove le teorie su chi o cosa sarebbe soggetto alla rinascita si sono sprecate. di questo ne parliamo coi prossimi post.. ;)

    :D

    Scusa ma non ho capito un passaggio.
    Dici:
    CITAZIONE
    in altre parole: quando yodha morirà, colui che rinascerà, sarà la stessa persona o una persona differente? tale domanda è impropria perché si basa sulla visione errata che postula l'esistenza di Yodha sulla base dei suoi aggregati. gli aggregati vengono scambiati per 'Yodha'. il putujjhana prende gli aggregati o una parte di essi per il suo Sè.

    E poi spieghi:
    CITAZIONE
    (ad esempio: Io, Yodha, odio Silvio B.!) questa idea è chiamata Sakkaya ditthi, le credenza erronea nella perduranza della persona, uno dei primi tre elementi nocivi che il sotapanna, colui che è entrato nella corrente del risveglio ha abbandonato.( da non confondere col senso dell'io-mio, asmim, che solo l'arahant ha abbandanato)

    Nel primo passaggio affermi che se l'esistenza di Yodha, è considerata sulla base dei suoi aggregati, è da considerarsi errata. Se intediamo per aggregati l'insieme di carne, ossa, fluidi corporei ecc... basare la considerazione della propria esistenza constatando questo insieme di aggregati è sbagliata dunque? Su cos'altro dovrei basarla? Se non sono il prodotto dell'insieme dei miei aggregati (sia fisici che culturali [es.lingua,pos.geografica,educazione ecc]) cosa sono?

    E nel secondo ragionamento, la perduranza della persona è relativa al momento presente ( implicando che quindi dovrei costantemente considerarmi non individuo a se stante, ma insieme di molteplici fattori [visione però errata secondo quello che ho capito della prima affermazione]) oppure è intesa come perduranza della persona dopo la morte?

    Porta pazienza. :;namaste:
     
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  9. Yodha
     
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    CITAZIONE
    Nel primo passaggio affermi che se l'esistenza di Yodha, è considerata sulla base dei suoi aggregati, è da considerarsi errata.

    L'esistenza di 'Yodha', per la precisione, ovvero quella persona-sakkaya, (un Sè permanente, auto sufficiente, padrone degli aggregati), che viene erroneamente postulata sulla base degli aggregati psicofisici che convenzionalmente chiamiamo Yodha.
    Yodha (convenzionale) esiste temporaneamente sulla base degli aggregati, invece 'Yodha' ( il Sé autosufficiente) è un esagerazione nata dal prendere gli aggregati come 'Yodha' o come "i miei aggregati", gli aggregati di 'Yodha'


    CITAZIONE
    E nel secondo ragionamento, la perduranza della persona è relativa al momento presente ( implicando che quindi dovrei costantemente considerarmi non individuo a se stante, ma insieme di molteplici fattori [visione però errata secondo quello che ho capito della prima affermazione]) oppure è intesa come perduranza della persona dopo la morte?

    il testo a che vedere con Sakkaya, la persona o Sé che nella visione errata del putujjhana, il non risvegliato, esisterebbe in maniera a se stante rispetto aggregati, come padrone degli aggregati, o come identico agli aggregati, in parte o nell'insieme.( io sono 'Yodha', questo è il mio braccio, [io] sono proprio arrabbiato!)tale visione errata ( miccha ditthi) è frutto dell'ignoranza circa la vera natura interdipendente degli aggregati.

    a livello funzionale è come dici tu, ma dal punto di vista ultimo non c'è un Sé autonomo dagli aggregati, padrone degli aggregati o identico agli aggregati, in parte o nel loro insieme. negare l'esistenza della persona a livello funzionale è nirattavada, il nichilismo, ma affermare l'esistenza sostanziale ed autonoma del Sakkaya, il Sè (e quindi la sua perduranza o la sua caducità) è attavada, l'eternalismo. siccome quel Sé non esiste, non esiste ora, non è esistito nel passato e non esisterà nel futuro; quindi la dottrina della perduranza di un tale Sé si rivela errata, come viene spiegato nel Culavedalla sutta che posterò a breve.

    questo è un punto cruciale, ed è qui che iniziano i problemi dell'interpretazione tradizionale sulla rinascita. se non si capisce questo, come diceva Nanavira, non ci sarà modo di comprendere che non esiste alcun Io o Sè che rinasce, ( che non vuol dire negare il processo del ri-divenire che riguarda tutt'altro) non importa quante prove scritturali o ragionamenti logici verranno portati.

    infatti, quanto i tradizionalisti si trovano a dover giustificare la loro posizione circa la rinascita, sono costretti a introdurre teorie come il 'patisandhi-vinnana' elaborate dopo la morte del Buddha dai commentatori, dagli estensori dell' Abhidharma, e dai Manuali quali il Visuddhiamagga, teorie che però non si trovano in nessuno dei sutta dei nikaya. un uovo di colombo insomma.

    porta pazienza anche tu :D
     
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  10. Tomo Ko
     
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    Questa spiegazione di T.N.H. potrebbe essere di aiuto?
    Personalmente mi ha aiutato molto a capire l'allegoria che usa in un suo libro (non ricordo quale) dell'acqua e delle onde "pensiamo di essere un'onda e non ci rendiamo conto che siamo l'acqua, l'onda ha un inizio e una fine, ma l'acqua che compone l'onda rimane"


    http://guide.supereva.it/filosofie_orienta...04/207092.shtml

    Nella tradizione buddhista la pratica più profonda consiste nel toccare le radici del nostro essere, la vera profondità del nostro essere, il Nirvana.

    Il Nirvana è dentro di noi, è l’autentico fondamento del nostro essere, è ciò che non è nato e non muore. Il livello del nascere e del morire, quello dell’essere e del non essere, non sono separati nel Nirvana. Immaginiamo le onde dell’oceano: a volte sono alte, a volte basse, hanno una fine e un inizio, ogni onda può essere bella o brutta. Noi sappiamo che le onde sono fatte d’acqua e che l’acqua, nel suo insieme, è la base dell’essere onda. Allo stesso modo, il mondo della nascita e della morte ha il Nirvana come sua sostanza intrinseca.

    E’ proprio come se noi dicessimo che le onde sono fatte d’acqua e l’acqua è la sostanza delle onde: noi viviamo nella dimensione della nascita e della morte, ma possiamo toccare la sostanza del Nirvana, dove non c’è nascita e non c’è morte. Quando osserviamo le onde ne vediamo l’inizio e la fine, vediamo che ogni onda può essere alta o bassa e, in definitiva, vediamo l’essere e il non essere delle onde. Tuttavia se ci riferiamo all’acqua non possiamo certo parlare di inizio e fine, di alto e basso, di essere e di non essere. Così, come non possiamo separare l’oceano dalle onde, non possiamo nemmeno separare il Nirvana dal regno della nascita della morte. Se vi trovate nel regno della nascita e della morte, voi potete pregare, ma solo se la vostra preghiera è capace di condurvi davvero in profondità avrete occasione di raggiungere il livello del Nirvana.

    Nirvana significa estinzione. Estinzione di cosa? Estinzione di tutte le idee: del concetto di nascita e morte, di inizio e fine, di essere e non essere. Se sarete in grado di toccare il livello dell’essere, il Nirvana, potrete fare esperienza di una pace e di un benessere illimitati.

    Nel Buddhismo siamo soliti parlare delle due dimensioni della realtà. La prima dimensione è chiamata storica: tempo, spazio, essere, non essere, nascita e morte sono visti spesso soltanto nella loro dimensione storica, ma se si tocca la dimensione storica molto in profondità è possibile scoprire l’altra dimensione, che è chiamata dimensione ultima. La dimensione storica e la dimensione ultima non possono essere separate, come le onde non possono essere separate l’acqua. Quindi, la pratica più profonda, per un meditante buddhista, è toccare il Nirvana, la dimensione ultima.
    Secondo l’insegnamento del Buddha il modo migliore di toccare il Nirvana è attraverso la porta dell’impermanenza e del non sé. C’è una meditazione, chiamata meditazione sull’impermanenza, che ci porta a comprendere come tutto cambi in ogni momento e nulla sia permanente. Se guardate profondamente nella natura di quello che chiamiamo sé, troverete solo elementi impermanenti. Forma, sensazioni, percezioni, formazioni mentali, coscienza: tutto è impermanente. Il Buddha ha spiegato che tutte le formazioni sono impermanenti. Non solo le formazioni mentali sono impermanenti, ma anche le forme fisiche lo sono. E poiché tutte le cose sono impermanenti, non hanno un sé separato.

    Pensiamo a una rosa: è una formazione fisica. Sappiamo che la rosa è impermanente. La rosa, inoltre, non ha un’esistenza separata. Guardando profondamente una rosa vediamo elementi che non possiamo chiamare ‘rosa’. Nella rosa che osserviamo possiamo vedere una nuvola, poiché senza nuvole non ci sarebbe pioggia e senza pioggia il cespuglio di rose non potrebbe fiorire. Guardando in profondità questa rosa possiamo scoprire anche la luce del sole: senza la luce del sole non sboccerebbe nessuna rosa. Nella stessa rosa vediamo la terra ed i minerali. Vediamo anche il giardiniere. Se continuiamo a contemplare la rosa, avvertiamo la presenza dell’intero cosmo e intuiamo che nella rosa ci sono solo elementi di non rosa. La nuvola è un elemento di non rosa, la pioggia è un elemento di non rosa, la luce del sole è un elemento di non rosa. Da sola una rosa non può essere una rosa, perché deve inter-essere con la luce del sole, con la nuvola, con la pioggia e con il giardiniere. Appare chiaro, quindi, che la natura delle cose è il non sé, è l’inter-essere.
    Non possiamo ritenere di essere isolati e vivere solo per noi stessi, in quanto, di fatto, inter-siamo con tutto il cosmo. La meditazione sulla natura dell’impermanenza e la meditazione sulla natura del non sé ci aiutano a toccare la base del nostro essere, che è il Nirvana. Ecco, allora, che toccando profondamente la dimensione storica, è possibile scoprire la dimensione ultima. Se sarete in grado di toccare il Nirvana, supererete ogni paura. Quando un’onda si abbassa, tocca l’acqua dentro di sé e riconosce di essere uno con l’acqua. Per questa ragione l’onda non ha più paura della nascita e della morte.

    L’impermanenza, il non sé e il Nirvana sono considerati i tre sigilli del Dharma, che caratterizzano ogni insegnamento autentico del Buddha. I tre sigilli del Dharma sono delle chiavi davvero speciali........
     
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  11. Tomo Ko
     
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    Se imparerete a conoscere profondamente l’impermanenza e il non sé, raggiungerete la realtà della non nascita e della non morte. Dopo avere toccato il Nirvana non avrete più paura dell’essere e del non essere, della nascita e della morte, perché il Nirvana è l’estinzione stessa di tutti i concetti, inclusi quelli dell’essere e del non essere, della nascita e della morte.
     
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  12. Yodha
     
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    CITAZIONE
    Il Nirvana è dentro di noi,

    questa affermazione risente pesantemente del pensiero Vinnanavada, la scuola degli idealisti o 'mentalisti' da cui TNH proviene.essi tendono ad associare la realtà ultima con la vera natura della coscienza fondamentale ( alaya vinnana) e viceversa; è proprio questa una delle stravaganti teorie inventate dai buddhisti in epoche diverse a cui mi riferivo nel precedente post. questa idea di una coscienza "extra ordinaria" che sopravviverebbe alla morte per re incarnarsi in un nuovo embrione è il risultato diretto del non aver capito il discorso sul sakkaya ditthi. è un idea in netta antitesi all' insegnamento originario del Buddha sul Sakkaya e quindi sull'anatta. in sostanza, pur considerando corretta la dottrina dell' anatta ( e come potrebbero fare altrimenti!) i vinnanavadin sostengono che pur non essendoci nessun atman che passa da un corpo all'altro, rimane una coscienza fondamentale, l'alaya vinnana, che rinascerebbe dopo il trapasso. come a dire: io non sono Italiano, [però] sono nato a Milano. eternalismo insaporito con massicce dosi di misticismo. una contraddizione insanabile e una distorsione dell'insegnamento del Buddha. per questo certi pensatori Theravada si spingono a dire che "il Mahayan non è Buddhismo".

    Il nirvana, lo stato della cessazione del dukkha non è dentro di noi, non è la versione buddhista del regno di Dio dei vangeli. il nirvana non è un oggetto, né un fenomeno, né un processo. questo è misticismo puro, ma il Buddha non insegnava la mistica; se il nirvana fosse dentro di noi, noi non saremmo.

    CITAZIONE
    è l’autentico fondamento del nostro essere, è ciò che non è nato e non muore.

    Il fondamento del nostro essere ( io sono) è l'avijja, non il nirvana, che è invece la sua estinzione. oltre l'estinzione, non c'è alcun essere, alcun 'Io sono', 'io voglio', o 'io non voglio'. questo sembra più vedanta che buddhismo, o bramanesimo mascherato da buddhismo.
     
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  13. Tabasco
     
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    CITAZIONE (Yodha @ 10/4/2012, 00:25)
    questo è un punto cruciale, ed è qui che iniziano i problemi dell'interpretazione tradizionale sulla rinascita. se non si capisce questo, come diceva Nanavira, non ci sarà modo di comprendere che non esiste alcun Io o Sè che rinasce, ( che non vuol dire negare il processo del ri-divenire che riguarda tutt'altro) non importa quante prove scritturali o ragionamenti logici verranno portati.

    infatti, quanto i tradizionalisti si trovano a dover giustificare la loro posizione circa la rinascita, sono costretti a introdurre teorie come il 'patisandhi-vinnana' elaborate dopo la morte del Buddha dai commentatori, dagli estensori dell' Abhidharma, e dai Manuali quali il Visuddhiamagga, teorie che però non si trovano in nessuno dei sutta dei nikaya. un uovo di colombo insomma.

    Penso d'aver afferrato e se le cose stanno così, sono anche veramente contento in quanto è una conferma di ciò che sospettavo da tempo.
    Prendendo questo ragionamento e collegandolo con l'insegnamento karmico, il tutto assume ancora più significato e sopratutto coerenza.
    Se non fosse così, come potremmo agire per modificare le cause karmiche collocate in una vita passata, agendo nel presente?
    Se non fosse così, la faccenda inizierebbe a puzzarmi da "peccato originario"...
    Sto andando O.t. lo so quindi chiudo questa breve parentesi.

    E' un argomento che in sostanza modifica radicalmente la visione tradizionale/popolare della rinascita, (anzi la elimina direi) rendendo tutto più logico e razionale.
    Una "bomba" per l'aspetto più religioso e "dogmatico" (non trovo termine migliore) del Buddhismo, ancora più potente data la sua coerenza storica, come mi pare di capire.
    Detto questo, in che modo il ri-divenire che citi, si differenzia dal concetto diffuso di rinascita?

     
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  14. Yodha
     
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    La credenza nella perduranza del Sé


    CÛLA VEDALLA SUTTAM
    IL DISCORSO BREVE SU DOMANDE E RISPOSTE



    Premessa: Il discorso che segue, il Culavedallasuttam, ha come tema centrale la questione del sakkaya ditthi, la visione errata che considera il Sé come una realtà a se stante ed imperitura, di cui abbaimo discusso nel precedente post. introduce anche il concetto buddhista di Puna bhava, essere ancora, generalmente tradotto con rinascita. il termine sakkaya è stato tradotto con 'Persona' e 'personalità', puna bhava con 'risemina esistenza'. Questo sutta dovrebbe agevolare la comprensione di cosa si intenda per rinascita nel Buddhismo e cosa no. a breve altri estratti dai sutta canonici.ho evidenziato in neretto i passaggi significativi. da contemplare con calma e senza fretta. stay tuned..


    Questo ho sentito.
    Una volta il Sublime soggiornava presso Râjagaham, nel bosco di bambù, al colle degli scoiattoli. Ecco che Visâkho, un seguace, si recò dalla monaca Dhammadinnâ, la salutò cortesemente, si sedette da parte e le disse: "Che ha dunque detto il Sublime, reverenda, sulla personalità (sakkaya) ?"
    "I cinque aggregati soggetti dell' afferrarsi sono la personalità, ha detto il Sublime, fratello Visâkho, cioè: l'afferrarsi alla forma, alle sensazioni, alle discriminazioni, alle formazioni determinanti ed alle percezioni."
    "Bene, reverenda!" replicò Visâkho rallegrato ed appagato, e pose un'altra domanda: "Che ha dunque detto il Sublime sull'origine della personalità?"
    "Questa sete, fratello, che risemina esistenza (puna Bhava), alimentata dalla soddisfazione, qua e là pascentesi nell'attaccamento al sesso, all'essere e al benessere, ciò è l'origine della personalità."
    "E che ha dunque detto sulla cessazione della personalità?"
    "L'annientamento assoluto, il rifiuto, il distacco, l'annullamento, la rinuncia di questa sete, appunto ciò è l'annientamento della personalità."
    "Che ha dunque detto sulla via che porta all'annientamento della personalità?"
    "È questo santo ottuplice sentiero, fratello, di cui il Sublime ha detto che esso porta all'annientamento della personalità, cioè: retta cognizione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retto sapere e retto raccoglimento."
    "Ora, reverenda, quest'attaccamento è una stessa cosa con i suoi cinque tronchi, o si distingue da essi?"
    "Quest'attaccamento, fratello, non è una stessa cosa con i suoi cinque tronchi, ma senza di questi, esso non esiste. Quello che è brama di volontà nei cinque tronchi dell'attaccamento, di ciò consiste l'attaccamento."
    "Ora come avviene, reverenda, che v'è una dottrina della perduranza della persona?"
    "Ecco che un inesperto uomo comune, fratello, senza senso per ciò che è santo, della santa dottrina ignaro, alla santa dottrina inaccessibile, senza senso per ciò che è nobile, della dottrina dei nobili ignaro, considera il corpo come se stesso o se stesso come simile al corpo, o in se stesso il corpo, o nel corpo se stesso; e considera allo stesso modo la sensazione, la percezione, le distinzioni e la coscienza come se stesso, o se stesso come simile a queste, o in se stesso queste, o in queste se stesso. Così avviene che vi è una dottrina della perduranza della persona."
    "E come può, reverenda, la dottrina della perduranza della persona non sorgere?"
    "Ecco, fratello, che un esperto santo uditore che conosce ciò che è santo, della santa dottrina esperto ed accessibile, non considera il corpo come se stesso, né se stesso come simile al corpo, né in se stesso il corpo, né nel corpo se stesso: non considera allo stesso modo la sensazione, la percezione, le distinzioni, la coscienza come se stesso, né se stesso come simile a queste, né in se stesso queste, né in queste se stesso. Così può la dottrina della perduranza della persona non sorgere."
    "Di quale genere è il santo ottuplice sentiero?"
    "Di questo genere: retta cognizione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retto sapere e retto raccoglimento."
    "Ed è un composito o un singolo?"
    "È un composito."
    "E il sentiero si è forse composto in tre parti, o è stato composto da tre parti?"
    "Il santo ottuplice sentiero è stato composto in tre parti: retta parola, retta azione e retta vita formano la parte della virtù; retto sforzo, retto sapere e retto raccoglimento formano la parte del raccoglimento; retta cognizione e retta intenzione formano la parte della sapienza."
    "E come si spiega, reverenda, il raccoglimento, le rappresentazioni del raccoglimento, l'apparecchiarsi ad esso e il suo esercizio?"
    "L'unità dell'animo, fratello, ciò è il raccoglimento; i quattro pilastri del sapere sono le rappresentazioni nel raccoglimento; i quattro superamenti compiuti sono l'apparecchio al raccoglimento; e l'uso, esercizio e sviluppo di queste cose appunto, ciò è l'esercizio del raccoglimento."
    "Quante distinzioni vi sono, reverenda?"
    "Tre: corporale, verbale e spirituale."
    "E quali sono esse?"
    "Inspirazione ed espirazione, fratello, sono distinzione corporale; deliberazione e riflessione sono distinzione verbale; percezione e sensazione sono distinzione spirituale."
    "E perché è così?"
    "Perché inspirazione ed espirazione sono proprietà corporali, sono legate al corpo. Ciò che prima si è dedotto in deliberazione e riflessione, dopo lo si parla: perciò sono distinzione verbale. Percezione e sensazione sono proprietà spirituali, sono legate allo spirito: perciò sono distinzione spirituale."
    "E come, reverenda, si può raggiungere l'annientamento della percettibilità?"
    "Non è come se un monaco che raggiunga l'annientamento della percettibilità, possa dire: 'Io raggiungerò, o io raggiungo, o io ho raggiunto l' annientamento della percettibilità'. Ma egli ha di grado in grado sviluppato il suo animo, in modo che questo diviene di ciò suscettibile."
    "E in un monaco che raggiunge l'annientamento della percettibilità, che cosa si scioglie prima: la distinzione corporale, quella verbale, o quella spirituale?"
    "Prima la distinzione verbale, poi la corporale e poi la spirituale."
    "E come si può smettere l'annientamento della percettibilità?"
    "Avendo di grado in grado sviluppato il suo animo in modo che questo diviene di ciò suscettibile."
    "E quando ciò accade, che cosa riappare prima: la distinzione corporale, quella verbale o quella spirituale?"
    "Riappare prima la distinzione spirituale, poi la corporale e poi la verbale."
    "E quali impressioni, reverenda, vengono al monaco quando ha smesso l'annientamento della percettibilità?"
    "Tre impressioni, fratello: l'impressione della vacazione, quella dell'assenza di rappresentazione e quella dell'insensibilità."
    "E dove propende, dove si piega, dove s'inclina l'animo d'un monaco che ha smesso l'annientamento della percettibilità?"
    "Propende alla solitudine, si piega alla solitudine, s'inclina alla solitudine."
    "Che sensazioni vi sono, reverenda?"
    "Tre specie di sensazioni, fratello: piacevole, dolorosa e non piacevole né dolorosa."
    "E come si spiegano esse?"
    "Piacere corporeo o spirituale che si renda gradevolmente sensibile, è la sensazione piacevole; dolore corporeo o spirituale che si renda sgradevolmente sensibile, è la sensazione dolorosa; e condizione corporea o spirituale che non si renda gradevolmente né sgradevolmente sensibile, è la sensazione non piacevole né dolorosa."
    "E che è nella sensazione piacevole, piacere, e che è dolore; che è nella sensazione dolorosa, dolore, e che è piacere; che è nella sensazione non piacevole né dolorosa, piacere, e che è dolore?"
    "Nella sensazione piacevole, fratello, è piacere la durata e dolore il mutamento; in quella dolorosa è dolore la durata e piacere il mutamento; e in quella non piacevole né dolorosa è piacere l'intendere e dolore il non intendere."
    "E quale attaccamento, reverenda, aderisce alla sensazione piacevole, quale alla sensazione dolorosa, e quale a quella non piacevole né dolorosa?"
    "Alla sensazione piacevole, fratello, aderisce l'attaccamento alla brama; alla sensazione dolorosa aderisce l'attaccamento all'avversione; alla sensazione non piacevole né dolorosa aderisce l'attaccamento dell'ignoranza."
    "E aderisce l'attaccamento della brama ad ogni sensazione piacevole; e l' attaccamento dell'avversione ad ogni sensazione dolorosa; e l'attaccamento dell'ignoranza ad ogni sensazione neutra?"
    "No, non è così, fratello Visâkho."
    "Che è ora rigettabile nella sensazione piacevole, che in quella dolorosa e che in quella neutra?"
    "Nella sensazione piacevole è rigettabile l'attaccamento della brama; in quella dolorosa è rigettabile l'attaccamento dell'avversione; in quella neutra è rigettabile l'attaccamento dell'ignoranza." "Ed è da rigettarsi l'attaccamento alla brama in ogni sensazione piacevole; l'attaccamento dell'avversione in ogni sensazione dolorosa; e l'attaccamento dell'ignoranza in ogni sensazione neutra?"
    "No, non è così. Ecco un monaco, fratello, ben lungi da brame, lungi da cose non salutari, in senziente, pensante, nata da pace beata serenità, raggiunge il grado della prima contemplazione; e così egli rigetta la brama, e nessun attaccamento di brama aderisce a lui. E un monaco dice a se stesso: 'Quando dunque avrò io conquistato quel campo che i santi già possiedono?' E mentre egli così, pieno d'ardore, pensa alle somme redenzioni, si sente dolorosamente commosso; ed allora rigetta l'avversione, e nessun attaccamento di avversione aderisce a lui. E un monaco, dopo rigetto di gioia e dolore, dopo annientamento di letizia e tristezza anteriore, raggiunge la non triste, non lieta, equanime savia purezza, il grado della quarta contemplazione; e così egli rigetta l'ignoranza, e nessun attaccamento d'ignoranza aderisce a lui."
    "Che deriva dalla sensazione piacevole?"
    "Dalla sensazione piacevole deriva la sensazione dolorosa."
    "E dalla sensazione dolorosa?"
    "Dalla sensazione dolorosa deriva la sensazione piacevole."
    "E da quella neutra?"
    "Da quella neutra deriva l'ignoranza."
    "E dall'ignoranza?"
    "Dall'ignoranza deriva la conoscenza."
    "E dalla conoscenza?"
    "Dalla conoscenza, fratello, deriva la redenzione."
    "E dalla redenzione?"
    "Dalla redenzione deriva l'estinzione."
    "E dall'estinzione?"
    "Vai troppo in là, fratello Visâkho; non puoi spingere oltre il limite delle domande. Poiché la vita santa prende le sue fondamenta nella Liberazione, culmina nella Liberazione, ha la Liberazione per scopo e fine. Se ti pare vai dal Sublime e pregalo di darti spiegazione: come il Sublime te l'esporrà, serbala."
    Allora Visâkho rallegrato ed appagato dal discorso della monaca Dhammadinnâ, si alzò dal suo posto, la salutò riverentemente, girò verso destra e si recò là dove il Sublime dimorava. Salutò riverentemente, si sedette da parte e raccontò parola per parola il colloquio che aveva avuto con la monaca. Dopo questa relazione il Sublime gli disse: "Savia, Visâkho, è Dhammadinnâ la monaca.9 Se tu volessi chiedermi spiegazione, io ti darei appunto la stessa risposta che lei ti ha dato: perché questo è il senso, e così serbalo."
    Così parlò il Sublime. Contento si rallegrò il seguace Visâkho della sua parola.
     
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  15. Yodha
     
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    CITAZIONE
    E' un argomento che in sostanza modifica radicalmente la visione tradizionale/popolare della rinascita, (anzi la elimina direi) rendendo tutto più logico e razionale.
    Una "bomba" per l'aspetto più religioso e "dogmatico" (non trovo termine migliore) del Buddhismo, ancora più potente data la sua coerenza storica, come mi pare di capire.

    l'ho pensato anch'io.
    spero che qualche conoscitore dell'abhidharma e dei commentari tradizionali Theravada si inserisca nella discussione per portare un contributo di segno opposto, in modo da sviluppare un dialogo costruttivo sull'argomento. queste argomentazioni non sono semplici da afferrare, tanto è vero che dalla pubblicazione dei testi di Nanavira, passarono 20 anni prima che qualche dotto Bhikkhu di Srilanka si decidesse a rispondere. rimane da capire se Buddhadasa è stato influenzato da Nanavira o viceversa, o se entrambi si sono ritrovati sulle stesse posizioni l'uno all'insaputa dell' altro. :rolleyes:



    CITAZIONE
    Detto questo, in che modo il ri-divenire che citi, si differenzia dal concetto diffuso di rinascita?

    la risposta parziale, a mio avviso, sta nel sutta che ho appena postato, ma incredibilmente, è contenuta nel primissimo discorso dato da Buddha, anche se nessuno sembra averci fatto caso.. :D
     
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61 replies since 6/4/2012, 10:41   1589 views
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