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TORCE UMANE IN TIBET
ROMA 2 NOVEMBRE – PIAZZA MONTECITORIO ORE 15
MANIFESTAZIONE DI SOLIDARIETA’ AI MARTIRI DEL TIBET
IMMOLATI PER LA LIBERTA’ DEL LORO PAESE
18 di ottobre di quest’anno sul web appare una foto terribile.
Il corpo carbonizzato di Tenzing Wangmo giace, ancora fumante, riverso e rigido su un prato verde. Sullo sfondo si vede un piccolo gruppo di monache che corre verso i poveri resti ormai senza vita.
Fino a quel giorno le autorità cinesi, per le quali la menzogna e la negazione dell’evidenza sono uno degli sport più praticati, avevano sostenuto che tutte le notizie che filtravano da Ngaba – notizie che raccontavano di una situazione di repressione drammatica che aveva portato ad immolarsi col fuoco ben nove giovani sotto i vent’anni – erano frutto di fantasia ed erano messe in giro per denigrare il governo di Pechino.
Al contrario – dicevano - Ngaba è una tranquilla e laboriosa cittadina del Sichuan dove tutto è rose e fiori.
Oggi le autorità cinesi stanno inviando truppe aggiuntive in tenuta antisommossa e dotate di estintori a Nagba e a Lhasa e gridano furiosi al complotto. Sono già in rete filmati che testimoniano l’apparato repressivo messo in moto da Pechino.
I cinesi accusano il Dalai Lama di istigare i giovani tibetani a darsi fuoco e si permettono, proprio loro, di rilevare addirittura che questi sono gesti violenti che vanno contro la morale buddista (sic) e che costituiscono una forma di terrorismo mascherato.
Ecco dunque un altro pretesto per aumentare la repressione e annunciare ulteriori “misure restrittive” in Tibet.
Come sempre Pechino risponde con l’arroganza e la forza, chiudendo gli occhi e negando quello che da sessanta anni a questa parte il popolo tibetano ha cercato di ricordare a loro e al mondo: la brutale e sanguinosa occupazione di un paese libero, la sistematica violazione dei diritti dei tibetani, gli arresti e le detenzioni, le torture e gli aborti forzati…
Per Pechino i tibetani stanno benissimo e sorridono al loro futuro sotto l’illuminata guida del Partito Comunista Cinese.
Ma allora perché, da marzo a oggi, ben nove giovani si sono cosparsi di benzina e dati fuoco al grido di “Tibet Libero”? Cinque di questi sono morti per le ustioni riportate:
Chi descrive la morte di Tenzing racconta della ragazza che camminava tre le fiamme gridando slogan contro il regime cinese e pregando per il ritorno del Dalai Lama.
Un gesto disperato che solo la disperazione può spingere un essere umano a compiere.
Il 2 di novembre a Roma, dalle ore 15.00, davanti a Montecitorio, ci sarà una pacifica manifestazione promossa dalla Comunità Tibetana in Italia e dall’Associazione Italia-Tibet in ricordo di questi giovani martiri tibetani.
Una manifestazione che vuole ricordare a Pechino e al mondo libero che il problema del Tibet non si risolverà mai con la brutale repressione e la propaganda menzognera cui, peraltro, nessuno crede più. Finché la Cina continuerà nella sua ottusa e cocciuta negazione del “problema Tibet” lo spirito e l’eroismo dei tibetani saranno sempre lì, indomiti e coraggiosi emblemi di un popolo che non intende farsi “normalizzare”.
Neppure le più che accomodanti proposte del Dalai Lama in questi anni sono state accettate da Pechino, che anzi le rigetta come un tentativo subdolo di attentare all’unità della madre patria. E pensare che il Dalai Lama è per Pechino un’assicurazione, forse l’unica, che la lotta del Tibet non degeneri in forme di violenza aperta o addirittura di terrorismo.
Sosteniamo il popolo del Tibet, i suoi diritti e la sua pacifica lotta contro il regime di Pechino.
Diamo un segnale forte alla Repubblica Popolare Cinese, all’arroganza di chi si ritiene ormai il padrone del mondo.
COMUNITA’ TIBETANA IN ITALIA
www.comunitatibetana.org
ASSOCIAZIONE ITALIA-TIBET
www.italiatibet.org
Questi i tibetani che si sono auto immolati:
Nome: Tenzin Wangmo
Età: 20 anni
Monastero: Dechen Choekorling nunnery
Data della protesta: 17 Ottobre 2011
Località: Ngaba
Morta in loco
Nome: Norbu Damdrul
Età: 19 anni
Monastero: ex Monaco di Kirti
Data della protesta: 15 Ottobre 2011
Località: Ngaba
Non si hanno sue notizie (portato via dalla polizia)
Nome: Kayang (aka Lhungyang)
Monastero: ex Monaco di Kirti
Età: 18 anni
Data della protesta: 7 Ottobre 2011
Località: Ngaba
Morto l’8 Ottobre
Nome: Choephel
Monastero: ex Monaco di Kirti
Età: 19 anni
Data della protesta: 7 Ottobre 2011
Località: Ngaba
Morto l’11 Ottobre
Nome: Kelsang Wangchuk
Monastero: Kirti monastery
Età: 17 anni
Data della protesta: 3 Ottobre 2011
Località: Ngaba
Ricoverato in ospedale
Nome: Lobsang Kunchok
Monastero: Kirti monastery
Età: 18 o 19 anni
Data della protesta: 26 Settembre 2011
Località: Ngaba
Ricoverato in ospedale
Nome: Lobsang Kelsang
Monastero: Kirti monastery
Età: 18 o 19 anni
Data della protesta: 26 Settembre 2011
Località: Ngaba
Ricoverato in ospedale
Nome: Tsewang Norbu
Monastero: Nyitso monastery, Tawu county, Kardze, Sichuan
Età: 29 anni
Data della protesta: 15 August 2011
Località: Tawu
Morto all’istante
Nome: Phuntsok
Monastero: Kirti monastery
Età: 21 anni
Data della protesta: 16 March 2011
Località: Ngaba
Morto il 17 marzo
(dati forniti da: Tibet Society - <http://bit.ly/TSimcs>). -
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sembra propio che non finisca , purtroppo siamo a dieci immolazioni.........................
Fire spreads in Tibet – Monk self immolates in Kardze
Phayul[Tuesday, October 25, 2011 15:56]
By Sherab Woeser
DHARAMSHALA, October 25: Phayul is receiving confirmed information from Tibet that another Tibetan monk self-immolated in an apparent protest against China’s occupation today.
According to sources in exile, Dawa Tsering a 38 year-old monk from Kardze Monastery in eastern Tibet set himself ablaze at around 9.30 am local time.
A monk from Sera Jey monastery in south India, Lobsang Dakpa, while confirming the news told Phayul that Dawa Tsering self-immolated within the walls of the Kardze Monastery.
“Dawa Tsering was engulfed in flames as he shouted slogans for the return of His Holiness the Dalai Lama from exile and the re-unification of the Tibetan people,” Dakpa said.
Chinese security personnel who have been stationed in the monastery since the 2008 pan-Tibet uprisings, arrived at the scene and doused the flames.
According to sources, Dawa Tsering refused medical attention and is currently being described in critical condition with severe burn injuries.
“When the Chinese police tried to take Dawa Tsering away, he cried and pleaded not to be taken away,” Dakpa said.
As of now the situation in and around the monastery is being described as tense with monks protecting Dawa Tsering inside the monastery and armed Chinese security guards surrounding the monks and the monastery.
This is the tenth instance since March this year when Tibetans inside Tibet have set themselves on fire demanding the return of the Dalai Lama from exile and protesting Beijing’s repressive policies in Tibet.
DECIMO CASO DI AUTOIMMOLAZIONE NEL TIBET ORIENTALE
Dharamsala, 25 ottobre 2011. Dal Tibet è arrivata in mattinata la notizia di un nuovo caso di auto immolazione. Dawa Tsering, trent’otto anni, un monaco del monastero di Kardze, nel Tibet orientale, si è dato fuoco alle 9.30, ora locale, durante l’esecuzione di una cerimonia di danze rituali all’interno dell’istituto religioso. Il primo, breve comunicato diffuso faceva sapere che il religioso era stato trasportato all’ospedale ma non si avevano notizie sul suo stato di salute né sulla località del ricovero. Si tratta del decimo episodio di auto immolazione di un tibetano dallo scorso 16 marzo.
Più tardi si è appreso che, già avvolto dalle fiamme, Dawa chiedeva il ritorno del Dalai Lama dall’esilio e la riunificazione del popolo tibetano. La polizia cinese, subito accorsa, ha spento il fuoco. Secondo alcune fonti, Dawa ha rifiutato le cure mediche ed è descritto in gravi condizioni. “Quando la polizia ha cercato di prenderlo per trascinarlo fuori dal monastero” – si legge in un comunicato diffuso dal monastero di Sera in India – “Dawa supplicava di non essere portato via”. Al momento la situazione attorno al monastero di Kardze è tesa. I monaci proteggono il religioso ma le forze di sicurezza stazionano sia all’interno sia all’esterno del monastero.
Si è appreso che il 19 ottobre, a Ngaba, i tibetani sono scesi per le strade per esprimere la loro solidarietà ai compatrioti – otto quelli residenti a Ngaba – che eroicamente si sono immolati per la libertà del loro paese. In gran numero, i tibetani di Ngaba e quelli dei vicini villaggi, vestiti con gli abiti tradizionali, hanno affollato le vie della città recitando mantra, preghiere e digiunando per l’intera giornata.
Lo stesso giorno, a New Delhi, quattromila tibetani provenienti da tutta l’India e dal Nepal hanno partecipato a un raduno interreligioso di preghiera. Oltre duemila tra monaci e monache hanno capeggiato il corteo che da Ramlila ha raggiunto Jantar Mantar. Il 20 ottobre è stata la volta delle donne tibetane: in mille, comprese alcune parlamentari, numerose monache, studentesse e madri di famiglia, hanno percorso la stessa strada e ricordato la morte di Tenzin Wangmo, la monaca deceduta dopo essersi data fuoco. Il giorno successivo, oltre 1.500 giovani tibetani, alcuni dei quali avevano scritto sui loro corpi, dipinti di rosso a evocare le fiamme, i nomi di coloro che si sono auto immolati a Ngaba (nella foto). Prima delle manifestazioni, una delegazione di parlamentari tibetani si era recata presso i rappresentanti del governo indiano e presso diciassette ambasciate straniere per perorare la causa del Tibet e degli abitanti della Contea di Ngaba.
Poche finora le prese di posizione della comunità internazionale ai tragici avvenimenti. Segnaliamo la dichiarazione a favore del rispetto dei diritti dei tibetani di un portavoce del Dipartimento di Stato americano e quella di un portavoce del Ministero degli Esteri tedesco, “attonito di fronte al crescente numero di episodi di auto immolazione”. Analoga dichiarazione è venuta da un senatore del Partito dei Verdi australiano.
Fonti: Phayul – The Tibet Post - DIIR
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questo articolo sarà pubblicato domani sull’ Hindusthan Times.
Il Tibet alla prova del fuoco.
Il monaco tibetano Phuntsok tra i suoi amici era conosciuto come un tranquillo e timido novizio fino a quando un pomeriggio si mise a marciare per la strada, la tonaca impregnata di benzina, e si diede fuoco. La polizia corse verso di lui, lo bastonò con sbarre di ferro ed estinse le fiamme.
Ma ormai il giovane monaco ventenne era già stato consumato dal fuoco.
Era il 16 marzo scorso a Ngaba nell’Amdo,Tibet orientale, nel terzo anniversario dell’insurrezione del 2008 durante la quale in quella regione ai confini con la Cina morirono nove persone. Oggi la popolazione è controllata notte e giorno da polizia armata. Tra I Tibetani e il regime cinese vige un rapporto di paura e sospetto.
La polizia antisomossa di Pechino, la (PAP) la polizia armata del popolo, cercò di rimuovere rapidamente il corpo carbonizzato di Phuntsok per nascondere l’evidenza. Monaci, monache, nomadi e contadini formarono immediatamente un muro formidabile di mille anime indomabili. Costretti a chiamare rinforzi entro la sera
la PAP mise soto assedio il monastero di Kirti a Ngaba, l’Alma Mater di Phutsok. Questo monastero fondato 130 anni fa,con I suoi 2500 monaci, è uno dei centri più influenti di studi buddisti nel Tibet orientale. È qui che è avvenuta la recente immolazione di una monaca, Tenzin Wangmo , di 19 anni, la nona della serie, subito seguita a ruota il 25 Ottobre dal monaco Dawa Tsering del monastero di Kardze. Il decimo della lista. I manifesti sui muri avvertono – « altri seguiranno se continuerà la repressione».
La protesta tramite autoimmolazione divenne un’icona grazie alle immagini prese da Malcom Browne nel 1963 di un monaco in fiamme durante la guerra in Vietnam. Thich Quang Duc, 66, voleva protestare contro il regime anti-buddhista del presidente Ngo Dihn nel Vietnam del Sud. La su immolazione fece storia e venne subito imitata da molti che in seguito si daranno fuoco per opporsi alla guerra dell’America contro il Vietnam del Nord.
Fino ad allora la protesta tramite auto immolazione era stata
praticata da cattolici, Buddisti Zen, Quackeri d’America e da vari gruppi in India. Nessuno qui potrà dimenticare la protesta contro la comissione Mandal da parte di Rajiv Goswami il 19 Settembre 1990.
Quest’anno un povero fruttivendolo tunisino venne
percosso e umiliato da un vigile urbano. Quando il governatore si rifiutò di riceverlo diede questo avvertimento –« Se non mi ricevono, mi darò fuoco !» Il giorno dopo , Bouazizi si cosparse di benzina e accese i fiammifero. Il suo atto provocò una manifestazione antigovernativa che dilagò come un incendio in tutto il Medio Oriente. Il Presidente Ben Ali venne destituito, dopo essere stato 23 anni al
potere, e, a ruota, altri tiranni furono deposti o uccisi come il Colonnello Gheddafi nei giorni scorsi.
L’atto di autoimmolazione di Bouazizi ispirò un movimento in tutto il Nord Africa. Il vento della rivoluzione del Gelsomino sta ancora soffiando sul mondo Arabo. Ma chi si ricorda che la prima autoimmolazione Buddhista di un monaco avvenne in Cina nel lontano 397 D.C. ?
Lo storico cinese Jan Yuan-hua, educato in India e residente in Canada, nel suo saggio sull’ autoimmolazione buddhista nella Cina Medievale cita du biografi cinesi del quinto e del decimo secolo.
Il professor Jan elenca più di 50 monaci che tentarono o commisero l’autoimmolazione. Il concetto di «wang-shen» o «yi-shen». Letteralmente –abbandono o perdita del corpo- era ispirato principalmente dal testo del Sutra del Loto importato dall’India. In questo Sutra si narra la storia di Bhaisaiyaraja, che raggiunse lo stato di Bodhisatva con il darsi fuoco. Si crede che, a causa della sua profonda devozione il fuoco che consumava il suo corpo durò
per ben 1200 anni.
Quello che in India era solo un atto teorico, per i devoti cinesi di Buddhismo più coraggiosi divenne una reale tradizione da mettere in pratica. Successivamente, nel 570, ci fu la protesta contro l’imperatore antibuddhista WU della dinastia Dei Chou(557-581) : il monaco Tao-chi e sette amici digiunarono fino alla morte nella provincia odierna del Sichuan.
Tutti questi casi di autoimmolazione e scioperi della fame fino alle estreme conseguenze avvennero in Cina molto prima che il Buddhismo raggiunse il Tibet dall’India nel settimo secolo d.c .
La settimana scorsa la portavoce del ministro degli esteri cinese definiva atti di terrorismo mascherati questi tragici e disperati appelli alla libertà del Tibet. Purtroppo la rivoluzione culturale di Mao estirpò il Buddhismo dalla Cina. Oggi i giovani della più grande nazione buddhista , ben 450 milioni praticanti in Cina, devono seguire gli insegnamenti del Buddha da altre parti, per lo più in Tibet oppure alcuni vengono perfino a Dharamsala. L’onnipotente partito comunista cinese è paranoico riguardo alla religione che sia Buddhista,cattolica oppure Falung Gong. Tuttavia vi è una spasmodica, struggente, ansiosa, ricerca di spiritualità nella Cina di oggi.
Per un Buddista attentare alla vita, sia per omicidio che suicidio, è proibito. Per questo togliersi la vita equivale a distruggere quanto c’è di più sacro, la vita umana dotata di cocienza. A proposito dell’autoimmolazione di Thich Qaung Duc, il celeberrimo maestro di buddismo Thich Nhat Hahn disse» Come la crocefissione di Gesù Il suo atto rappresenta
l’assoluta volontà di soffrire al fine di portare il prossimo, gli altri, al risveglio . »
Tenzin Tsundue , scrittore tibetano e attivista
Note bibl.
1 – History of Religions, Vol. 4, 1965 University of Chicago Press
2 – A Review of Socially Engaged Buddhism for the New Millennium, edited by Pipob Udomittipong and Chris Walker
Dharamsala, 26 ottobre 2011. Nel corso di un programma televisivo andato in onda domenica 23 ottobre sul canale televisivo CNN IBN, il nuovo Primo Ministro tibetano Lobsang Sangay ha affermato che lo spirito dei tibetani è più forte di quello degli oppressori cinesi e che la lotta del popolo tibetano prevarrà sulle politiche repressive cinesi.
Rispondendo alle pressanti domande del giornalista indiano Karan Thapar che gli chiedeva se la causa tibetana non fosse da considerare ormai una causa persa di fronte alla riluttanza della comunità internazionale a inimicarsi la Cina, Lobsang Sangay ha risposto che fino a quando lo spirito dei tibetani sopravvivrà e sarà forte la causa non sarà mai perduta. Ha affermato che, rispetto alle altre nazioni del mondo, i tibetani sono “geneticamente” più preparati a confrontarsi con la Cina. “Abbiamo assistito alle alterne vicende di questo paese, abbiamo combattuto contro i cinesi, li abbiamo invasi, abbiamo a nostra volta subito l’invasione, per 2000 anni ci siamo confrontati con loro”, ha spiegato il Kalon Tripa. All’intervistatore che gli ricordava il recente rifiuto del governo sud africano alla concessione del visto al Dalai Lama e l’imbarazzo dello stesso presidente Obama, costretto a ricevere il leader tibetano nella Sala delle Mappe anziché nella Sala Ovale per non irritare la Cina, Sangay ha risposto che questa è la lotta, una lotta difficile ma sostenuta dalla volontà dei tibetani, che sapranno sopravvivere per tutto il tempo necessario alla politica repressiva cinese, e confortata dalla religione buddhista che i tibetani praticano da millenni.
Dopo aver ribadito che è intenzione dei tibetani continuare il processo di dialogo con la Cina, a dispetto dell’attuale chiusura della dirigenza di Pechino e delle frasi minacciose pronunciate dal prossimo leader designato, Xi Jinping, Sangay ha detto: “La Cina afferma di essere uno stato di diritto, di desiderare una società armoniosa e la pace nel mondo: se questi sono i principi che proclama e sui quali si fonda, ebbene, agisca di conseguenza”.
Interrogato sulla questione della reincarnazione del Dalai Lama, il Kalon Tripa ha affermato che la Cina non possiede “il diritto, la legittimazione e l’autorità” per interferire sull’argomento. “I cinesi hanno definito Sua Santità il Dalai Lama un demonio, non credono nella reincarnazione, considerano la religione un veleno, hanno un governo comunista: dovrebbero comportarsi in conformità alla loro ideologia, non hanno voce in materia di reincarnazione”.
L’intera intervista, in lingua inglese, al sito:
http://ibnlive.in.com/videos/195743/our-sp...s-tibet-pm.html
purtroppo il timore che dalle autoimmolazioni si passi a gesti più estremi e violenti si è già concretizzato:
Tibet : Government Building Bombed
Gio, 27/10/2011 - 17:01
A bomb has exploded at a government building in a town in Tibet's Chamdo prefecture and Chinese security forces have sealed off the area.The blast in Karma town came amid rising protests, including 10 self-immolations this year, against Chinese rule in Tibetan-populated areas.One source said words reading “Tibet’s independence” were written in red on the destroyed walls of the office building and "Free Tibet" fliers were strewn within the compound.The entire road access leading to and from Chamdo had been completely cut off including closure of Karma monastery.All the monks in Karma monastery, located on the eastern bank of the Dzachu River in Chamdo, had been confined inside the monastic compound, putting a strict control on their movements since the explosion.
Authorities had also allegedly halted activities of many Tibetans engaged in the production of Buddhist religious objects and artifacts in the area, known for the profession.
Chamdo has been described by the Chinese official media as the "frontline" of the "patriotic education" campaigns favored by the Chinese Communist Party as a means of pre-empting nationalist protests in Tibet.
New measures have been introduced over the past few months to counter dissent and demonstrations.
Chinese security forces have stepped up security following 10 self-immolation and other protests this year against Chinese rule.
In Ngaba prefecture, the Kirti monastery, home of most of the 10 Tibetans who have self-immolated so far this year, has been under siege most of the year by Chinese security forces.
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Tomo Ko.
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CITAZIONEFino ad allora la protesta tramite auto immolazione era stata
praticata da cattolici, Buddisti Zen, Quackeri d’America e da vari gruppi in India. Nessuno qui potrà dimenticare la protesta contro la commissione Mandal da parte di Rajiv Goswami il 19 Settembre 1990.
Quello che hai scritto mi ricorda gli attivisti dell'IRA che si lasciavano morire di fame in prigione come protesta contro l'occupazione dell'Irlanda del nord da parte degli Inglesi. All'epoca ero un'adolescente ma la cosa mi aveva estremamente colpito.
M auguro che per i Tibetani la questione si risolva meglio, che tutte queste immolazioni possano servire veramente a risvegliare gli animi e a risolvere in modo positivo la situazione.
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DHARAMSHALA, October 29: The European Parliament on October 27 adopted an urgency resolution on Tibet following the recent spate of ten self-immolations in Tibet.
Expressing its deep concern over the self-immolations, the European Parliament condemned the continued crackdown by Chinese authorities on Tibetan monasteries and sentencing of the Kirti monks without fair trial.
In the resolution, the European Parliament urged the Chinese authorities to lift restrictions and heavy-handed security measures imposed on Kirti monastery while demanding China to account for the status of the Tibetans who survived self-immolation.
The European Parliament also urged the Chinese authorities to allow independent international media and human rights monitors to visit the area.
Calling on China to respect rights of the Tibetans and to take proactive steps to resolve their underlying grievances, the European Parliament urged Chinese authorities to cease promoting policies threatening the Tibetan language, culture, religion, heritage and environment.
The resolution also called on the European Union and its Member states to press China to resume dialogue with His Holiness the Dalai Lama and his representatives.
The European Parliament impressed upon the European External Action Services (EEAS) and the EU delegation in China to continue raising concrete individual cases of Tibetans imprisoned for the peaceful exercise of religious freedom in meetings and to present a report to the EP within the next twelve months, suggesting actions or policies to implement.
Lending support to the ongoing campaign led by Tibetans and Tibet supporters targeting the G 20 summit, the European Parliament called on the President of the European Council, Herman Van Rompuy and President of the Commission, Jose Manuel Barroso as well as the EU leaders who are members of the G20 to urge President Hu Jintao to address the human rights situation in Tibet at the upcoming G20 summit on 3-4 November 2011 in Cannes, France.
http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.../IT&language=IT
‘Self-immolation sign of deep desperation’ says the Dalai Lama
Phayul[Saturday, October 29, 2011 15:50]
By Sherab Woeser
His Holiness the Dalai Lama is received by Japanese well wishers upon arriving at a hotel in Osaka on October 29, 2011. The Tibetan spiritual leader is scheduled to give a public talk on overcoming life's difficulties tomorrow at the Osaka Maishima Arena tomorrow. (Photo/OHHDL/Tenzin Choejor)OSAKA, October 29: Tibetan spiritual leader His Holiness the Dalai Lama arrived in Japan earlier this morning on a 10-day visit which will see him travel to the worst hit areas of the devastating tsunami that struck the island nation in March this year.
The Dalai Lama had briefly visited Japan last April to offer prayers and attend a memorial service at Tokyo's Gokokuji Temple for the victims of the earthquake and tsunami.
Arriving from New Delhi, the Dalai Lama was received at the Tokyo Narita International Airport by Lhakpa Tshoko, the Representative of the Liaison Office of His Holiness the Dalai Lama for Japan and East Asia and Rev. Fujita Kokan and Rev. Saito Ugyen of Koyasan University.
Ruthlessness only will not be good for all
Upon arrival at the hotel, the Dalai Lama briefly interacted with Japanese reporters.
Responding to a question on the recent spate of self-immolations in Tibet, the Tibetan spiritual leader said that Chinese leaders should heed to the genuine grievances of the Tibetan people.
"This incident of growing self-immolations in Tibet needs to be studied from philosophical, religious and political view points. It is a sign of deep desperation; Chinese leaders need to look into these incidents more seriously. Ruthlessness only will not be good for all."
While saying it was “too early” to hope for “big change” from China’s next leaders, His Holiness noted that “harmony must come from the heart”.
Referring to the mass uprisings in Tibet in 2008, followed by the Uyghur uprisings in 2009 and the mass movements in Inner Mongolia this year, the Dalai Lama said, “trust and fear cannot go together”.
Travelling from Tokyo, the 76-year old Tibetan leader arrived in Osaka, the country’s commercial capital later in the afternoon. The Dalai Lama is scheduled to give teachings on the Heart Sutra and also give a public talk on overcoming life’s difficulties at the Osaka Maishima Arena tomorrow.
During the visit, His Holiness is scheduled to give teachings and public talks, meet with religious heads and interact with scientists.
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Facebook, Twitter and YouTube help push Tibetan struggle
By Varinder Bhatia | India Express
CHANDIGARH, India, 28 October 2011
From the protest marches, the hungerstrikes and the waving of Tibetan flags before Chinese leaders have all been tried, Tibetan protesters in India have gone on to find means more effective in expressing themselves.
The Central Tibetan Administration has opened accounts on Facebook and Twitter, is set to get one on YouTube, and has revamped its website, all of this aimed at spreading awareness about the Tibetan movement and raising funds from the international community.
The revamp has come under the leadership of the Harvard-educated Dr Lobsang Sangay, now Prime Minister (Kalon Tripa) of the Tibetan government-in-exile. The improved website provides links to the CTA’s Facebook and Twitter pages, both under construction. Other links will take the visitor to websites on the struggle, including movements by Tibetan nongovernmental organisations, and to videos of Chinese atrocities on Tibetans in Tibet.
Dr Sangay says his government has tied up with Google that has cleared a YouTube account, on which videos on the struggle will be uploaded. The runtime will be no bar. “Usually, YouTube imposes a restriction on uploading videos longer than 9 minutes 59 seconds. For any video beyond that, one needs special sanction, which we have got,” says Kaydor Aukatsang, adviser and special coordinator on development in the CTA.
“A team of four computer science graduates are working round the clock to design the new website of the Central Tibetan Administration. The website is in the testing phase,” Aukatsang adds. “All these measures will not only create awareness on the Tibetan struggle across the globe, but also help us raise funds for our movement. If US President Barack Obama can raise funds for his election campaign using the Internet, I am sure we too can get good support from people across the globe. An audiovisual broadcasting unit is working on these projects, under the guidance of Department of International Relations.”
In yet another move, the Tibetan administration has launched an online television channel, TibetOnline.tv, where news on the movement is being uploaded. The channel has been designed as an application usable on BlackBerrys, Android and various Apple gadgets. The CTA plans to develop it gradually into a full-fledged 24×7 channel that can be watched from any part of the world. “We will recruit news anchors, build studios and probably launch HD videos.”
Prime Minister Sangay says, “The Tibetan Computers Resource Centre is on the job of redesigning a new and more sophisticated Central Tibetan Administration website, which will be more rich in content and will be used to assess almost every dimension of the Tibetan struggle. Funds are very important and we will leave no stone unturned in raising funds for the Tibetan cause.”
Copyright © 2011 The Indian Express Limited
Published in Indian Express
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31/10/2011 11:38
TIBET - CINA
Arresti e carcere per scrittori e letterati, per colpire la cultura tibetana. Un noto scrittore tibetano condannato a 3 anni di carcere, nel Sichuan tibetano, è detenuto da un anno e si ignorano le accuse. Le autorità cinesi arrestano intellettuali, monaci e semplice insegnanti tibetani, per stroncare la cultura tibetana.
Dharamsala (AsiaNews/Agenzie) – Non ha soste la persecuzione contro gli intellettuali tibetani. Il tribunale di Barkham (in cinese: Ma’erkang), nella prefettura di Ngaba (Aba) in Sichuan, ha condannato nei giorni scorsi a 3 anni di carcere l’insegnante e scrittore tibetano Jolep Dawa, 39 anni.
Fonti tibetane riferiscono che nemmeno si conoscono le accuse, né le ragioni per cui Dawa è detenuto dal 1° ottobre 2010. Egli è editore della rivista in lingua tibetana Durab Kyi Nga (I, of this Century) ed organizzatore di conferenze culturali tibetane.
Secondo queste fonti, egli pochi giorni prima della condanna ha potuto vedere la moglie e i figli, ma anche a loro è proibito parlare della sua detenzione.Dopo l’arresto, la polizia ha confiscato il suo computer e tutti i diari e i suoi scritti letterari. Dawa è stato già detenuto negli anni scorsi. Dapprima, per un mese, perché coinvolto in una campagna contro l’uso di pellicce di animali tibetani per fare vestiti. Poi per 3 mesi dal marzo 2008.
Il 19 ottobre la polizia ha anche arrestato, nella sua casa nella contea Yatsi, il giovane scrittore tibetano Choepa Lugyal Aka Meche, noto per il suo prolifico lavoro di saggista e commentatore politico. Non si conosce l’accusa, la polizia ha perquisito l’abitazione portando via il computer e una copia del libro tibetano “Shar-dungri”, proibito dalle autorità. Il Tibet da anni è sottoposto a un continuo controllo militare e isolato dal mondo, con censura e taglio di internet e linee telefoniche mobili e fisse. La persecuzione cinese da tempo ha preso di mira gli intellettuali tibetani, che molto contribuiscono a tenere viva la ultramillenaria cultura e lingua del Tibet. A giugno un tribunale di Karze, prefettura di Aba, ha condannato a 4 anni di carcere lo scrittore ed editore Tashi Rabten, per avere aiutato a pubblicare la rivista “Eastern Conch Mountain”.
Nei giorni scorsi il Dalai Lama, leader spirituale dei buddisti tibetani, ha ripetuto che “Non vogliamo separare il Tibet. Vogliamo l’autonomia solo per preservare la nostra cultura, lingua e religione”, alludendo alla sistematica repressione cinese contro la cultura e la religione tibetana.
Intanto il 14 ottobre la polizia ha arrestato il monaco Geshe Tsultrim Gyatso del Monastero Amdo Ditsa, nella prefettura di Tsolho (Hainan) provincia di Qinghai. Gyaltso da 10 anni è amministratore capo del monastero e per anni ha insegnato nelle scuole tibetane della zona.
Nei giorni scorsi è stato pure arrestato il monaco Lodroe, 36 anni, del monastero di Kirti. Se ne ignora la sorte.
TIBET: MONACI ABBANDONANO IL MONASTERO PER SFUGGIRE AI SEVERI CONTROLLI GOVERNATIVI
31 ottobre 2011. In seguito all’esplosione di una rudimentale bomba carta avvenuta la scorsa settimana a Dzagyu Karma, una città della provincia di Chamdo, le autorità cinesi hanno vietato qualsiasi lo svolgimento di attività religiosa e stanno strettamente sorvegliando i monaci del locale monastero sospettati di essere gli autori del presunto attentato. Riferisce Radio Free Asia che la maggior parte dei monaci, non potendo sopportare le pressioni esercitate dalle forze di sicurezza cinesi, ha abbandonato il monastero. Solo qualche monaco anziano è rimasto all’interno dell’istituto religioso.
“La polizia cinese e le forze di pubblica sicurezza, accompagnate da funzionari governativi, sono entrate nel monastero ogni giorno”, ha scritto un residente nella zona in una mail inviata a Radio Free Asia. “Hanno indetto riunioni, minacciato la gente e bloccato il traffico in tutta l’area”. “Hanno fotografato tutti i monaci, prese le loro impronte digitali e prelevato campioni di sangue di ognuno”. “Molti monaci, di conseguenza, hanno preferito abbandonare il monastero per sfuggire alle perquisizioni e agli arresti”.
Altre fonti, tra le quali una locale agenzia di viaggio, hanno riferito che è stato vietato a tutti gli stranieri l’ingresso nella prefettura di Chamdo. I residenti di etnia han devono mostrare i permessi di residenza ed esibire i necessari documenti di identificazione.
Sembra che l’esasperazione dei tibetani di Chamdo sia stata acuita da una recente disposizione governativa che prevede la costruzione di edifici – denominati “Centri per il Partito Comunista” – nelle aree rurali della zona con conseguente aumento degli insediamenti di popolazione di etnia han in tutta l’area. Testimoni oculari hanno raccontato che sulle pareti dell’edificio governativo nelle cui vicinanze è avvenuta l’esplosione sono state scritte frasi di invocazione all’indipendenza del Tibet e di richiesta di libertà per i tibetani. A conferma del rifiuto dei tibetani ai nuovi insediamenti, figurava anche la frase: “Chiunque abiterà nelle aree rurali dovrà parlare la lingua tibetana altrimenti non lo accetteremo”. “Se questa politica di insediamento di cittadini han nelle aree rurali cinesi non cesserà, protesteremo e saremo costretti a ricorrere alla forza”.
Questi nuovi episodi confermano la situazione di tensione ed esasperazione dei tibetani e si aggiungono ai dieci casi di auto immolazione avvenuti in Tibet nel giro di pochi mesi.
A proposito di questi drammatici eventi, si è appreso da Dharamsala il 30 ottobre che la Cina, nelle ultime settimane, ha realizzato dei falsi filmati in cui semplici cittadini e funzionari tibetani sono obbligati a recitare allo scopo di denigrare e svilire i casi di immolazione. In uno di questi filmati, definiti dai monaci del monastero di Kirti in India “un insulto al sacrificio dei tibetani”, figura perfino Phuntsog, il monaco immolatosi il 16 marzo 2011 e morto per le gravi ustioni riportate. Secondo quanto previsto dalla macabra sceneggiatura, il monaco si dichiara “dispiaciuto” per essersi dato fuoco.
Da Osaka, dove è arrivato il 29 ottobre, il Dalai Lama interrogato dai giornalisti, ha dichiarato: “I recenti e numerosi episodi di auto immolazione devono essere valutati sia dal punto di vista filosofico e religioso sia da quello politico”. “Sono comunque un segnale della grande disperazione dei tibetani e i leader cinesi devono tenerne seriamente conto”.
Fonti: Radio Free Asia - Phayul
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61 Tibetans detained near Kathmandu UN office
Phayul[Wednesday, November 02, 2011 14:30]
By Phayul Stringer
Tibetan protesters being taken to a nearby police station by the Nepali police. (Phayul photo/Tsering Phuntsok)KATHMANDU, November 2: 61 Tibetan refugees including the President of the Regional Tibetan Youth Congress (RTYC) Kathmandu, Tsewang Dolma, General Secretary Yeshi Dolma and executive members of RTYC Pokhara were arrested from Machhindra Park in Lalitpur and detained at the local police station early Tuesday after they broke into a street demonstration demanding the withdrawal of China’s repressive policies in Tibet.
Those arrested were among the hundreds of Tibetans who had gathered at Samdupling settlement area in Jawlakhel to participate in a three-day campaign as part of the Global Action campaign for Tibet. Tibetans from different parts of the country had gathered at Jawlakhel in solidarity with the ten Tibetans who set themselves on fire this year protesting China’s continued occupation of Tibet.
The settlement area saw police presence since Monday and the numbers grew further on Tuesday morning with more than 300 members of the Armed Police force (APF) surrounding the Tibetan settlement area, blocking all entry and exit points.
Organised by the TYC, the three-day campaign plans to hold peaceful solidarity activities which include a mass prayer service, fasting, hand-written letters in blood, Lhakar oath for Tibet and shaving heads.
Earlier in the morning, a scuffle broke between the Tibetan refugees and the Nepal Police after members of the Nepali APF grabbed the portrait of the Dalai Lama, which was hung at the terrace of the building where Tibetans were offering mass prayers.
Around 30 policemen charged into the middle of the crowd and seized all banners, placards and Tibetan flags reasoning that the word ‘Tibet’ itself had a serious political connotation and is therefore prohibited from being used.
While in detention, the 61 Tibetans refused to accept food and observed a fast.
The detained were released late at night.. -
yeshe.
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http://www.phayul.com/news/article.aspx?id...death+in+Tibet#
Dharamsala, 3 novembre 2011. Undicesimo caso di auto immolazione in Tibet. Fonti tibetane e la stessa agenzia di stato cinese Xinhua hanno confermato la morte di Palden Choetso (conosciuta anche come Choesang), una monaca trentacinquenne appartenente al monastero di Gaden Choeling – situato non lontano dal monastero di Nyisto - nella regione orientale tibetana del Kham Tawo.
Bawa Kalsang Gyaltsen, un esponente del Parlamento tibetano in esilio, ha reso noto che Palden è morta a causa delle gravissime ustioni riportate. Si è data fuoco alle 12.40, ora locale, invocando la libertà del Tibet. Al momento il corpo della monaca si trova nel monastero di Nyitso, subito circondato dalla polizia che sta cercando di imporre ai monaci la consegna del cadavere.
Questo nuovo caso di immolazione in Tibet avviene in concomitanza della riunione, a Cannes, del G20 e delle manifestazioni dei sostenitori della causa tibetana che, nella cittadina francese e in oltre sessanta città di tutto il mondo – inclusa Roma, dove ieri si è svolta la manifestazione organizzata dall’Associazione Italia-Tibet e dalla Comunità Tibetana in Italia – cercano di richiamare l’attenzione dei leader della terra e del presidente cinese Hu Jintao sulla situazione tibetana e sui casi di immolazione che tragicamente continuano a ripetersi in Tibet.
Nella giornata di ieri, a Kathmandu, la capitale nepalese, la polizia ha arrestato un centinaio di tibetani che manifestavano per la libertà del Tibet e a ricordo dei martiri. Una donna tibetana ha cercato di darsi fuoco ma è stata prontamente fermata da altre compatriote presenti alla protesta. La città è sotto stretto presidio.
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la Gazzaladra.
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Ma possibile che il resto del mondo sia sordo a tutto questo?
Basta basta basta, non ne posso più...
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yeshe.
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TORCE UMANE IN TIBET: COMMOZIONE E SDEGNO ALLA MANIFESTAZIONE DI ROMA
Novembre 2011. Ieri, mercoledì 2 novembre, si è svolta a Roma davanti alla sede del parlamento, a Montecitorio, la manifestazione “Torce Umane in Tibet”, a sostegno della causa tibetana e a ricordo dei martiri immolatisi per la libertà del loro paese. La manifestazione è stata congiuntamente organizzata dall’Associazione Italia-Tibet e dalla Comunità Tibetana in Italia.
Dalle ore 15.00 sono arrivati a Piazza Montecitorio tibetani, simpatizzanti ed esponenti delle associazioni che hanno aderito alla manifestazione. Davanti all’obelisco sono state dispiegati due enormi drappi realizzati con 60 bandiere tibetane cucite assieme a ricordare gli anni dell’occupazione. Allo stesso tempo si è dato luogo alla performance, di respiro internazionale, “Chalk Tibet”, “il Tibet disegnato con il gesso”, consistente nella raffigurazione sul terreno di sagome di corpi senza vita accanto si quali sono state posti cartelli, fiori e candele accese a ricordare i 10 martiri che si sono immolati col fuoco per protestare contro l’occupazione cinese.
Hanno preso la parola diversi rappresentati delle associazioni, gruppi e partiti che hanno aderito.
La manifestazione è stata introdotta dal presidente dell’Associazione Italia-Tibet Claudio Cardelli. Hanno successivamente preso la parola Kelsang Dolkar, presidente della Comunità Tibetana in Italia, Bruno Mellano, della direzione Radicali Italiani e Matteo Mecacci, coordinatore dell’Integruppo parlamentare per il Tibet e Presidente della Commissione Diritti Umani dell’Assemblea Parlamentare dell’OSCE. E’ stata poi la volta di Tenzin Thupten Gashon, ex presidente della Comunità Tibetana in Italia, di Marilia Bellaterra, consigliere dell’Associazione Italia-Tibet e presidente di Aref International nonché preziosa organizzatrice e “regista” della manifestazione assieme a Fausto Sparacino, vice presidente di Italia-Tibet e allestitore di tutta la parte grafica della manifestazione. Sono quindi intervenuti Rocco Berardo, Consigliere regionale del Lazio, Giancarlo D’Anna, Consigliere regionale della regione Marche, Lama Geshe Lobsang, Pende, Geshe Thubten Dargye, Samten Lobsang, Lobsang Tibet Soepa, Dechen Dolkar della Tibetan Woman Association e Laura di Mattia Polichetti, tibetologa, Università di Roma.
Hanno collaborato attivamente Lorenzo Neri, Marisa Burns, Miki Hirashima, Dechen Dolkar, e tanti altri amici e simpatizzanti che ringraziamo vivamente.
Un grazie particolare a Stefano Bottesi autore di tutti i manifesti utilizzati.
Particolare accento è stato posto da tutti gli intervenuti sulla gravità della situazione in Tibet e sul significato drammatico e di tragica testimonianza che queste immolazioni col fuoco ci trasmettono. Di fronte a una generale e supponente indifferenza dei pochi parlamentari transitati (l’onorevole Di Pietro, incontrato in una strada laterale da uno dei partecipanti, si è affrettato a raccontare di essere venuto a portare la sua solidarietà al Tibet…, ma nessuno lo aveva visto), i tibetani hanno intonato canti e preghiere in un’atmosfera di serena e composta determinazione, lasciando intendere chiaramente di non cedere di una virgola sul fatto che la Causa del Tibet rimarrà viva e sentita fino a che l’ultimo tibetano sarà su questo pianeta.
Sono stati distribuiti centinaia di volantini e opuscoli ai numerosi curiosi, passanti e stranieri in visita a Roma.
Hanno aderito alla manifestazione:
Carlo Buldrini, Scrittore
Piero Verni, www.freetibet.eu
Riccardo Zerbetto, World Action Tibet
Matteo Mecacci, Presidente Gruppo Interparlamentare per il Tibet
Severino Saccardi, Direttore Rivista Testimonianze
Isabella Testi, Centro di Studi Buddhisti GIANG CIUB
Manfred Manera
Guido Ferrari
Laura Masini
Mauro Corbani
Giovanni Vuono, GIOTIBET.org
Dechen Dolkar
Davide Cacciatore
Lucia Pedemonte
Rimè ONLUS
Marisa Marisa Tibet Burns
Giancarlo D'Anna, Consigliere regionale Marche, Gruppo Misto
Gajang Dharma, Tibet Vestone Brescia
Lobsang Tibet Soepa and Tso Pema Non-Profit
CENTRO Cian Ciub Cio Ling
ISTITUTO SAMANTHABADRA
AREF INTERNATIONAL
IL SENTIERO del TIBET
TIBET FILM FESTIVAL
TIBET INIZIATIVE TRENTINE
TIBETAN WOMEN ASSOCIATION
OPERATORI USR PIEMONTE
CASA DEL TIBET
OLIART
AZ AIUTO ALLO ZANGSKAR
ASSOCIAZIONE COMUNI PROVINCE REGIONI PER IL TIBET
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Tibetan exile attempts immolation outside Chinese embassy
Dharamshala, November 04: Following in the footsteps of Tibetans at home, a young Tibetan exile man on Friday set himself on fire in protest against China’s rule of Tibet outside the Chinese embassy in the Indian capital of New Delhi.
“Police grabbed 25-year-old Sherab Tsedor and put out the fire engulfing his trousers,” AP reported.
Tsedor, who is better known among friends as Migmar, reportedly shouted "Free Tibet, Stop Killing in Tibet," as officers took him in a jeep to a hospital.
Luckily, Tsedor suffered minor burns and his condition is described as “out of danger.” He is believed to be alone during the protest.
This year, eleven Tibetans – mostly monks and nuns - have committed self-immolations in Tibet demanding a free Tibet and the return of their exile spiritual head Dalai Lama. At least six Tibetans have died of the deadly protest while conditions of the other five are unknown, according to exile sources.
04/11/2011 10:25
INDIA-TIBET-CINA
Un tibetano si dà fuoco a Delhi davanti all’ambasciata cinese
Ieri una monaca si era auto-immolata per protestare contro la repressione del governo cinese e per chiedere il ritorno del Dalai Lama. E’ l’undicesima auto-immolazione dell’anno di monaci e suore in seguito alla repressione più dura da parte degli occupanti cinesi.
Delhi (AsiaNews) - Sherab TseDor, un tibetano, ha cercato di darsi fuoco oggi a Delhi di fronte all’ambasciata cinese in segno di protesta contro la repressione scatenata nei confronti dei tibetani, che ha provocato undici auto-immolazioni di monaci e suore, l’ultima ieri. E’ stato ricoverato con ustioni sul 10 per cento del corpo. Un comunicato afferma che “vista la disperazione e l’impossibilità di agire, 11 tibetani fra cui due monache si sono auto-immolati dal marzo di quest’anno. L’ultimo caso è del 3 novembre, e tutti chiedevano la libertà e il ritorno di sua Santità il Dalai Lama in Tibet”.
Il governo cinese, continua il comunicato, “invece di guardare all’aspirazione alla libertà e ai diritti umani del popolo tibetano segue la politica della repressione, e viola completamente l’impegno internazionale sui diritti umani fondamentali. E continua a denunciare il Dalai Lama con una falsa propaganda”.
Il comunicato sottolinea che questi avvenimenti tragici sono un chiaro segno del risentimento profondo che i tibetani nutrono verso la politica del governo cinese sul Tibet, e “chiede con forza che il governo cinese ponga fine immediatamente alla politica repressiva in atto”. Il comunicato afferma: “Oggi il Sherab TseDor mi sacrificherà davanti all’ambasciata cinese per protestare contro la repressione cinese. Prego e chiedo che i leader del mondo e gli uomini di pace facciano qualche cosa per la causa del Tibet. Stiamo morendo, ed è responsabilità morale di chiunque ami la libertà appoggiarci”.
Ieri una monaca tibetana si è data fuoco per protestare contro l’oppressione cinese. Palden Choetso, o Choesang, 35 anni, (nella foto) del monastero di Darkar Choeling, a Twu (cinese Daofu) nella provincial del Sichuan si è data fuoco gridando “Tibet libero”, e “Lunga vita al Dalai Lama”. La monaca è morta in seguito alle ustioni. (n.c.)
AsiaNews |
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www.thetibetpost.com/en/news/intern...ountries-cities
www.thetibetpost.com/en/news/intern...ent-goes-global
www.phayul.com/news/article.aspx?id...ction+for+Tibet. -
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www.ansa.it/web/notizie/collection/..._642779827.html
IL DALAI LAMA: È DI PECHINO LA RESPONSABILITÀ DELLE AUTOIMMOLAZIONI
Tokyo, 7 novembre 2011. Dal Giappone, il Dalai Lama ha dichiarato oggi nel corso di una conferenza stampa che le auto immolazioni dei monaci tibetani sono la conseguenza delle disperate condizioni del popolo tibetano causate dai rigidi controlli di polizia e dal “genocidio culturale” attuato da Pechino. “E’ in atto una sorta di genocidio culturale”, ha denunciato il Dalai Lama, facendo riferimento alle notizie uscite dal Tibet e alle testimonianze di chi lo ha recentemente visitato. “Questa è la causa delle auto immolazioni, conseguenza di una situazione disperata”.
“Negli ultimi dieci anni”, ha detto il Dalai Lama, “sono stati inviati in Tibet emissari del potere di Pechino decisamente molto intransigenti e la conseguenza è ciò a cui stiamo assistendo oggi: giovani monaci che scelgono di immolarsi in nome di una libertà che appare sempre più lontana”. “La propaganda comunista della Cina getta sulla questione tibetana una visuale ottimista e rosea ma, di fatto, anche i cinesi che visitano il Tibet hanno l’impressione che il paese sia in una situazione disperata”, ha aggiunto il Dalai Lama.
La scorsa settimana si è data fuoco Palden Choesang, una monaca di 35 anni del monastero di Nyitso, nella prefettura di Ganzi, in Sichuan. Il gruppo Students for Free Tibet ha riferito che ieri, 6 novembre, circa diecimila tibetani si sono riuniti per commemorarla presso il suo monastero, sotto lo stretto controllo della polizia cinese pronta a intervenire. Le autorità cinesi accusano il Dalai Lama di essere un terrorista separatista e di fomentare i suicidi. “Noi – ha invece sempre precisato il Dalai Lama - condividiamo in pieno i principi della non-violenza”. Più volte ha invitato i religiosi a evitare gesti estremi, ma ha sempre aggiunto di non poter condannare chi si lascia prendere dallo sconforto. Da Washington, dove si era recato la scorsa settimana per partecipare alla riunione della Commissione Diritti Umani Tom Lantos, anche il nuovo Primo Ministro tibetano, Lobsang Sangay, ha accusato la Cina di aver condotto il popolo tibetano alla disperazione e ha chiesto al governo di Pechino di porre fine alla repressione in atto nel paese. Dopo aver ribadito l’urgenza di una ripresa del dialogo, Lobsang Sangay ha auspicato che sia consentito l’ingresso nella zona di Ngaba, dove vige una legge marziale di fatto, a giornalisti, diplomatici e funzionari delle Nazioni Unite e ha domandato che cessino l’ostilità e le misure poliziesche nei confronti dei monaci.
Fonti: Asia News – Phayul - ANSA
07/11/2011 12:43
CINA - TIBET
Dalai Lama: il “genocidio culturale” dei tibetani provoca le autoimmolazioni
Dura accusa del Dalai Lama contro la Cina, quale causa dei disperati suicidi dei religiosi tibetani. Intanto in Cina 10mila tibetani sfidano la polizia e commemorano la religiosa bruciatasi la scorsa settimana.
Tokyo (AsiaNews/Agenzie) – Le disperate condizioni del popolo tibetano per i rigidi controlli e il “genocidio culturale” attuati da Pechino sono la causa delle auto-immolazioni dei religiosi tibetani. Il Dalai Lama, leader spirituale dei buddisti tibetani, lancia oggi la dura accusa contro Pechino, in una conferenza stampa a Tokyo.
Almeno 11 monaci e monache tibetani si sono dati fuoco nel 2011 nel Sichuan tibetano, quale rivolta estrema contro la repressione cinese, che è aumentata dopo le proteste del 2008 e che arriva al controllo militare dei principali monasteri, con continuo indottrinamento e arresto dei religiosi e loro deportazione per destinazioni “ignote”. “E’ in atto un genocidio culturale”, ha denunciato il Dalai Lama, facendo riferimento alle testimonianze uscite dal Tibet e di chi lo ha visitato. “Per questo ci sono questi tragici fatti, conseguenza di una situazione disperata”. La scorsa settimana si è data fuoco una monaca di 35 anni nella prefettura di Ganzi, in Sichuan. Il gruppo Students for Free Tibet ha riferito che ieri circa 10mila tibetani si sono riuniti presso il suo monastero Tawu Nyitso per commemorarla, sotto lo stretto controllo della polizia cinese pronta a intervenire.
Le autorità cinesi accusano il Dalai Lama di essere un terrorista separatista e di fomentare i suicidi. Il leader spirituale, in esilio del 1959, ripete da anni di volere solo una maggior autonomia del Tibet per preservarne cultura e tradizioni. “Noi – ha ripetuto – condividiamo in pieno i principi della non-violenza”. Già più volte ha invitato i religiosi a evitare gesti estremi, ma ha aggiunto di non poter condannare chi si lascia prendere dallo sconforto. A ottobre ha guidato, in India, la preghiera di centinaia di monaci e fedeli per commemorare chi si è così immolato.
http://www.televideo.rai.it/televideo/pub/...&sottopagina=01
www.google.it/url?url=http://italia...osXItzSOyoJ0TLQ
www.newnotizie.it/2011/11/08/il-gen...colonizzazione/
www.tibet.net/en/index.php?id=2682....1#TabbedPanels1
China : Three brothers have been hospitalized after setting themselves on fire to protest a forced land grab in northern China’s Hebei province, according to villagers.
http://t.co/we4VsRGJ. -
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Dharamsala, 9 novembre 2011. Continua il pugno di ferro delle autorità cinesi a Ngaba dove la libertà religiosa e i diritti umani dei monaci sono sistematicamente calpestati. Il sito tibetano The Tibet Post pubblica oggi la notizia dell’arbitrario arresto, senza alcun apparente motivo, di altri due monaci del monastero di Kirti, Yonten e Lobe.
Yonten, diciannove anni, è stato prelevato nella sua abitazione la mattina del 4 novembre. Lobe, ventuno anni, è stato arrestato il pomeriggio del 6 novembre. Non si conosce il luogo della loro detenzione. Due monaci del monastero di Kirti in India, intervistati da Tibet Post, hanno riferito che militari e poliziotti cinesi, vestiti in abiti civili, non si limitano a presidiare il monastero ma “ispezionano le abitazioni dei contadini e dei nomadi imponendo alle famiglie l’obbligo di iscrivere i figli di età inferiore ai diciotto anni a scuole cinesi”. Se i bambini già si trovano all’interno di un monastero, i genitori sono costretti a prelevarli e a farli studiare in un istituto scolastico cinese, pena il pagamento di una multa di 3000 yuan per ogni figlio che frequenti una scuola tibetana.
Il giorno 8 novembre, si è appreso da Radio Free Asia che Dawa Tsering, il monaco auto immolatosi a Kardze il 25 ottobre continua a rifiutare di essere curato in un ospedale cinese. Ricoverato all’ospedale di Kardze dopo che i confratelli avevano spento le fiamme, Dawa ha immediatamente espresso la volontà di essere riportato al monastero. Una fonte tibetana ha riferito a RFA che il 7 novembre tre funzionari cinesi accompagnati da un medico si sono recati al monastero offrendo al monaco cure gratuite presso un ospedale cinese. Dawa ha rifiutato ogni assistenza, anzi “in realtà non ha pronunciato una parola”. Secondo la fonte, “Dawa Tsering, ora curato da otto monaci e da un cognato che esercita la professione di medico, si dice dispiaciuto per non essere morto all’istante”.
Da Dharamsala, Ogyen Trinley Dorje, il 17° Karmapa, ha definito “coraggiosi” gli undici tibetani che si sono immolati e ha affermato che “hanno agito per disperazione”, “contro l’ingiustizia e la repressione sotto le quali sono costretti a vivere”. “Alla notizia di ogni immolazione ho provato un grande dolore” – ha detto il Karmapa – “ma per la dottrina buddhista la vita è preziosa e va preservata se vogliamo ottenere qualcosa di importante”. “Noi tibetani siamo numericamente pochi e, di conseguenza, la vita di ognuno di noi è preziosa per la causa del Tibet”. Il Karmapa ha rivolto alla Cina l’appello a dare ascolto alle legittime richieste dei tibetani e ad avviare con loro un dialogo costruttivo anziché cercare di zittirli ricorrendo alla forza.
Fonti: The Tibet Post – Radio Free Asia - Reuters
Exile monk attempts self immolation in Nepal - updated
Phayul[Thursday, November 10, 2011 18:19]
Dharamsala, Nov 10 - An unidentified Tibetan monk set himself ablaze at Boudhanath Buddhist stupa in central Kathmandu earlier today. The Tibetan monk is the second Tibetan exile in less than a week to resort to self immolation as a way of protest against China after 11 Tibetans inside Tibet, since March 2011, have burnt themselves in protest against China leading to the death of five. Witnesses say the incident took place around 7 in the morning, a time when the stupa is usually crowded with Buddhist people circumambulating the holy shrine.
According to witnesses, the exile Tibetan monk, who is said to be around 30, wrapped his body in the Tibetan flag, doused his body in kerosene, chanted free-Tibet slogans and demanded return of His Holiness the Dalai Lama to Tibet before setting his body ablaze. People nearby rushed to his side and put out the fire.
“At first I heard lots of screaming. As I rushed to the site, I saw the back of the monk was on fire and he was running around. After the fire got put off, he used a traditional Tibetan lamp and set himself ablaze before people rushed to put it off,” recalls Pema Ramla who was on her way to work when she witnessed the self-immolation by the monk. The International Tibet Network cited a source saying the monk is safe but with burns on his left arm. The International Tibet Network says they are not sure if anyone had been able to capture pictures of the incident. "Publication of a recognizable photograph of the monk would amount to revealing his identity to the Nepalese police. Hence, the fear of exposing the monk's identity seems to have prevented from publishing his photograph." His whereabouts and identity are being kept secret for safety reasons. Nepali Police who arrived on the scene much later have been questioning locals about the monk. Deputy Superintendent of Boudha, Shyam Gyawali has called Thursday’s self-immolation a staged protest and was quoted by AFP as saying, “The demonstrator lit himself while his companions stood by ready to extinguish the fire.” “There were friends with him who immediately put it out. We are trying to find them all,” added Gyawali. Following the incident, the situation around the Boudhanath area grew tense with hordes of Nepal Police personnels gathering at the site, questioning locals and surveying the neighborhood. In their frantic search for the monk, many police personnels and intelligence officials made rounds of nearby hospitals. No photos have been released so far of the incident in fear of the monk’s identity being revealed.
Karmapa Lama urges end to self immolation
Phayul[Thursday, November 10, 2011 18:53]
By Tendar Tsering
DHARAMSHALA, November 10: The young head of the Kagyu tradition of Tibetan Buddhism Karmapa Ogyen Trinley Dorje, has urged Tibetans in Tibet not to resort to self-immolation protests. These desperate acts, carried out by people with pure motivation, are a cry against the injustice and repression under which they live," said the Karmapa referring to the recent spate of self-immolation in Tibet. The religious head also urged the Chinese leadership to "heed Tibetans' legitimate demands and to enter into meaningful dialogue with them instead of brutally trying to achieve their silence." "The situation is unbearably difficult, but in difficult situations we need greater courage and determination," said the Karmapa, urging the Tibetans in Tibet to preserve their lives. The Karmapa blamed the repressive policies of the Chinese government in Tibet for forcing 11 Tibetans to set themselves ablaze since March this year in quest for freedom in Tibet and return of the Dalai Lama. "Repressive measures can never bring about unity and stability. Chinese leadership needs to seriously review its policies towards Tibetans and other minorities."
10/11/2011 12:41
TIBET - CINA
Karmapa Lama: “Pechino affronti le sue responsabilità in Tibet”
di Ogyen Trinley Dorje, XVII Karmapa Lama
Dharamsala (AsiaNews) - Dal marzo di quest’anno, 11 coraggiosi tibetani si sono dati fuoco mentre chiedevano libertà per il Tibet e il ritorno a casa di Sua Santità, il Dalai Lama. Questi atti disperati, messi in pratica da persone con motivazioni pure, sono un grido di dolore contro le ingiustizie e le repressioni cui sono costretti. La situazione è difficile in un modo mai verificatosi prima, ma è nelle situazioni difficili che abbiamo bisogno di maggior coraggio e determinazione. Ogni notizia di una auto-immolazione in Tibet ha riempito il mio cuore di dolore. La maggior parte di coloro che sono morti era di giovane età. Avevano un lungo futuro davanti a loro, un’opportunità di contribuire alla causa in modi che ora se ne sono andati per sempre. Nell’insegnamento buddista la vita è preziosa. Per raggiungere una qualsiasi cosa di valore, abbiamo il dovere di preservare le nostre vite. Noi tibetani siamo pochi, di numero, quindi ogni vita tibetana è di valore per la causa del Tibet. Anche se la situazione è difficile, abbiamo bisogno di vivere a lungo e resistere con forza, senza perdere mai di vista i nostri obiettivi a lungo termine. Come ha detto Sua Santità il Dalai Lama, la leadership cinese dovrebbe affrontare la vera fonte di questi tragici incidenti. Tali atti drastici affondano le proprie radici nelle disperate circostanze in cui i tibetani si ritrovano a vivere. Una risposta dura non farà altro che peggiorare la situazione. Dove c’è paura non può esserci fiducia. Sua Santità ha sottolineato come l’uso della forza sia controproducente. Le misure di repressione non possono mai portare unità e stabilità. Sono d’accordo con lui: la leadership cinese, invece di mettere in pratica tali misure, deve rivedere le proprie politiche nei confronti dei tibetani e delle altre minoranze che vivono in Cina. Io mi appello a tutti coloro che amano la libertà di pensiero e la libertà, in tutto il mondo: unitevi a noi nel deplorare la repressione senza fine che avviene nei monasteri in Tibet, in modo particolare in quelli del Sichuan. Allo stesso tempo mi appello ai leader cinesi: ascoltate le richieste legittime dei tibetani e aprite un dialogo significativo con loro, invece di cercare con la forza bruta di ottenere il loro silenzio. Dato che la questione tibetana riguarda la verità e la giustizia, la gente non ha paura di dare la propria vita: ma io chiedo al popolo del Tibet di preservare la propria e trovare un’altra forma, più costruttiva, per aiutare la causa. La mia preghiera più sentita è che le monache e i monaci, così come tutto il popolo tibetano, possano vivere a lungo senza paura, in pace e felicità.
The 17th Gyalwa Karmapa Asks Tibetans to Preserve Their Lives
Thursday, 10 November 2011 13:44 -Brionie Pereira, The Tibet Post International
Dharamshala, India: - The Chinese-oppressed province of Eastern Tibet has enclosed itself in a ring of fire. The grisly act of self-immolation has become horrifically routine, with at least six Tibetan monks having died since March 2011.
Yesterday, (9th November) In his first statement to the press since the last few self-immolations, the young and revered His Holiness the 17th Karmapa commented on the tragedy of these drastic acts, making an appeal to the Chinese to stop using such repressive measures against the people of the Sichuan province, while also urging Tibetans to stop resorting to self-immolation.
Commenting on the situation, he said, "These desperate acts, carried out by people with pure motivation, are a cry against the injustice and repression under which they live. The situation is unbearably difficult, but in difficult situations we need greater courage and determination". He added that each of the deceased monks were incredibly young and regretted the opportunities they had missed in making contributions to the movement.
"In Buddhist teaching life is precious. To achieve anything worthwhile we need to preserve our lives. We Tibetans are few in number, so every Tibetan life is of value to the cause of Tibet. Although the situation is difficult, we need to live long and stay strong without losing sight of our long term goals". In 2000, the 17th Karmapa, Ogyen Trinley Dorjee, fled Tibet and arrived in Dharamshala into the welcoming arms of His Holiness, the Dalai Lama and his people in exile. Since 2000, he has been in asylum in India, holding a refugee status. He is part of the Buddhist trinity, one of the most important Buddhist religious figures following the Dalai Lama and the Panchen Lama.
Reiterating His Holiness the Dalai Lama's beliefs, the Karmapa has said, "The Chinese leadership should face up to the real source of these tragic incidents.... A ruthless response will only make things worse. Where there is fear, there can be no trust".
He echoed the Dalai Lama's opinion that the use of force is counter-productive and repressive measures can never bring unity and stability.
In the recent past, the Chinese government has lashed out at Tibet's spiritual leader, accusing him of encouraging monks to self-immolate. His Holiness the Dalai Lama, in response, stated that it is the Chinese's "cultural genocide" in Tibet that was the primary reason behind these drastic acts.
The 17th Karmapa's statements are immensely significant to the current situation, considering that he is the only top Buddhist leader also recognised by the Chinese government.
In his statement to the press, he appeals to the Chinese government to review its policies towards Tibetans and other minorities, and heed to the legitimate demands of Tibetans through a constructive and meaningful dialogue, rather than resorting to brute force.
Over the past few months, the Tibetan struggle has gathered momentum, with thousands of supporters coming together worldwide to show their solidarity with the cause. World governments have remained safe in their stance towards Tibet, but Tibet support movements springing up all over the world, coupled with an escalating number of Tibetan deaths, has put pressure on global leaders to take more proactive action against China.
"I appeal to right-thinking,freedom-loving people throughout the world to join us in deploring the repression unleashed in the monasteries in Tibet, particularly in the Tibetan region of Sichuan" said the 17th Karmapa.
"Because the Tibetan issue involves truth and justice, people are not afraid to give up their lives, but I request the people of Tibet to preserve their lives and find other, constructive ways to work for the cause of Tibet. It is my heartfelt prayer that the monks and nuns, indeed all the Tibetan people, may live long, free from fear, in peace and happiness".
Clinton presses China on Tibet, blind lawyer
Honolulu, Hawaii November 11: US Secretary of State Hillary Clinton voiced alarm over Beijing's treatment of Tibetans and a blind rights activist as tensions between the superpowers threatened to intrude on Pacific Rim talks.
In Honolulu for an Asia-Pacific summit, Clinton said the United States welcomed a "thriving China" but pressed the growing Asian power on both human rights and its economic policies.
"When we see reports of lawyers, artists and others who are detained or 'disappeared,' the United States speaks up both publicly and privately," Clinton said in a speech at the East-West Center think-tank shortly before a scheduled meeting with Chinese Foreign Minister Yang Jiechi.
China had already struck a discordant note ahead of the summit, saying earlier this week that US goals for the meeting in Hawaii -- which include getting the ball rolling on a regional free-trade pact -- were "too ambitious".
As Chinese President Hu Jintao arrived in Honolulu for the summit, Clinton said the US was "alarmed by recent incidents in Tibet of young people lighting themselves on fire in desperate acts of protest, as well as the continued house arrest of the Chinese lawyer Chen Guangcheng."
"We continue to call on China to embrace a different path."
Clinton is the highest-level US official to raise concern publicly about Tibet and Chen amid growing alarm in recent months.
Ethnic Tibetan areas of China have seen a wave of self-immolations by Buddhist monks and nuns in protest at what they see as Beijing's stifling rule. Rights groups say that at least five monks and two nuns have died.
Chen, a self-trained lawyer who has been blind since childhood, spent four years in prison after documenting late-term abortions and forced sterilizations under Beijing's one-child policy.
He was released last year, but rights campaigners say he and his wife were severely beaten earlier this year in apparent retaliation for the release of a video smuggled out of their home in which Chen railed against his house arrest. Campaigners say paid thugs continue to attack anyone who tries to reach Chen in his village in eastern China. Clinton also raised concerns about China's economic policies, including its alleged preference for state-run firms in procurement and the value of its currency, which critics say is kept artificially low to boost exports.
She noted that US firms want more market access in China, while Chinese firms want to be able to buy more high-tech products from the United States, invest more here, and see China treated like a true market economy.
"We can work together on these objectives -- but China needs to take steps to reform," Clinton said.
US Treasury Secretary Timothy Geithner said Asian economies, and "China, in particular," must free up their currencies. He also said Asian economies must do more to stimulate domestic growth to help protect the global economic recovery from being imperiled by the European debt crisis. The United States hopes to use its chairmanship of the 21-member Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC) forum to set the terms of a free trade deal that could breathe life into moribund global trade liberalization talks. Leaders will be watching closely in Honolulu to see if Prime Minister Yoshihiko Noda brings Japan into talks on the Trans-Pacific Partnership (TPP), a step that would leave China conspicuously on the outside of the US-brokered pact. On the eve of the summit, China's assistant foreign minister Wu Hailong said developing economies in the fast-growing region had already "expressed their difficulties and concerns" at US targets for lower tariffs on environmental products and for reductions in energy intensity. (AFP)
www.bbc.co.uk/news/world-15688250
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yeshe.
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Goodbye Tibet?
Posted: 11/14/11 07:12 PM ET
For ten days last month I saw first-hand what the Chinese are doing in Tibet. The reports you've heard of cultural genocide are true. China is obliterating the ideas, traditions and habits of the Tibetan people.
Do we care? We'd better. China's confidence increases with each step onto the world stage. What the Chinese are doing in Tibet tells us a lot about what we can expect from them as their power grows.
It's hard to get into Tibet. I described myself as a retiree on a Bucket List trip and prayed the Chinese would not bother to Google me. I was in Nepal, waiting, when the Chinese Embassy gave me a visa just hours before the flight I'd booked to Lhasa. A short, spectacular flight across the Himalayas, and I was in the capital of Tibet.
Lhasa is a Potemkin Village. The Chinese have built an modern airport and superhighway into town. Change the language on the signs and the part of Lhasa that foreigners are supposed to see looks like a small wealthy city in Arizona. Better. Modern shops and manicured parks line the main street. The downtown is impeccably clean, there's no congestion, and the traffic signals are high-tech marvels. Late-model cars outnumber motorbikes and most of those bikes are electric so there's no hammering noise and choking fumes.
There was a significant uprising in Lhasa only three years ago and the Chinese want no more of that. Even in the part of Lhasa open to foreigners, small units of Chinese soldiers in riot gear are stationed every hundred yards and foot patrols are high-stepping reminders to the Tibetans of the iron fist that rules their lives.
A key part of the Chinese plan has been flooding Tibet with Chinese immigrants from the east. Already Lhasa is 60% Chinese. The best-paying jobs all go to Chinese while Tibetans pick through what's left. Tibetans often suffer low-level harassment of many kinds that restrict where they can travel and where they can live. They can get thrown in jail for downloading a photograph of the Dalai Lama. In schools, Chinese is taught as the "mother tongue." In those few places where Chinese signs are translated into Nepalese and English, the Chinese characters are twice as large as the English and four times as large as the Tibetan. The Tibetans get the point.
Poke behind the Potemkin walls, however, and just a few hundred yards from the manicured boulevards of downtown Lhasa you'll find acres of simple Tibetan houses, made of stone and cinderblock. It's a crime not to fly the Chinese flag from your roof, but two-thirds of these little households risk a heavy fine not to do it. The victory is temporary: Tibetan houses are being bulldozed one by one, with their residents moved to Cabrini Green-type high-rises as fast as these can be built. Farm folk who've been scratching a living on their land for generations are now watching Chinese soap operas on the 16th floor of a Cabrini Green flat instead of talking with their friends in local teahouses and watching the sun go down over an acre or two of their barley. Forced moves like this starve not bodies but souls. The idea is to lead Tibetans, especially young Tibetans, to forget who they are.
The Chinese presence is a little less visible when you leave the capital, as I did on an eight-day road trip along the spine of the Himalayas, on roads and tracks that took us as high as 16,000 feet, winding through a barren series of sharp brown hills. Thirty miles to the south rose the jagged white wall of the highest mountains on earth.
China overran Tibet in the early 1950's, the last episode in a fifteen hundred year struggle between Tibetans, Mongols and Chinese for political control of the "rooftop of the world." The Chinese authorities forced Tibet's spiritual leader, the Dalai Lama, to flee into exile in 1959. During China's Cultural Revolution in the 1960's, gangs of Red Guards destroyed nearly all the Buddhist monasteries in Tibet and killed or dispersed 90% of the monks in a frenzied assault on Tibetan ideas, culture, customs and habits. All this fueled a fierce anger and resentment among Tibetans, a proud people with their own warlike past.
Realizing the mistakes of the Cultural Revolution, the Chinese leadership adopted a smarter course. Today, a blanket Army presence discourages open rebellion while massive infusions of cash are building a modern infrastructure that is yanking Tibet out of feudalism and into the 21st century. There's some truth in what a Chinese tourist told me in Lhasa, "We are raising standards of living in the region with our investment, and providing Tibetans with better lives." Tibetans now enjoy hospitals, government buildings, schools, paved roads, electric power, and censored-but-operable cell phones and Internet, none of which would be there without the Chinese. Compared to neighboring Nepal, the Tibet I saw looked modern. But all this cash is also meant to buy friends, especially among the young or those with short memories.
Contrary to reports I'd read before I arrived, the Chinese also seem to have withdrawn their heavy hand from the monasteries. Most of them have been rebuilt, some with Chinese help. Even the smallest towns have monasteries with ornate paintings, statues and wall hangings. I saw no Chinese soldiers or police near the holy places, which were crowded with local people who seemed to be freely exercising their faith. There's no way this could have been staged for a lone tourist, in place after place. Tibet may be the most religious country on earth. Beijing may have finally realized that Tibetan Buddhism is the only element in the country stronger than the Chinese presence.
It's not clear that adding carrots to the stick is succeeding. There have been a continuing series of protests and uprisings in Tibet for the last sixty years. Eleven monks have burned themselves alive this year alone. It was not easy to get Tibetans to talk with me, and I certainly didn't blame my driver/minder for sticking to his tourist script. Still, when they did talk -- out of sight or hearing of anyone who looked Chinese -- most Tibetans made it clear how much they hated the Chinese for invading their country, but even more for deliberately trying to destroy their culture and their way of life.
My itinerary on this trip was tightly controlled and my papers checked at the police and army posts that dotted the country like sheafs of barley. My e-mails were monitored (type in "Dalai Lama" and my Internet Café connection would suddenly disappear). There was no Facebook or YouTube, and Google searches were heavily restricted. I kept all my handwritten notes in a personal code on food wrappers mixed in with my dirty socks.
What's next for Tibet?
China will never willingly cede political control to the restive Tibetans. Nor are they likely to change a basic strategy of assimilating Tibet into 21st century China, until the Tibetan culture is nothing more than a colorful artifact.
Still, the Chinese must be worried about an "Arab Spring." The Chinese are right to fear the power of the monasteries to move angry people to rebel in ways that would catch the attention of the world. If the Tibetans are willing to make the sacrifices, there could indeed be Tahrir Squares here. And that would force the Chinese to either stop their assaults on Tibetan culture -- or lay down a violent suppression that would bring them global condemnation. What the world thinks of their actions in Tibet may not have mattered to China twenty years ago. But with the Beijing Olympics, China announced its presence and involvement in the larger world. At least China's younger and more progressive leaders understand that what they do at home now is judged in ways that can seriously affect their ambitions on the world stage. And that does matter -- to them, to the Tibetans, and to us.
LHAKAR KARPO: IL MOVIMENTO DELLA RESISTENZA POPOLARE TIBETANA
14 novembre 2011. “Lhakar Karpo”, letteralmente “il Mercoledì Bianco”, è il nome del movimento della resistenza popolare tibetana contro l’occupazione cinese e il conseguente rischio di una totale sinizzazione del paese. Iniziato alla fine del 2008, Lhakar è espressione della volontà del popolo del Tibet di coinvolgere tutta la società, con modalità diverse, in un nuovo tipo di lotta non-violenta: la non-collaborazione.
Simbolicamente, i tibetani hanno scelto la giornata del mercoledì – il giorno in cui è nato il Dalai Lama - per affermare il diritto alla sopravvivenza della loro cultura e allo stesso tempo boicottare gli esercizi pubblici e commerciali cinesi. Anche se singole azioni di resistenza possono essere effettuate in qualsiasi giorno della settimana, ogni mercoledì un crescente numero di tibetani si impegna ad indossare l’abito tradizionale, a parlare solamente la lingua tibetana, a pranzare in ristoranti tibetani e a fare acquisti solo in negozi di proprietà di tibetani evitando in modo particolare i mercati ortofrutticoli cinesi. Il movimento di resistenza popolare si esprime quindi non soltanto attraverso le manifestazioni di massa, gli slogan, i poster anticinesi e la tragedia delle immolazioni, ma si allarga a tutta la società civile permeando la vita di tutti i giorni.
Il fine del movimento è duplice in quanto mira contemporaneamente all’auto preservazione e alla non-cooperazione. Da un lato, infatti, i tibetani si battono perché la loro lingua, cultura e identità non vadano perdute; dall’altro, il rifiuto delle istituzioni e delle attività commerciali cinesi intende privilegiare la piccola economia locale arginando e contrastando il dilagare delle attività e degli affari della comunità Han.
La preservazione della lingua tibetana è uno dei primari obiettivi di Lhakar a fronte del tentativo del governo cinese di marginalizzare il tibetano sostituendo ad esso il cinese quale lingua attraverso la quale avviene l’insegnamento nelle scuole. I tibetani intendono battersi per affermare il loro diritto a studiare nella propria madre lingua e, allo stesso tempo, vogliono mantenerne intatta la purezza evitando il diffondersi del “Drak kay”, termine che indica il misto di lingua tibetana e cinese ormai diffuso nella lingua parlata. A questo proposito, pare che i tibetani abbiano stabilito di “auto multarsi” di uno yuan per ogni parola cinese pronunciata nelle conversazioni di tutti i giorni. Tale pratica, iniziata tra i monaci del monastero di Sershul, situato nel Tibet orientale, contea di Zachukha, si è velocemente diffuso tra la popolazione nonostante il divieto dei locali rappresentanti del Dipartimento del Fronte Unito per il Lavoro.
Il boicottaggio dei mercati cinesi di frutta e verdura, iniziato a Nangchen, nella provincia del Kham, si è ormai esteso alle vicine contee di Dzaduo, Surmang e Jyekundo tanto che, secondo quanto riferiscono fonti nell’esilio, sembra che alcuni negozi cinesi della zona siano stati costretti a chiudere. È un segnale della crescente consapevolezza del potere dei tibetani in quanto consumatori e in quanto presenza indispensabile per la sopravvivenza dei negozi cinesi. “Se i tibetani comperano dai tibetani” – riferisce il sito di Lhakar – “l’economia interna tibetana diverrà più forte e i tibetani avranno più potere contrattuale, a livello sia sociale sia politico”.
Dal Tibet, il movimento si è esteso tra i tibetani in esilio che, consapevoli dell’importanza degli atti di resistenza all’interno del paese, intendono sostenere Lhakar attraverso canali radiofonici, siti web, social network, blog e ogni altro mezzo di informazione atto a diffondere le notizie delle azioni dei compatrioti e a coinvolgere tutta la diaspora tibetana. Il movimento di supporto alla resistenza vede un numero crescente di esuli impegnati a operare concretamente, assieme ai tibetani in Tibet, per la sopravvivenza della loro cultura e per far sentire a chi è all’interno del paese che il movimento è unico e condiviso. Informazione, interventi sul blog http://lhakardiaries.com/, raccolta e traduzione di canti della resistenza tibetana e organizzazione di eventi con artisti tibetani sono alcune delle azioni proposte.
Ulteriori informazioni e approfondimenti al sito:
www.lhakar.org/
14 novembre 2011
Pechino promette a monaci Tibet benefici materiali
La Cina ha promesso ai monaci tibetani che avranno una serie di benefit, in quello che appare un tentativo di riprendere il controllo delle aree nelle quali negli ultimi mesi almeno 11 monaci, tra cui due donne, si sono dati fuoco per protestare contro la ”repressione” cinese. ”Il governo farà’ ogni sforzo per garantire servizi pubblici come elettricità’, acqua, telecomunicazioni, radio e tv ai monasteri”, ha detto il capo del Partito comunista cinese del Tibet Chen Quanguo citato dal quotidiano Global Times. Ci saranno anche, sempre secondo il leader comunista, benefici come contributi in denaro e altre forme di ”aiuto personale”. Inoltre, il governo di Pechino ha annunciato che verra’ rafforzata la spesa pubblica nella Regione autonoma del Tibet per finanziare opere pubbliche per 60 milioni di dollari. Gli investimenti andranno in gran parte nella rete idrica della Regione e nella ”salvaguardia dell’ambiente naturale”. La situazione nella Regione autonoma e nelle altre zone della Cina a popolazione tibetana e’ rimasta tesa dopo la rivolta anticinese del 2008 nella quale, secondo i gruppi di esuli tibetani, avrebbero perso la vita circa 200 persone. Sempre secondo gli esuli tibetani, ci sarebbero stati centinaia di arresti. I suicidi col fuoco, chiamati ”autoimmolazioni”, si sono verificati nelle aree tibetane della provincia del Sichuan, nel sudovest della Cina.
fonte: ANSA
Harry Wu al Teatro Sociale di Trento
Venerdì 11, Novembre, Trento. E’ il secondo anniversario di quando il Consiglio Regionale del Trentino Alto Adige ha passato la risoluzione contro i Laogai, all’unanimità. È stata una giornata particolarmente intensa. In mattinata al Teatro Sociale Harry Wu ha incontrato più di 700 studenti delle classi superiori. Sono intervenuti l’Assessore Dalmaso, il consigliere regionale Pino Morandini, primo firmatario della Risoluzione passata l’11 novembre 2009, il Consigliere della Fondazione Caritro Dr.ssa Genico e Toni Brandi che ha introdotto Harry Wu ed i Laogai. Harry Wu ha presentato la sua testimoniana: i suoi due tentativi di suicidio, le torture e gli abusi sofferti. Il Solzenytsin cinese ha anche spiegato alle scolaresche le numerose violazioni dei diritti umani nella Cina comunista come le esecuzioni capitali, il traffico degli organi dei condannati a morte e la repressione di ogni dissenso e delle religioni. In particolare ancora oggi l’essere cattolici, fedeli al Santo Padre, è un crimine perseguibile in Cina. Due Vescovi sono spariti nelle mani della polizia da anni e sacerdoti cattolici languiscono nei laogai. È bello tuttavia osservare che dopo 62 anni di marxismo ateo in Cina la Chiesa Cattolica ancora esiste. Infatti anche la maggioranza dei Vescovi della Chiesa Patriottica (controllata dal Partito) sono segretamente fedeli al Papa. La Fondazione Laogai ha presentato una proposta di legge, trasversale, contro l’importazione ed il traffico dei prodotti del lavoro forzato http://www.laogai.it/wp-content/uploads/20...ta-di-legge.pdf. Molti studenti hanno posto delle domande ed alcuni di loro avevano già fatto delle ricerche sui Laogai e la plastificazione dei cadaveri dei condannati a morte. “Perchè oggi si parla solo dei crimini nazisti e non dei crimini attuali dei comunisti?” … La triste risposta è stata che mediante il lavoro forzato dei Laogai molte imprese ed il Governo cinese fanno enormi profitti. Nel primo pomeriggio si è svolta una cerimonia di apertura della Mostra sui Laogai nella Sala di Rappresentanza della Regione, alla presenza di Pino Morandini, il Consigliere Regionale Zanon, delegato dalla Presidenza, il Sindaco di Volano Francesco Mattè, Toni Brandi ed Harry Wu che ha calorosamente ringraziato la Regione Trentino Alto Adige, la Provincia di Trento e la Fondazione CARITRO per le molte attività di sensibilizzazione sui Laogai svolte in Trentino. I laogai rappresentano due problemi. Uno morale poichè è intollerabile che nel terzo millennio esistano ancora più di mille campi di concentramento dove milioni di persone sono costrette al lavoro forzato a scopo di profitto ed il secondo problema di carattere economico perchè l’importazione dei prodotti del lavoro forzato danneggiano la nostra economia. Quindi non è solo l’aspetto etico quello che deve far riflettere quanti hanno deciso di tenere gli occhi chiusi su questo drammatico problema. In ballo non ci sono infatti solo i diritti di chi aspira ad una vita migliore, ma anche gli effetti devastanti sull’economia italiana, e mondiale con le inevitabili conseguenze provocate da delocazzazioni, bancarotta, ricorsi esasperati agli ammortizzatori sociali, disoccupazione e indebitamenti dei governi. È per denunciare questo impatto economico che sempre al Teatro Sociale, in serata, si è svolto il Convegno “Laogai! Dai lager cinesi ai nostri mercati”. Il presidente della Fondazione Caritro, Dr. Zandonati, ed i presidenti regionali della Coldiretti, Dr. Galliari, e dell’Associazione Artigiani, Dr De Laurentis, hanno portato i loro saluti. Sono intervenuti il presidente nazionale Coldiretti, Dr Marini, il Presidente Nazionale Confartigianato, Dr Guerrini, che hanno presentato le numerose tematiche collegate al tema dei diritti umani in Cina e questo non solo nel paese asiatico ma anche in Italia dove vi sono decine di migliaia di immigrati clandestini cinesi costretti al lavoro forzato nei laboratori clandestini. La Prof. Francesca Romana Poleggi, membro del comitato esecutivo della Laogai Italia, ha presentato i due rapporti della Fondazione. “http://www.laogai.it/wp-content/uploads/2011/04/dai-lager-cinesi-alle-nostre-tavole.pdf per quanto riguarda le importazioni agro alimentari dalla Cina e dai Laogai e “http://www.laogai.it/wp-content/uploads/2011/11/rapporto_artigiani_completo_28_8_2011-3.pdf riguardo le importazioni di materiale e prodotti artigianali. Toni Brandi ha brevemente presentato Harry Wu, la sua vita ed ha spiegato al pubblico presente, circa 600 contadini, artigiani, studenti e cittadini, il sistema concentrazionario dei Laogai. Harry Wu ha portato la sua testimonianza sottolineando il problema etico e l’impatto economico dei Laogai sulla nostra economia. Il Presidente della Provincia Dellai ha chiuso il convegno esprimendo la sua solidarietà. Ha moderato il giornalista Marco Pontoni. In fine serata si è svolta una breve cerimonia nell’Aula Aurora della Regione dove il Consigliere Pino Morandini, membro del Comitato della Presidenza ha consegnato ad Harry Wu il premio della libertà specificamente dedicato a lui, il Solzenytsin Cinese.
www.laogai.it/
www.laogai.it/?p=28257
Tibetan Monk Dawa Tsering getting treatment after Self Immolation
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