Libertà per il Tibet , democrazia per la Cina!

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    OTTAVO CASO DI AUTO IMMOLAZIONE A NGABA

    Dharamsala, 15 ottobre 2011. Un altro caso di auto immolazione ha avuto luogo questa mattina, alle 11.50, ora locale, nella cittadina di Ngaba. Riferisce il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia che Norbu Damdul, diciannove anni, ex monaco del monastero di Kirti, si è dato fuoco nell’area del mercato. Testimoni oculari lo hanno sentito gridare “Libertà per il Tibet” e chiedere il ritorno del Dalai Lama prima di essere avvolto dalle fiamme.
    La polizia locale, che ormai presidia costantemente la zona, ha subito spento le fiamme e lo portato via. Nurbu presentava serie ustioni ma era vivo. Al momento non si sa dove si trovi né si hanno notizie sulle sue condizioni di salute. Il ragazzo, originario di Choejey, nella Contea di Ngaba, aveva lasciato il monastero di Kirti nel 2010. Nel dare la notizia, il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia afferma che a causa dell’intollerabile repressione esercitata dal governo cinese attorno al monastero di Kirti, i tibetani sono così disperati che, quale strumento di protesta, non resta loro altro che l’auto immolazione. Purtroppo si teme che questi episodi possano continuare con frequente crescenza. Questo il racconto di un testimone oculare:
    Stavo camminando lungo la strada principale di Ngaba quando ho sentito che qualcuno, dietro la strada, gridava forte degli slogan. Sono tornato indietro e ho visto un ragazzo in blu jeans e maglietta grigia correre per la strada, il giovane corpo completamente avvolto dalle fiamme. I suoi lunghi capelli erano bruciati e cadevano ciocca a ciocca. Alcuni poliziotti lo stavano rincorrendo e tentavano di buttarlo a terra prendendolo a calci, a botte e colpendolo con l’acqua di un idrante. Ma il ragazzo continuava a correre, ancora abbastanza forte per resistere alle fiamme e all’inseguimento e non cadere. Alla fine, un poliziotto è riuscito a centrarlo alla testa con un forte getto d’acqua.
    Norbu, il nostro coraggioso eroe, è caduto lentamente a terra, avvolto dalle fiamme ma senza smettere di gridare “Vogliamo l’indipendenza”, “Vogliamo il ritorno del Dalai Lama”. I poliziotti lo hanno raggiunto, lo hanno caricato su di una Jeep blu e lo hanno portato via. I tibetani che avevano assistito alla scena gridavano e pregavano, senza poter far nulla. I soldati, accorsi a bordo di due camionette, hanno disperso la folla minacciandola con i fucili.



    Fonti: Tibetan Centre for Human Rights and Democracy – Tibetan UN Advocacy

     
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  2. yeshe
     
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    Tibet : Chinese police open fire on protesters
    Redazione dossiertibet - Lun, 17/10/2011 - 14:13
    Chinese police fired gun-shots at seven Tibetans who protested in front of a police station in Kham Serta yesterday (16th).The protesters shouted slogans of We want Freedom in Tibet and His Holiness the Dalai Lama should return to Tibet etc.Some protestors are reportedly injured in the firing.The protestors who were all arrested later belong to Tsechul Depa area of Serta.The communication networks were blocked and more troops deployed in the Serta area



    Dossier Tibet:
    Thinley Lama, the current volunteer coordinator for welfare activities for Tibetan refugees in Nepal, was arrested along with his predecessor, Thinley Gyatso, from the Tibetan Refugee Welfare Office by a posse of policemen and whisked away to a police station for interrogation.
    Foto di Dagyab Jampa Gyaltsen
    www.facebook.com/photo.php?fbid=285...1&type=1&ref=nf
    Lazimpath, Kathmandu 17 October 2011. At 13:40. Nepal Arm Police Force enter in to Gaden Khangsar( welfare office of Tibetan refugee ). APF took Mr Trinlay Gyatso with his secretary Jampa Dhondup from office to Syambhu Balaju jail for interrogative.
     
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  3. yeshe
     
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    A Tibetan nun dies after self-immolation, Situation in Tibet spiraling out of control
    Phayul[Monday, October 17, 2011 23:35]
    By Sherab Woeser

    Tibet Burning: A campaign poster calling world's attention and support for the sacrifices being made by Tibetans inside Tibet.DHARAMSHALA, October 17: Reports coming out of Tibet confirm the demise of yet another Tibetan, this time a nun, after she torched her body in an apparent protest against China’s continued occupation of Tibet.
    Tenzin Wangmo, around 20 years of age, set herself on fire at around 1 pm local time in the Ngaba region of eastern Tibet today.
    The exile base of Kirti Monastery, citing eyewitnesses, in a release today said that Tenzin Wangmo self immolated on a crossroad near her monastery, the Mamae Dechen Choekhorling Nunnery, about 3 kms away from Ngaba County.
    “Tenzin Wangmo was engulfed in flames as she marched on the streets for nearly 7 to 8 minutes raising slogans calling for the return of His Holiness the Dalai Lama from exile and religious freedom in Tibet,” the release said.
    Tenzin Wangmo died immediately.
    According to the release, nuns from the Mamae nunnery carried Tenzin Wangmo’s body to the nunnery and despite repeated warnings from Chinese security personnel, refuse to give possession of the deceased’s body.
    “The Chinese authorities have given the nuns an ultimatum to either hand over the deceased’s body or bury Tenzin Wangmo’s body by tonight,” the release said.
    The situation around Mamae nunnery, which is the largest nunnery in the Ngaba region with over 350 nuns, is being described as tense.
    This is the ninth incidence in this year alone when a Tibetan has been driven to the extreme sacrifice of burning one’s own body as a last resort of peaceful action against the Chinese government’s repressive policies in Tibet.
    The first 17 days of October has already witnessed five self-immolations in Ngaba region.
    Khaying, Choephel, and Tenzin Wangmo succumbed to their injuries while Kesang Wangchuk is being described in critical condition. There is no information as yet on the whereabouts of Norbu Damdul who was last seen being taken away by Chinese security personnel on October 15.
    The Central Tibetan Administration in a release earlier today said that His Holiness the Dalai Lama will be presiding over the “grand prayer service to mourn the tragic self-immolations in Tibet” scheduled for October 19 in Dharamshala, north India.


    http://www.dossiertibet.it/news/tibet-tibe...immolates-ngaba

     
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    Oggi per la prima volta uno squarcio nell'uniforme silenzio assordante generale dei grandi media: su Televideo Rai la notizia della morte della monaca ventenne, la nona ufficialmente immolata con il fuoco.

    Qui di seguito una e-mail di Claudio Cardelli , un articolo di Carlo Di Stanislao, le ultime news di poche ore fa, una poesia e, fotogrammi/drammi......................

    Vorrei segnalare che abbiamo creato un gruppo su FB “Torce Umane in Tibet” che ha già raggiunto circa 2500 membri. Il gruppo è estremamente vivace e le notizie e i commenti, suggerimenti ecc sono continui. Cerchiamo in questo modo di compensare il vergognoso silenzio della stampa italiana su quanto sta accadendo in Tibet. Silenzio che coincide con notizie come queste “La Cina avrebbe fatto al vertice del G20 di Parigi un’offerta “segreta” per salvare l’ euro in cambio di riforme nei bilanci e tagli al settore pubblico nei paesi europei. Lo riporta il “Times” nella sua edizione domenicale. Secondo delle indiscrezioni raccolte dal quotidiano britannico la delegazione cinese avrebbe indicato che Pechino è pronto ad iniettare decine di miliardi nella zona euro attraverso degli investimenti nelle infrastrutture dei paesi flagellati dalla crisi del debito. Le banche cinesi potrebbero inoltre incrementare i loro acquisti di titoli di stato europei. A detta delle fonti citate dal “Times”, oltre a chiedere delle importanti riforme, la Cina vorrebbe però anche essere sicura che l’Europa conosca le dimensioni del “buco” e che questo non diventi più grande prima che accetti di riempirlo” E’ chiaro che con questi movimenti sperare di avere dai governi aiuti per il Tibet è pura illusione. La situazione è veramente gravissima e con margini di speranza legati solo ad una crisi interna cinese. Cosa non del tutto fantasiosa. Intanto poche ore fa la nona persona in pochi mesi si è data fuoco in Tibet per protestare contro il regime cinese. Una ragazza di vent’anni. Contemporaneamente due tibetani sono stati uccisi a fucilate mentre manifestavano per la libertà del loro paese. Queste forme estreme di protesta così ripetute in breve tempo, immolarsi col fuoco, hanno pochi precedenti nella lotta dei tibetani per la loro indipendenza ( il primo fu Thupten Ngodup nel 1998 a Delhi durante lo sciopero della fame fatto smettere con la pressione del G. Tib in esilio) potrebbero essere l’anticamera di gesti ancora più estremi. Rilevo solo che, a mio parere, se si è arrivati a questo punto, e non è finita, è solo per la vergognosa indifferenza del mondo al genocidio del popolo tibetano. Indifferenza che continua, visto il silenzio assordante della stampa italiana salvo rarissime eccezioni. Mi chiedo se dovesse bruciarsi un monaco davanti alla Casa Bianca o sotto la Torre Eiffel si scomoderanno a farci sapere soprattutto il perchè di queste auto immolazioni?? Oppure si aspetterà cinicamente che qualche tibetano decida di “passare dall’altra parte” e usare la violenza non più verso se stesso ma in un centro commerciale di Lhasa o sul meraviglioso “treno del cielo” che ogni giorno vomita migliaia di coloni han in Tibet? Per poi dire che si tratta di gente fanatizzata che attenta all’integrità della madre patria..ecc.ecc..ecc…Credo che questa serie di roghi su loro stessi sia l’ultimo estremo e disperato atto della lotta non violenta del Popolo Tibetano. Lotta tanto lodata, magnificata quanto, nei fatti, ignorata e sfruttata per continuare, da parte di Pechino, a fare i propri porci comodi sul territorio tibetano. E’ triste e frustrante prendere atto che nel mondo solo la violenza e il danaro hanno la capacità di farsi intendere. Claudio Cardelli

    La solerte risposta cinese:

    www.phayul.com/news/article.aspx?id...iotic+education

    i parlamentari tibetani in esilio:

    www.phayul.com/news/article.aspx?id...on+24-hour+fast

    il Dalai Lama e il Karmapa:

    www.phayul.com/news/article.aspx?id...lating+Tibetans

    Sentiamo, talvolta, il bisogno
    di essere un punto nel cosmo
    che ascolta, in silenzio,
    le vere parole,
    soffiate dal vento,
    che penetra dentro la carne
    e ubriaca la mente,
    là in alto, sul Tibet.
    E li, comprendiamo
    che ciò che cerchiamo
    è dentro di noi
    Sentiamo, talvolta, il bisogno
    di essere un punto nel cosmo
    che ascolta, in silenzio,
    le vere parole,
    soffiate dal vento,
    che penetra dentro la carne
    e ubriaca la mente,
    là in alto, sul Tibet.
    E li, comprendiamo
    che ciò che cerchiamo
    è dentro di noi”
    Pippo Di Noto, Tibet

    Nove monaci tibetani, di cui cinque nell’ultimo mese, si sono immolati appiccandosi il fuoco, per protestare contro l’occupazione cinese del Tibet e chiedendone l’indipendenza e il ritorno del Dalai Lama. L’ultimo di tali sacrifici, ieri, con protagonista una suora di 20 anni, Tenzin Wangmo, che si è data fuoco fuori da un convento nella nella prefettura di Aba, zona a prevalenza tibetana nella provincia sudoccidentale del Sichuan, centro nevralgico della protesta contro il governo centrale di Pechino. La donna, avvolta dalle fiamme, ha camminato per strada per circa otto minuti, cantando e urlando slogan anticinesi e in favore del Tibet libero. La sua morte giunge a sette mesi di distanza dal gesto simile compiuto dal monaco tibetano Phuntsog, di 21 anni, che si diede fuoco fuori dal monastero Kirti. In seguito a quell’episodio, le forze di sicurezza hanno tenuto in detenzione circa 300 monaci per un mese. I gesti di auto-immolazione e le proteste danno l’idea di come stia montando la rabbia contro il governo centrale di Pechino. I gruppi per i diritti umani sostengono che la rivolta possa portare ad una repressione ad Aba, dove la violenza è scoppiata nel marzo del 2008 quando monaci buddisti e altri tibetani fedeli al Dalai Lama, loro leader religioso esiliato, si sono scontrati con la polizia e con l’esercito. Sabato scorso, nel giorno degli “indignati”, oltre 200 persone hanno sfilato nel centro di Tokyo, esponendo striscioni con la scritta “Mai più nucleare” e “Tibet libero”. Per secoli il Tibet è stato un paese unito, libero e indipendente, come attestato da ben tre risoluzioni approvate dalle Nazioni Unite nel 1959, 1961 e 1965, sfortunatamente rimaste lettera morta. E’ un paese incomparabile, ricco di una tradizione di saggezza millenaria meravigliosamente incarnata dal XIX Dalai Lama, la cui lotta non-violenta, che è anche quella di tutto un popolo, è stata premiata nel 1989 con il Premio Nobel per la pace. Nel 950, l’esercito cinese invade il Tibet e rapidamente se lo annette.
    Nel 1959 il Dalai Lama, prima autorità del paese, è costretto all’esilio. Non potendo far accettare alla popolazione il ritorno forzato alla “madre patria”, le forze d’occupazione hanno commesso numerosi e orribili atti di barbarie. Gli ultimi anni sono stati segnati da continue offese al popolo tibetano e alla sua cultura. Si stima che circa 2 milioni di tibetani siano morti tra il 1950 e il 1980, in conseguenza dell’occupazione cinese. Nel corso della famigerata “rivoluzione culturale” (1966-1976), seimila templi, cioè la quasi totalità dei luoghi di culto e una miriade di tesori artistici sono stati distrutti. Il punto di svolta nella storia del Tibet fu nel 1949, quando l’ esercito di liberazione popolare della Cina per la prima volta entrò in Tibet.Dopo aver sconfitto il piccolo esercito tibetano, il governo Cinese nel 1951, impose al governo tibetano il cosiddetto accordo per la liberazione pacifica del Tibet. Essendo stato firmato sotto costrizione, l’accordo, in base al diritto internazionale, non era valido. La presenza di 40.000 soldati nel Tibet, la minaccia della occupazione immediata di Lhasa e la prospettiva della cancellazione totale dello Stato tibetano, non lasciavano molte scelte ai tibetani. In conseguenza di una aperta resistenza Tibetana all’ occupazione cinese ci fu un aumento della repressione cinese, comprendente la distruzione di edifici religiosi e l’arresto di monaci e di altri leaders di comunità. Nel 1959 i moti popolari culminarono in dimostrazioni di massa a Lhasa.La Cina rispose uccidendo 87.000 tibetani. Nel 1963 il Dalai Lama ha promulgato una Costituzione per un Tibet Democratico, che è stata applicata con successo, per quanto possibile, dal Governo in esilio. Nel Tibet la persecuzione religiosa, le gravi violazioni dei diritti umani, la distruzione sistematica degli edifici religiosi e storici da parte delle autorità occupanti non sono riuscite a soffocare la volontà del popolo tibetano di resistere alla distruzione della propria identità nazionale. Nel corso dei suoi 2000 anni di storia il Tibet ha subìto qualche influenza straniera solo per brevi periodi: pochi paesi oggi indipendenti possono vantare un primato così importante. Molti paesi nel corso dei dibattiti all’O.N.U. hanno fatto dichiarazioni di riconoscimento dello status indipendente del Tibet. Dal punto di vista giuridico a tutta’ oggi il Tibet non ha perso il suo essere Stato. Si tratta di un paese indipendente sotto una occupazione illegale. Il Governo cinese non ha mai sostenuto di aver acquisito la sovranità sul Tibet in base ad una conquista. La Cina infatti riconosce che l’uso della minaccia della forza, l’imposizione di un trattato iniquo o la persistente occupazione illegale di un paese, non possono mai garantire ad un invasore il titolo legale sul territorio. Le sue pretese si basano soltanto su una supposta sottomissione del Tibet ad alcuni dei più potenti governanti stranieri della Cina nel 13^ e 18^ secolo. Inoltre il Tibet è oggetto di una progressiva distruzione ecologica, con una politica di sfruttamento del territorio che ha portato lo sconvolgimento di vaste aree del Paese delle Nevi, distruggendo il suo patrimonio naturale. Secondo una teoria cara a pensatori come Emanuele Severino ed Umberto Galimberti viviamo nel tempo del Predominio della Tecnica. La Tecnica da mezzo si sta trasformando in fine, assoggettando alla propria volontà di potenza tutto l’agire umano. Sempre secondo questa linea di pensiero, il crollo del regime sovietico è stato generato in primo luogo dal collasso del suo Potere Tecnico, completamente sbaragliato da quello degli Stati Uniti. E’ per questo che dobbiamo capire che la posta in gioco in Tibet va oltre la libertà dei tibetani e riguarda direttamente tutti noi ed il nostro futuro. Tornando alla cronaca, domenica, sempre nel Sichuan, la polizia cinese ha aperto il fuoco e ferito due tibetani domenica scorsa durante una manifestazione di protesta, ferendo due persone, sulla cui sorte non si sa nulla. Il Sichuan, che significa “Terra dell’abbondanza, è una delle più grandi province cinesi, avendo una superficie di circa 485,000 km2. La sua popolazione ammonta a 85,000,000 di abitanti e vi sono più di 50 le minoranze etniche riscontrate. I gruppi più numerosi sono, oltre ai Cinesi Han, i Tibetani, gli Yi, i Qiang, gli Hui ed i Miao. Il capoluogo è Chendu, con una storia di almeno 2000 anni nella zona di sud-est della provincia, circondata da monti, con una antichissima scuola di Medicina Tradizionale, che ha tributato allo scrivente, nell’ormai lontano 1993, un diploma di Professoe Onorario in Medicina Cinese. La parte occidentale della provincia è montagnosa, con vette che raggiungono i 7590 m come il monte Gongga e abitata da tibetani dediti alla pastorizia e aII’allevamento. Su una delle ultime propaggini delle montagne tibetane si erge il grande santuario buddhista del Monte Emei (3099 m) con 75 templi sparsi sulla montagna abitati un tempo da monaci e meta di uno dei pellegrinaggi più popolari della Cina. Come ricordava in un articolo intitolato “La rivolta dimenticata” il Riformista il 21 aprile scorso, l’intera contea di Ngaba, oggi parte della regione dello Sichuan ieri della provincia tibetana dell’Amdo, dove si trova Kirti Gonpa è teatro di numerose manifestazioni dopo che lo scorso 16 marzo un giovane monaco di nome Puntsok si è dato fuoco per protesta contro l’occupazione cinese del Tibet per morire il giorno seguente. Da allora la Polizia Armata di Pechino ha represso duramente tutti coloro, laici e religiosi, scesi nelle strade per chiedere libertà religiosa e di espressione. Il 12 aprile alcune migliaia di persone hanno frapposto una vera e propria barriera umana nel tentativo di impedire che i poliziotti entrassero nel monastero per arrestare i religiosi sospettati di “attività controrivoluzionarie” e deportare tutti quelli compresi tra i 18 e i 40 anni. Il monastero di Kirti è praticamente sotto assedio da quando il 16 marzo di quest’anno il monaco Lobsang Phuntsok morì dopo essersi bruciato vivo per protesta. Questa terribile sequenza di suicidi e repressioni sembra allontanare sempre di più l’ipotesi di un autentico colloquio tra il Dalai Lama e Pechino. Nei giorni scorsi lo stesso leader tibetano, parlando della sua futura incarnazione, ha usato toni particolarmente duri riguardo il tentativo delle autorità cinesi di dettare legge in una materia che dovrebbe essere di sua esclusiva competenza. “Oggi gli autoritari governanti della Repubblica Popolare Cinese, che in quanto comunisti dovrebbero rifiutare i dogmi religiosi, vogliono imporre le loro scelte nell’ambito della sfera religiosa”. Carlo Di Stanislao

    un bambino khampa:
    2236586842_9a3bee6d47

    un monastero Ragchab Gonpa (Monastery), Eastern Tibet):
    rabchab%20mona-1

    fotogrammi estremamente crudi non consigliata la visione ai deboli ...... ( Please be advised of the nature of these pictures and use your discretion when clicking on the link below):

    www.freetibet.org/node/487

    Edited by yeshe - 19/10/2011, 10:03
     
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  6. yeshe
     
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    https://secure.wikimedia.org/wikipedia/en/wiki/Kirti_Gompa

    http://partecinesepartenopeo.wordpress.com...che-una-monaca/

    www.bbc.co.uk/news/world-asia-pacific-15347106

    www.ansa.it/web/notizie/collection/..._670629676.html

    [adimandala

    phoca_thumb_l_KarLingShiTro

    Edited by yeshe - 19/10/2011, 20:00
     
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  7. Theiwaz
     
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    Grazie Yeshe.
     
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  8. yeshe
     
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    Piero Verni
    (da Il Riformista, del 19 ottobre 2011):
    Se le torce umane del Tibet incendiano la prateria cinese:
    In un crescendo impressionante di avvenimenti tragici, due giovani tibetani sono stati ieri abbattuti a raffiche di mitra da agenti della Polizia Cinese mentre dimostravano pacificamente per la liberazione del Tibet. L’episodio è avvenuto nel villaggio di Karze, una prefettura autonoma tibetana dello Sichuan, importante provincia della Cina Popolare. Poco ore prima della sparatoria Tenzin Wangmo, una monaca ventenne del monastero Dechen Choekhorling della contea di Nnegaba, sempre nello Sichuan, si era data fuoco dopo aver gridato per alcuni minuti slogan in favore della libertà del Tibet. Con la sua morte sono quindi ben nove le persone che quest’anno si sono immolate con il fuoco per protestare contro l’occupazione del Tibet. Cinque solo in queste prime settimane di ottobre. Di estrema prudenza è la posizione dell’Amministrazione Tibetana in Esilio che ha chiesto soprattutto l’intervento della diplomazia internazionale e celebrato ieri una giornata di preghiera. Più radicali sono invece le reazioni della società civile dell’esilio tibetano. Uno dei principali intellettuali della diaspora, lo scrittore Jamyang Norbu, si chiede, tra l’altro, se non sia il caso che la direzione della lotta di liberazione passi nelle mani della resistenza interna visto che l’ex Governo tibetano in esilio è stato dichiarato sciolto nei mesi scorsi dallo stesso Dalai Lama. Claudio Cardelli, Presidente dell’Associazione Italia-Tibet che ha lanciato in questi giorni una riuscita campagna su Facebook dal nome “Torce Umane in Tibet”, lamenta l’assordante silenzio dei media: “Cerchiamo con questa iniziativa, che ha già raggiunto oltre 2500 adesioni e non solo in Italia, di compensare il vergognoso silenzio della stampa italiana su quanto sta accadendo in Tibet”.
    In effetti il silenzio, o almeno il quasi silenzio, non è prerogativa unica della stampa italiana. Nove immolazioni con il fuoco meriterebbero sicuramente un’eco molto più vasta di quanto non stia accadendo. Anche perché non è ben chiaro quello che questi avvenimenti potrebbero innescare. Non a caso nel suo lucido intervento, Jamyang Norbu ricorda come le rivoluzioni arabe degli scorsi mesi partirono dalla morte di Mohamed Bouazizi, che il 4 gennaio scorso si diede fuoco a Tunisi per protestare contro il regime tunisino innescando quel profondo sconvolgimento che ancora sta scuotendo il mondo arabo. Sconvolgimento che fin dall’inizio ha enormemente preoccupato la dirigenza cinese che è arrivata al punto di proibire per settimane l’uso del termine “gelsomino”, parola simbolo della rivolta, sulla stampa e su Internet. Infatti quella Cina che offre a un’Europa in profonda crisi economica e identitaria l’acquisto di buona parte del suo debito pubblico, non è la nazione forte e sicura immaginata da molti centri di potere politico ed economico. Oltre alla crisi tibetana, ci sono i mai risolti casi degli uiguri e dei mongoli. Così come all’interno della stessa popolazione han, Pechino deve affrontare i problemi causati dalle minoranze religiose che non si piegano alla sua repressione. Per non parlare dello stillicido di migliaia di piccole “rivolte del pane”, espressione rabbiosa della disperazione di milioni e milioni di individui costretti a vivere in condizioni di autentica indigenza. Infine, quello che è forse lo scenario più inquietante e che da tempo aleggia nel cielo sopra Pechino: lo spettro dello scoppio di una immensa bolla immobiliare. Deflagrazione che potrebbe avere effetti devastanti.
    Ecco perché la dirigenza cinese è così preoccupata dalle terribili fiamme che sempre più numerose illuminano gli sconfinati orizzonti del Tetto del Mondo. Però l’algida chiusura ad ogni ipotesi di mutamento sembra non essere la via migliore da seguire. Per non cambiare niente, i signori di Zhongnanhai rischiano di far crollare tutto, incapaci di vedere quella scintilla che secondo Mao era in grado di incendiare l’intera prateria.


    www.phayul.com/news/article.aspx?id...l+rods%e2%80%99

    www.phayul.com/news/article.aspx?id...arity+campaigns

    www.thetibetpost.com/en/news/intern...tibetan-culture

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    His Holiness Joins in Prayer...............

    His Holiness the Dalai Lama joins in prayers in sympathy for those who have died and others who have been injured in recent protests in Tibet at the Main Tibetan temple in Dharamsala, India, on October 19, 2011.

    http://dalailama.com/gallery/album/0/198

    www.phayul.com/news/article.aspx?id...ers+and+protest

    www.tibet.net/en/index.php?id=2611....1#TabbedPanels1

    http://partecinesepartenopeo.wordpress.com...ni-di-tibetani/

    http://www.thetibetpost.com/en/news/intern...inese-consulate

    http://www.thetibetpost.com/en/news/intern...betans-in-tibet

    www.guardian.co.uk/world/2011/oct/1...ism?INTCMP=SRCH

    www.guardian.co.uk/commentisfree/be...ion?INTCMP=SRCH

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    Tibet : Troops Pour Into Lhasa
    Dossier TIBET - Redazione - Ven, 21/10/2011 - 07:32

    Chinese security forces in large numbers have moved into Tibet’s regional capital Lhasa in an apparent bid to discourage local protests against rule by Beijing, according to sources in Tibet.Thousands of troops appeared in Lhasa city on the evening of Oct.18 and by the next day, Lhasa was filled with security forces.Some think the self-immolation protests in Amdo Ngaba could be the reason for this increase in security.The troops are now stationed at major intersections, on main streets, around the Jokhang temple, and at the Potala Palace—the former residence of Tibet’s exiled spiritual leader the Dalai Lama.Troops were stationed at the outskirts of Lhasa, too.
    One group of security forces, dressed in light khaki, is stationed around the Jokhang and on main streets around the Potala Palace. Another group goes around in groups of two to four black vans to every corner of Lhasa.
    Groups of 10 soldiers, standing in back-to-back formation, are posted at every intersection with their fingers on their triggers, ready to shoot.
    Chinese security forces are now thoroughly searching Tibetans coming from Tibet’s eastern Kham and Amdo regions, along with monks and nuns and anyone wearing eastern regional dress or hairstyles.
    They are questioned about their current place of residence, native place, and reasons for being in Lhasa, and so on.
    The soldiers also search cell phones, looking for photographs of the Dalai Lama or another senior religious figure, the Karmapa. They also search for Tibetan songs, or anything else considered politically sensitive, the caller said.
    For the slightest reason, they detain the Tibetans they search and take them to the detention center at Tagtse, outside Lhasa. Those who are further suspected are moved to the main detention center in Lhasa.

    Dharamsala, 20 ottobre 2011. “Un massiccio numero di soldati in tuta mimetica ed equipaggiati con fucili automatici, spranghe di ferro ed estintori presidiano massicciamente la città di Ngaba affiancati da automezzi della polizia che bloccano le strade”. Questo il racconto di due giornalisti dell’Agenzia France Press, i primi occidentali ad essere entrati nella cittadina da quando sono iniziati i dolorosi episodi di auto immolazione.
    Robert Saiget, uno dei due giornalisti di AFP, riferisce che i negozi e i ristoranti sono aperti e che la gente si dedica alle consuete attività quotidiane ma la polizia controlla tutti i veicoli che entrano ed escono dalla città. Ai due reporter non è stato consentito l’ingresso al monastero di Kirti ma hanno visto un gran numero di poliziotti stazionare di fronte all’istituto monastico. Saiget ha inoltre scritto di essere stato fermato, assieme al suo collega, dalla polizia cinese che ha confiscato loro una macchina fotografica e ha cancellato alcune immagini che testimoniavano la massiccia presenza dei militari per le strade di Ngaba. “Potete fotografare il panorama ma non questa strada” – ha detto loro un poliziotto - . Al momento di rilasciarli ha così proseguito: “Siete liberi di andarvene, non fermatevi finché non avete lasciato la Contea”.
    Un comunicato stampa rilasciato dall’omonimo monastero di Dharamsala informa dell’arresto, per ragioni non ancora precisate, di due monaci del monastero di Kirti. Puntsok, 28 anni, è stato arrestato la notte del 17 ottobre dopo essere stato percosso. Il 15 ottobre è stato arrestato Jigme Choepel, originario del villaggio di Soruma. Non si conosce dove sono detenuti e quali sono le loro condizioni. Nel comunicato si legge inoltre che ai monaci è proibito pregare e officiare cerimonie funebri a ricordo di quanti sono morti in conseguenza del compimento di “proteste antigovernative”. Una disposizione emanata dalle autorità cinesi sancisce, in questi casi, la responsabilità delle famiglie e dei leader locali.
    In data odierna, un portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Jiang Yu, ha negato l’esistenza di un “problema tibetano” e ha affermato che saranno presi “pesanti provvedimenti” per garantire la stabilità della regione e la sicurezza delle persone, delle loro proprietà e dell’ordine sociale.
    Fonte: Phayul




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    http://org2.democracyinaction.org/o/5380/p...action_KEY=8266


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    Edited by yeshe - 21/10/2011, 10:23
     
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  12. yeshe
     
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    .........è proprio vero che la moneta non ha odore, neanche quello della morte:

    http://partecinesepartenopeo.wordpress.com...duzione-export/

    http://partecinesepartenopeo.wordpress.com...r-salvare-euro/

    http://italian.cri.cn/761/2011/10/21/121s153247.htm

    http://it.peacereporter.net/articolo/30886...+della+crescita

    http://it.peacereporter.net/articolo/31013...ista+da+Pechino

    http://it.peacereporter.net/articolo/30970...g+c%27%E8+crisi

    www.asianews.it/notizie-it/É-morta-...rire-22970.html

    Tibet. Autoimmolazione contro propaganda
    Andrea Pira, Simone Pieranni | 21-10-2011 - 10:23:49
    La lotta tibetana contro l'occupazione cinese ha un nuovo epicentro, la contea di Ngaba, e segue un'ultima disperata strategia: l'auto immolazione. Tenzin Wagmo, monaca buddista di 20 anni, sì è data fuoco lunedì durante una protesta per chiedere libertà per il Tibet e il ritorno del Dalai Lama riparato in India nel 1959. È il nono episodio di questo tipo in otto mesi. E intanto l'Ufficio di propaganda continua a lavorare sulla stampa cinese.
    Il governo cinese ha fondato la sua strategia di propaganda sul Tibet sull’assunto di avere portato lavoro e ricchezza nella regione e di favorirne l'integrazione con il resto del Paese. Di contro gli attivisti per i diritti umani e gli esuli denunciano la continua sopraffazione della cultura e il pugno di ferro contro gli oppositori.
    Ma tra auto immolazioni e disordini, il Tibet è tornato di prepotenza a disturbare “l'armonia” sociale cinese. L'ultimo caso – una monaca tibetana che si è auto immolata nei giorni scorsi - ha riportato le istanze tibetani sui media di tutto il mondo. In Cina i media locali sono impegnati a maneggiare la questione con estrema cautela, riportando spesso le parole di Pechino sulla “cricca del Dalai Lama”.
    La religiosa si è data fuoco nei pressi del suo monastero, il Mamae Dechen Choekhorling Nunnery, a circa tre chilometri dalla città di Ngaba un enclave nella provincia sud occidentale del Sichuan, parte assieme al Qinghai e al Tibet propriamente detto di quello che è considerata la culla della cultura tibetana. Avvolta dalle fiamme la ragazza ha camminato per strada una decina di minuti cantando e urlando slogan anticinesi. Il suo corpo, nonostante il divieto degli agenti, è stato portato nel monastero, dove è stato vegliato dalle oltre 350 consorelle.
    Il giorno prima a immolarsi era stato un monaco diciannovenne, Norbu Dramdul, proveniente dal monastero di Kirti, teatro a marzo di una serie di proteste sull'onda della sollevazione pre-olimpica del 2008 contro l'autorità di Pechino, e da allora sotto stretto controllo delle forze di sicurezza. Sempre nel Sichuan, davanti a un commissariato di polizia, gli agenti hanno aperto il fuoco su una manifestazioni per chiedere maggiore libertà. Negli scontri sono rimasti feriti due giovani.
    Per Pechino tali gesti di disperazione sono stati occasione per attaccare il Dalai Lama e quella che considera “la sua cricca”, ossia il governo tibetano in esilio a Dharamsala, accusati di non fare niente per impedire una pratica in contraddizione con gli insegnamenti buddisti.
    Un'operazione di polizia avrebbe rinvenuto vari depositi di armi. Tutto questo a conferma delle intenzioni bellicose dei tibetani. La macchina propagandistica cinese si stia muovendo per ovviare al rischio di nuove rivolte in Tibet: da una parte i monaci e le popolazioni tibetane di regioni cinesi come il Sichuan, dall'altra Pechino tesa a denunciare la cricca del Dalai Lama e la “violenza” dei tibetani contro il potere centrale cinese.
    Il South China Morning Post ha riportato la notizia direttamente da Xinhua, l'agenzia ufficiale cinese, secondo la quale sarebbero stati arrestati diciassette presunti trafficanti di armi, “in una situazione in cui si registra un innalzamento della sicurezza in tutto il sud a seguito di una serie di nove auto-immolazioni in segno di protesta contro il regime repressivo di Pechino. Il rapporto non ha fornito dettagli sulle tempistiche degli arresti o la nazionalità degli arrestati. Inoltre non sono stati identificati gli acquirenti o le persone cui le armi erano destinate”.
    Due persone sono stati catturati nei pressi del confine con la Birmania, mentre gli altri indagati sarebbero stati arrestati a Lhasa e all'interno delle prefetture autonome tibetane a Ganzi, nel Sichuan, e Diqing nello Yunnan. “La polizia – secondo quanto riportato dalla Xinhua - ha detto che i sospetti hanno confessato di aver iniziato il traffico di armi dalla Birmania nel 2009”. Avrebbero rivenduto poi l'arsenale a persone che abitano nelle regioni tibetane del Sichuan e dello Yunnan. “L'arsenale”, di cui Xinhua ha scritto con grande enfasi, si limiterebbe a otto pistole, un fucile e 267 proiettili.
    Secondo la Xinhua, “la polizia avrebbe registrato questo traffico di armi da molto tempo, con persone in grado di approfittare dei conflitti interni in Birmania, per tirare fuori armi e rivenderle”. L'indagine era iniziata infatti nel 2009, quando venne scoperto un giro di armi di contrabbando, con il conseguente arresto di 11 persone.
    Questo giro di vite pechinese ha finito per aumentare la generale situazione di sicurezza nelle zone abitate dai tibetani, finendo per aumentare gli episodi di “resistenza”. “Questi atti – aveva specificato nei giorni scorsi un portavoce dei monaci tibetani - sono causati dalle restrizioni sui monasteri in queste particolari località e sono causati dalla maggiore presenza della polizia in quelle aree. I monaci non possono muoversi liberamente e il desiderio generale che il governo cinese rispetti i diritti umani fondamentali del popolo tibetano ha portato la gente a darsi fuoco. Un tema costante è l'augurio al ritorno del Dalai Lama”
    I funzionari di polizia e del governo del Sichuan hanno detto di non essere al corrente degli ultimi incidenti, mentre a Pechino, un portavoce del ministero degli esteri ha riferito in conferenza stampa di essere ancora in cerca di informazioni sulle più recenti auto-immolazioni. Liu Weimin, ha dichiarato: “crediamo che l'incoraggiamento di tale comportamento a costo della vita umana sia immorale”.
    Non a caso nei giorni scorsi la Xinhua aveva offerto al suo pubblico l'intervista ad un vecchio monaco tibetano del Sichuan che aveva definito l'auto-immolazione come una forma di “estremismo che degrada il Buddismo”, aggiungendo che aveva provocato “sconcerto pubblico e repulsione”.

    Modello Cina
    Suisheng Zhao* | 05-10-2011 - 09:30:47

    In libreria il Il modello Cina, volume a cura di M. Miranda e A. Spalletta (L'Asino d'oro edizioni, € 18). China Files ne pubblica un estratto (pp. 22-29, per gentile concessione della casa editrice L'asino d'oro). Il saggio di Zhao, docente del Center for China-US Cooperation e redattore del Journal of Contemporany China, esamina la forza del "modello Cina" e la sua sostenibilità che sta a tutti indovinare quanto possa durare. Buona lettura!

    L'ATTRATTIVA DEL MODELLO CINA (1)
    Riuscendo a mantenere la stabilità sociale e la crescita economica senza compromettere la legittimità del partito unico, il ‘modello Cina’ è diventato un simbolo dell’orgoglio nazionale per alcuni intellettuali e funzionari pubblici cinesi. Piace anche ai leader di molti paesi in via di sviluppo alla ricerca di una ricetta per accelerare la crescita economica e assicurare una maggiore stabilità sociale; essi ritengono che il ‘modello Cina’ sia migliore delle prescrizioni liberali basate su libero mercato e libere elezioni.
    La maggiore attrattiva del ‘modello Cina’ risiede nella sua capacità di elaborare velocemente decisioni complesse e difficili, e tradurle in modo efficace in azione senza subire i contraccolpi della democrazia. Questo è evidente principalmente nei grandi investimenti e nei progetti infrastrutturali. Com’è stato riferito da un giornalista, «quando c’è la necessità di generare elettricità e convogliare acqua da una regione all’altra, la Cina è in grado di portare a compimento la Diga delle Tre gole o il Progetto nord-sud per la Deviazione delle acque, in entrambi i casi gigantesche imprese che richiedono colossali sacrifici umani impensabili in Occidente». Grazie a una ferrea volontà politica, il governo cinese è stato in grado di dislocare più di un milione di persone dalla piana alluvionale della Diga delle Tre gole, incontrando pochissima resistenza.
    ENORMI RISORSE
    L’abilità dello Stato cinese è sostenuta anche dalle enormi risorse politiche ed economiche a disposizione. Oltre a poter contare sulla leva fiscale, il governo cinese controlla un gran numero di aziende statali e incassa da esse un costante flusso di utili. Possiede anche l’intera superficie territoriale nazionale. Se il governo ha bisogno di soldi, può semplicemente vendere la terra. Il governo cinese si è rivelato quindi molto più efficace degli omologhi occidentali nel dispiegamento delle sue enormi risorse pubbliche per contrastare la recessione globale.
    Dopo il crollo della Lehman Brothers nel settembre 2008, il Politburo del Pcc convocò una riunione, ai primi di ottobre, per discutere in che modo combattere la crisi finanziaria e il 9 novembre 2008 il Consiglio degli Affari di Stato annunciò un pacchetto di stimoli pari a 4.000 miliardi di yuan (586 miliardi di dollari Usa). Da quel momento in poi, le banche statali hanno alluvionato l’economia con un fiume di liquidità. Questo enorme pacchetto di incentivi fiscali e l’espansione creditizia delle banche pubbliche ha traghettato velocemente l’economia cinese fuori dalla crisi. Negli Stati Uniti, invece, il passaggio di consegne dal presidente George W. Bush al presidente Barack Obama, e il periodo di stallo politico nel Congresso che ne è derivato hanno comportato un ritardo nell’adozione del pacchetto di incentivi che il governo americano ha potuto varare sono nel mese di febbraio 2009, pochissimo tempo dopo che il presidente Obama assumesse il suo incarico ma troppo tardi per porre un freno alla recessione economica.
    In questo caso, mentre il sistema istituzionale di ‘controlli e contrappesi’ (che caratterizza i rapporti fra i vari poteri dello Stato negli ordinamenti democratici) ha garantito le libertà individuali e la nascita di un settore privato dinamico, e il processo democratico negli Stati Uniti si fonda su una legittimità che indubbiamente manca al sistema cinese, la polarizzazione politica e la rigidità ideologica rende tuttavia difficile agli Stati Uniti gestire problematiche fiscali a lungo termine.
    NESSUNA VERIFICA
    Al contrario degli omologhi occidentali, la leadership cinese non è costretta a subire le critiche dell’opposizione – un elemento di ‘disturbo’ – né a sottoporsi a verifiche elettorali a intervalli regolari. I contestatori sono messi a tacere buttandoli in prigione. Persino i dissensi espressi attraverso il web vengono censurati e bloccati. In altre parole, la Cina può vantare l’economia con la crescita più rapida del mondo senza la scia di un visibile malcontento sociale e politico che spesso segue i processi di democratizzazione. Gli aspetti ‘illiberali’ del ‘modello Cina’, incluso il controllo selettivo operato sull’economia dallo Stato, hanno di fatto reso la Cina meno vulnerabile agli shock esterni rispetto a molti paesi occidentali, per esempio levando un efficace scudo a protezione del sistema finanziario cinese contro i problemi che hanno portato il caos nelle economie occidentali con il perdurare del tracollo finanziario.
    È interessante notare come nel corso della conferenza stampa a margine dell’Assemblea nazionale del popolo del 2009, il premier cinese Wen Jiabao avesse puntato il dito contro le ‘inadeguate politiche macroeconomiche’ dei paesi occidentali e il loro ‘insostenibile modello di sviluppo’ adducendoli come responsabili della crisi finanziaria. Per molti anni i cinesi hanno dovuto subire sermoni paternalistici dai leader occidentali sulla superiorità del capitalismo liberale. Oggi sono cambiate le carte in tavola e sono i leader cinesi a vantarsi della forza istituzionale del proprio sistema di autorizzazione che è emersa durante la crisi finanziaria, laddove la democrazia liberale, nella misura in cui i governi si sono divisi al loro interno e non sono in grado di governare, non rappresenta più un grande modello da emulare.
    CARISMA
    Il ‘modello Cina’ è diventato una maggiore fonte di attrattiva rispetto alla democrazia liberale per i numerosi leader politici dei paesi in via di sviluppo, che affrontano l’arduo compito di sradicare la povertà – alla radice di molti conflitti e di diverse forme di estremismo. Solo tre decenni fa la Cina era povera come i più poveri tra i paesi del Terzo Mondo. Ma mentre gran parte di quest’ultimi vive ancora oggi in condizioni di povertà, l’economia cinese è invece cresciuta rapidamente. Essendo la povertà il maggior problema a cui devono far fronte i paesi in via di sviluppo, la Cina sembra poter offrire loro un nuovo modello per combattere la povertà e garantire una buona governance, anche se se si pone in opposizione alla pratica convenzionale proposta dai paesi occidentali e dalle istituzioni finanziarie internazionali.
    È un dato di fatto che l’immagine del modello occidentale sia stata danneggiata dagli insuccessi degli Stati Uniti degli ultimi anni in politica interna e internazionale. Sul fronte economico, mentre gli Stati Uniti sono così profondamente indebitati con la Cina da rendere incerta la propria solvibilità, il crollo finanziario, che ha comportato l’aumento dei deficit di bilancio e messo in risalto l’insufficienza normativa del sistema finanziario, ha anche sollevato ulteriori, importanti interrogativi su alcuni aspetti essenziali dell’approccio liberale allo sviluppo.
    Sul fronte della diplomazia, la politica promossa dagli Stati Uniti nel corso del primo decennio del XXI secolo è stata caratterizzata da interventismo militare e unilateralismo, generando un forte sentimento anti-americano nei paesi in via di sviluppo. L’uso della forza messa in campo dagli Stati Uniti per diffondere la democrazia, di cui la guerra in Iraq è l’emblema, è spesso stata scoraggiante e devastante, minando il supporto necessario per l’affermazione della democrazia in molti paesi in via di sviluppo. In un libro sugli sforzi compiuti per affermare la democrazia nel mondo, Larry Diamond accusa la politica americana di democratizzare attraverso la coercizione internazionale, provocando quella che egli definisce la ‘recessione democratica’ in molte regioni del mondo.
    Progressivamente stufi dell’indottrinamento occidentale, molti paesi in via di sviluppo si sono rivolti al ‘modello Cina’. Per questi paesi, il ‘modello Cina’ è più efficace di quello occidentale, basato su un concetto di democratizzazione ideologizzata che pone però scarsa attenzione alle realtà locali al fine di sollevare centinaia di milioni di persone dalla condizione di povertà.
    DIPLOMAZIA IMMORALE
    Il fascino del ‘modello Cina’ nasce anche dalla diplomazia ‘immorale’ che la Cina svolge nei paesi in via di sviluppo, in contrasto con la diplomazia occidentale che incorpora princìpi etici – buona governance, democrazia, trasparenza, Stato di diritto e diritti umani – tra gli obiettivi della sua politica estera. La Cina, guidata più da interessi economici e strategici che da princìpi etici, ha stabilito rapporti amichevoli con molti paesi in via di sviluppo, senza dettare particolari condizioni. Grazie alla sua crescente posizione di potere, i leader politici di questi paesi sono pronti a utilizzare Pechino come scudo contro le potenze occidentali e accolgono quindi il ‘modello Cina’, assieme alla sua diplomazia libera da valori morali, come alternativa a quello europeo e statunitense. La Cina ha rafforzato la sua attrattiva anche fornendo aiuti economici e accesso al suo crescente mercato interno.
    UNICITÀ
    Nonostante il successo l’abbia posta sotto i riflettori, l’esperienza di sviluppo cinese potrebbe essere unica per la Cina e dunque non facilmente replicabile in altri paesi. Mentre le democrazie legate allo Stato di diritto e al libero mercato pensano di aver poco da imparare dalla capacità d’intervento del governo cinese sull’economia e di controllo sulla società, anche le singolari condizioni di partenza del proprio sviluppo rendono l’esperienza cinese non idonea a essere estesa ad altri paesi emergenti.
    Barry Naughton ha definito le seguenti tre condizioni di importanza fondamentale. In primo luogo, le dimensioni della Cina implicano che il paese ha (e ha avuto) le potenzialità di sviluppo per un grande mercato interno che promuove la competizione e attrae l’interesse e gli investimenti dei paesi esteri. Tra i paesi in via di sviluppo, solo gli Stati Uniti nell’Ottocento e l’India nel XXI secolo hanno avuto un simile vantaggio ‘territoriale’. In secondo luogo, grazie alla disponibilità di manodopera, la Cina ha potuto seguire una strategia di sviluppo socialista ad alta intensità di capitale; quando la Cina ha infine transitato verso una strategia di sviluppo ad alta intensità di manodopera, i risultati sono stati esplosivi. In terzo luogo, la Cina, in quanto economia in via di transizione, ha mantenuto e ricostituito un sistema politico gerarchico-autoritario che è stato attivamente adottato nella nuova economia di mercato. Ognuna di queste caratteristiche, presa da sola, è potenzialmente importante e unica dal momento che nessun altro paese è altrettanto vasto, possiede un tale vantaggio comparato o gestisce un sistema politico lontanamente simile a quello cinese.
    MORALITÀ
    Inoltre, il ‘modello Cina’ presenta alcune falle evidenti e può aver esaurito il suo potenziale, diventando, quindi, non sostenibile. Prima di tutto, non ha attrattiva morale: esso è trainato dal pragmatismo che, per definizione, non è un comportamento disciplinato da valori o princìpi costitutivi. Si basa sulla falsa supposizione che la crescita economica prevale su ogni altro aspetto. Se il sistema si fa carico della crescita economica, la gente sarà disposta a rinunciare a qualsiasi altro requisito morale, tra cui la trasparenza, la responsabilità dell’azione pubblica e la libertà, lasciando con serenità al governo il compito di gestire la governance.
    L’attrazione che molti paesi in via di sviluppo nutrono per la Cina è quasi interamente dovuta a benefici tangibili, economici e politici, piuttosto che ad aspetti intangibili, come i valori etici. Coltivare buoni rapporti con gli invisi governi del Sudan o dello Zimbabwe non può che consolidare l’immagine negativa, che la Cina proietta, di un paese che mette sempre i profitti al di sopra dei diritti umani e dei princìpi etici. Le relazioni della Cina con questi regimi oppressivi sono diventate motivo di controversia nei suoi rapporti con gli Stati Uniti e con alcuni altri paesi occidentali. Come potenza emergente, non è praticabile nel lungo periodo per la Cina convivere con questa immagine di protettrice di regimi autoritari.
    COSTI SOCIALI
    Secondo: l’abilità con cui lo Stato cinese riesce a elaborare rapidamente delle decisioni e a metterle in atto ha spesso comportato alti costi economici e sociali, che potrebbero raggiungere livelli insostenibili. Alla fine del 2010, il “China Daily” – organo ufficiale del governo cinese – ha pubblicato l’articolo di un eminente economista, Yu Yongding, che critica aspramente la storia della straordinaria crescita del paese. Secondo Yu, «la rapida crescita della Cina è stata ottenuta a un costo estremamente alto. Solo alle generazioni future è dato conoscerne il vero prezzo».
    Nell’articolo viene indicato il tasso di investimenti di oltre il 50% come un chiaro riflesso del basso grado di efficienza finanziaria della Cina. Questo alto tasso di investimenti è stato raggiunto per una concomitanza di due fattori allarmanti. Il primo è l’influenza delle amministrazioni locali nelle decisioni sugli investimenti e il secondo è la destinazione di gran parte degli investimenti allo sviluppo immobiliare. Alcune amministrazioni locali stanno letteralmente scavando delle buche che poi vengono riempite per rimpinguare il Pil. Di conseguenza, ci sono troppi condomini di lusso, enormi edifici governativi adibiti a uso ufficio e svettanti grattacieli.
    Nelle città di provincia cinesi, gli alberghi fanno sembrare, al confronto, gli hotel occidentali a cinque stelle spogli tuguri. Le città soffocano per la polvere e lo smog. I maggiori corsi d’acqua del paese sono contaminati. Nonostante lo sviluppo in atto, deforestazione e desertificazione imperversano. Siccità, inondazioni e frane rimangono all’ordine del giorno. Le implacabili attività di estrazione stanno rapidamente esaurendo le riserve energetiche cinesi.
    Di fatto, poiché l’autorità del governo in Cina non è delimitata né dallo Stato di diritto né da elezioni democratiche, la rapidità del processo decisionale ha spesso comportato investimenti irrazionali, come ha sottolineato criticamente Yu Yongding. In aggiunta all’insaziabile sete d’investimenti da parte delle amministrazioni locali cinesi, le imprese e le banche statali si trovano spesso a prendere decisioni politiche sulla ripartizione delle risorse e degli investimenti, che hanno frequentemente portato a un insostenibile spreco di risorse e al degrado ambientale.
    CLIENTELISMO
    Terzo: il binomio tra politica autoritaria ed economia di mercato ha prodotto un capitalismo di Stato corruttivo, forgiando un’alleanza tra potere e soldi. Il monopolio monopartitico ha collocato funzionari di Stato in posti di potere senza responsabilità pubblica. Non esiste un partito d’opposizione che possa vigilare sull’operato dei funzionari pubblici in posizione di privilegio, liberi di abusare della loro autorità per costruirsi ingenti fortune. I funzionari pubblici, con la loro cerchia clientelare, e gli alti dirigenti delle imprese pubbliche hanno presto formato gruppi d’interesse forti ed esclusivi.
    È significativo come oggi in Cina, l’impiego pubblico sia il lavoro più ambìto dai laureati, soprattutto fra i giovani, che mirano ai benefici economici del potere politico. Proteggendo e accrescendo interessi di gruppi specifici, lo Stato ha finito col violare i diritti della gente comune. Gli espropri sono all’ordine del giorno, i sindacati vengono messi a tacere e i lavoratori devono compiere lunghi orari di lavoro in condizioni di sicurezza precarie. In questo modo, lo Stato pratica un atteggiamento predatorio nei riguardi dei cittadini comuni che non hanno privilegi, diffondendo un profondo malcontento tra la popolazione. La crescita economica cinese, seppure indubbiamente imponente, è quindi largamente associata all’oppressione politica, il che ha sollevato questioni di sostenibilità nel lungo periodo.
    DISEGUAGLIANZA
    Quarto: l’approccio sperimentale ha intenzionalmente favorito specifici gruppi o regioni nel promuovere le riforme e la crescita economiche. Per esempio, Deng Xiaoping ha lanciato la riforma dell’economia cinese sotto gli slogan «arricchirsi è glorioso» e «lasciate che alcuni si arricchiscano per primi». Alcune fasce della popolazione ci sono riuscite ma gran parte della gente non ne ha avuto la possibilità. La precoce messa in campo della politica di ‘apertura’ ha conferito alle Zone economiche speciali (Zes) una lunga serie di trattamenti preferenziali, suscitando l’invidia di altre province.
    La crescita basata sulle esportazioni ha costretto Pechino ad adottare una strategia di sviluppo sbilanciata, incentivando una rapida crescita economica sul versante orientale e trascurando l’entroterra. Questa pratica ha portato a una scissione tra le zone rurali povere e le più ricche città; tra lo sviluppo delle regioni costiere e l’impoverimento delle zone interne; tra gli istruiti e gli analfabeti. Attualmente, la Cina si contraddistingue per il maggiore divario al mondo tra zone rurali e urbane. Quest’allarmante disparità ha preso piede quando la Cina ha smantellato lo Stato sociale, lasciando centinaia di milioni di cittadini privi o inadeguatamente coperti da servizi sanitari, copertura previdenziale, istruzione e tutta una serie di altri servizi sociali.
    MALCONTENTO POPOLARE
    Questi crescenti divari sono diventati una seria minaccia alla stabilità politica. Come un economista cinese ebbe a dire a un giornalista, «l’emergere di forti gruppi privilegiati bloccherà un’equa distribuzione dei benefici della crescita economica nella società, che vanificherà la strategia del Pcc che consiste nel barattare la crescita economica in cambio del consenso assoluto». La Cina sta imboccando un periodo di crescenti tensioni sociali caratterizzato da numerosi disordini e dimostrazioni, messe in atto dalle classi meno avvantaggiate al fine di proteggere i loro diritti, istradando così la Cina verso una spirale di crisi.
    Il governo cinese è apparentemente intimorito dal potere dei cittadini e ha tentato di gestire il malcontento popolare con alcune rapide misure ‘indolori’ in grado di placare le agitazioni, pur continuando a sperare che una continua crescita economica possa continuare a sostenere la legittimità del regime. Tuttavia, queste rapide misure ‘indolori’ stanno pian piano perdendo d’efficacia mentre si fa sempre più difficile per lo Stato continuare a far leva sulla crescita economica per evitare il deterioramento della crisi sociale; i gruppi di interesse, infatti, si stanno opponendo a una più equa distribuzione della ricchezza economica, vanificando così, per l’appunto, la strategia del Pcc di scambiare la crescita economica con il consenso.
    Si fa sempre più ricorso a forze coercitive. La crescente entità delle risorse investite dal governo in risposta ai crescenti conflitti sociali ha oramai raggiunto livelli di guardia. La spesa destinata alla sicurezza ha raggiunto nuovi record nel corso del 2011, con stanziamenti per la ‘pubblica sicurezza’ che superano, per la prima volta, il budget della difesa. Questo indica i crescenti costi del mantenimento della sicurezza interna e dimostra come il ‘modello Cina’ sia poco disposto a tollerare il dissenso e sia continuamente sotto la scure di una crisi violenta.
    PUNTO CRITICO
    Infine, il successo del ‘modello Cina’ ha vita breve. È difficile rivendicarne l’universalità giacché nessuna economia continua a crescere all’infinito. Alla luce di un’atmosfera sempre più tesa, sia a livello nazionale sia internazionale, la crescita economica della Cina, proprio come quella di qualsiasi altra economia emergente nella storia, potrebbe avere una battuta d’arresto, arretrare o entrare in crisi. Come dimostrato da uno studio di Minxin Pei, l’economia cinese ha iniziato a crescere quando la Cina è diventata meno brutale, dando spazio a maggiori libertà individuali ed economiche.
    Anche gli studi condotti da Yasheng Huang hanno documentato come la Cina abbia registrato i migliori risultati economici quando ha perseguito riforme economiche liberali e condotto alcune semplici riforme politiche, allontanandosi dalle politiche stataliste. La Cina ha pagato un gigantesco prezzo sociale per la sua rapida crescita economica, soprattutto in termini di giustizia sociale, un elemento che avrebbe potuto eventualmente tracciare la strada verso una diversa crescita. In questo caso, sebbene la crescita economica della Cina abbia finora sostenuto la legittimità del regime, sta a tutti indovinare quanto possa durare.
    (1) Miranda M. e Spalletta A. (a cura di), Il Modello Cina - Quadro politico e sviluppo economico, 2011, L'Asino d'oro ed., prodotto da AgiChina24 e Istituto italiano di Studi Orientali, Università di Roma La Sapienza, pp. 22-29
    Le note al testo sono state eliminate per esigenze redazionali. Potete consultare sull'edizione orginale. [NdR]
    *Suisheng Zhao è docente presso il Center for China-United States Cooperation, Graduate School of International Studies dell'Università di Denver, editor del Journal of Contemporany China

    La strada di rinnovamento per una governance sociale con caratteristiche cinesi
    Zhou Benshun 周本顺
    Han nationality, is a native of Xupu County, Hunan Province. He was born in 1953, joined CPC in 1971 and graduated from Changchun College of Geology (named as Changchun University of Science and Technology since 1997) in 1975. From 2001 to 2003, Zhou served as Secretary of CPC Hunan Provincial Committee Political and Law Committee and Head of Public Security Department of Hunan Province. From 2003 to 2008, he was Deputy Secretary-General of CPC Central Commission of Political Science and Law. In 2008, Zhou was appointed as Secretary-General of Central Commission of Political Science and Law after Former Secretary-General of Central Commission of Political Science and Law, Wang Shengjun, was promoted as President of Supreme People's Court (PRC). He is Member of 11th NPC Standing Committee and Member of 11th NPC Internal and Judicial Affairs Committee.



    Rafforzare e rinnovare la governance sociale (shehui guanli), innalzare il livello scientifico delle discipline deputate alla governance sociale, garantire una società forte e vitale oltre che armoniosa e stabile sono questioni estremamente dense di significato.

    La Cina e l’Occidente hanno due sistemi di governo e di gestione della società completamente differenti, così come sono differenti le condizioni in cui si trovano i vari stati e il loro livello di sviluppo. Questi fattori fanno sì che la governance sociale in Cina sia ciò che deve tenere alta la bandiera del socialismo cinese. Affrontare i problemi che riguardano la supervisione della società, nonché le ragioni profonde alla base di questi problemi, rinnovare la teoria, l’organizzazione del sistema, i metodi e mezzi, condurrà la governance sociale su un nuovo cammino, un cammino con caratteristiche tutte cinesi […].

    Per rinnovare la governance sociale il nostro governo e le nostre istituzioni devono essere mantenuti come elementi fondamentali. I leader del Partito, le persone che ricoprono ruoli nel governo, coloro che lavorano in coordinamento con la società, le strutture di controllo a partecipazione pubblica sono i nostri punti saldi sul piano politico. […]

    E’ necessario mantenere salda la posizione dominante del Partito, a difesa di un lungo periodo di buon governo e pace nella Nazione. Bisogna inoltre garantire al popolo la possibilità di vivere e lavorare in tranquillità, affrontando e risolvendo in modo pragmatico tutti quegli aspetti del management sociale inadatti allo stato attuale delle cose. Per fare tutto questo vanno combattute le false credenze (wuxin) e le mistificazioni (wuchuan), onde evitare di finire nel tranello senza scampo che alcune nazioni occidentali hanno preparato per noi, ovvero la cosiddetta “società civile” (gongmin shehui).

    Rafforzare e rinnovare la governance sociale non significa delegare eccessivamente alla società le questioni di competenza del Governo. Piuttosto significa garantire al Comitato Centrale del Partito e al Governo il ruolo preminente di direzione della società e servizio per il popolo. Non significa nemmeno lasciare che le organizzazioni della società civile si diffondano in proporzione alla popolazione, significa altresì incentivare una riforma delle organizzazioni di massa, delle organizzazioni di autogoverno di base, delle imprese e degli enti statali. Non significa incentivare l’indipendenza delle organizzazioni sociali, quanto piuttosto la regolamentazione e la guida di queste affinché possano ben inserirsi nel sistema sociale governato dal Comitato Centrale e dal Governo. In questo modo verrà ad esse garantito uno sviluppo sano e ordinato così da poter fornire il loro importante contributo alla governance sociale.

    In passato alcuni commettevano due errori fondamentali nello studiare i processi di governance sociale fuori dalla Cina: il primo è riassunto nel motto “piccolo governo, grande società” (xiao zhengfu da shehui), come se il grosso del lavoro di supervisione della società dovesse essere affidato alla società stessa. In realtà, fra i paesi sviluppati, pochissimi applicano questo motto, anzi, in molti grandi paesi è attuato un “grande governo”, ossia è il governo ad assumere un ruolo primario per quanto riguarda la supervisione della società. Il secondo errore è considerare le organizzazioni sociali come “parti terze” (di san bumen), come fossero qualcosa di indipendente rispetto al sistema governativo di supervisione della società. In realtà, fuori dalla Cina, la maggior parte delle organizzazioni non governative ha radici legate in qualche modo ai governi e opera con l’autorizzazione dei governi stessi. In Cina, le organizzazioni che si occupano di formazione (peiyu) e sviluppo (fazhan), devono rispettare alcune regole di comportamento, stabilire in anticipo delle “valvole di sicurezza”, per prevenire che fioriscano e si diffondano organizzazioni con secondi fini.

    Per rinnovare le strategie di governance sociale è necessario affidarsi con convinzione alla migliore tradizione del Partito. E la migliore tradizione del nostro Partito è proprio il lavoro con le masse (qunzhong gongzuo). Il lavoro con le masse ha gli stessi caratteri fondativi e di continuità propri del lavoro di governance sociale.

    […] Prendiamo la numerosissima “popolazione fluttuante” (liudong renkou) e agiamo rispetto ad essa attenendoci all’essenza del servizio pubblico (gonggong fuwu). Rendiamo migliori le loro vite, diamo loro speranza per il futuro, ed ecco che essi cammineranno senza esitazioni al fianco del Partito, abbracceranno e sosterranno le politiche del Comitato Centrale e del Governo, abbracceranno e sosterranno la governance sociale. Il 70% delle persone che lavorano in imprese private si trova nelle città. Ora, si prenda l’esperienza dei servizi al personale manageriale nelle imprese statali e la si estenda alle imprese private, facendo in modo che queste si facciano realmente carico della responsabilità sociale per quanto riguarda il loro personale manageriale, in questo modo i rapporti di lavoro sarebbero molto più armoniosi.

    Consideriamo i 457 milioni di netizen, e gli 859 milioni di utenti di telefonia mobile. Mentre gli organi competenti mettono in atto le funzioni di controllo in accordo con la legge, al contempo si faccia sì che l’entusiasmo e lo spirito d’iniziativa dell’immenso “popolo della rete” venga convogliato in un’azione di pulizia della rete, in funzione di mutua supervisione e controllo sulla società. In questo modo anche la società virtuale potrà svilupparsi in modo sano e ordinato.

    In una società come quella odierna, in cui pressione e competizione sono sempre più grandi e i disagi psicologici sempre più diffusi, noi dobbiamo promuovere la sollecitudine nei confronti degli altri (guan’ai) e i servizi di sostegno psicologico. In questo modo gli incidenti di massa vedranno una notevole diminuzione. Basta soltanto che la migliore tradizione del lavoro con le masse venga fatta penetrare in tutte le iniziative di governance sociale per far sì che quest’ultima ne esca rinnovata.

    Nel processo di rinnovamento delle strategie di governance sociale bisogna tener conto anche dei notevoli conseguimenti ottenuti nella storia della Civiltà Cinese in questo campo. La Civiltà Cinese è fra le più grandi dell’umanità, con migliaia di anni di esperienza nel governo della società. Essa ci può offrire importanti insegnamenti per almeno due aspetti: il primo è l’insegnamento etico-morale riassunto nel sistema di valori come “benevolenza” (ren), “senso di giustizia” (yi), “norme rituali”(li), “rapporto di fiducia”(xin) oltre che nell’insegnamento di classici come il “Classico dei tre caratteri” (sanzi jing) o il “Norme per il buon figlio e studente” (dizi gui). Molti di questi insegnamenti sono ormai entrati nel sangue che scorre nelle vene del popolo di questa Nazione e possono essere utili nel guidare la condotta umana così come nel fissare le norme che devono garantire l’ordine sociale.

    Un secondo aspetto è l’importanza accordata all’autogoverno di base. Nella società tradizionale, una volta al di sotto del livello di contea, non esistevano organi amministrativi e tutto si basava sui gentiluomini di villaggio, sulla struttura sociale lijia e sull’autogoverno. Al di fuori degli omicidi e dei crimini gravi, tutte le controversie venivano risolte autonomamente dal popolo. Nella Cina odierna, con l’enorme sviluppo economico, è facile che le persone abbiano grosse aspettative nei confronti della vita, ma se in assenza di una guida etica e morale permettiamo che gli appetiti e i desideri puntino sempre più in alto, finiremo per rendere difficile l’attuazione della pace sociale.

    Venendo alla politica, sta aumentando sempre più la consapevolezza che la gente ha dell’imparzialità, della democrazia, dei diritti, del governo della legge e della supervisione (da parte dell’opinione pubblica, ndt). Se nel salvaguardare diritti e interessi delle persone così come sono garantiti dalla legge allo stesso tempo non limitiamo l’influenza delle opinioni individuali più estremiste, sarà ben difficile mettere in pratica l’armonia e la stabilità sociale. Nella società, le contraddizioni in seno al popolo (renmin neibu maodun) sono molteplici e di varia natura, se nell’affrontarle in modo equo e in accordo con la legge noi non cerchiamo al contempo di diffondere uno spirito tollerante e armonioso, non facciamo si che i problemi vengano risolti autonomamente alla base, consentendo invece che venga scelta sempre più la strada dei tribunali, avremo, oltre che un aumento del costo della giustizia, una inevitabile alterazione della società stabile e armoniosa.

    Nel processo di rinnovamento e consolidamento delle strategie di governance sociale, possiamo scegliere, adattandoli ai tempi, i valori morali tradizionali come “per il bene pubblico” (weigong), “a fin di bene” (weishan), “armonia” (hemu), “pietà filiale” (xiaoti) […].

    Prendendo a prestito gli insegnamenti etici e morali degli antichi è possibile raffinare ulteriormente il sistema di valori del socialismo e trasformarlo in qualcosa in cui tutti potranno facilmente identificarsi. Sarebbe un valore inestimabile avere un sistema di valori fondato su pochi semplici caratteri cui tutti possano conformarsi, dai bambini cresciuti secondo questi principi fino ad arrivare […] a tutta la società. Dobbiamo analizzare a fondo il modo in cui le controversie venivano risolte autonomamente in seno al popolo così come avveniva nella tradizione di autogoverno propria dei villaggi rurali […] e, partendo da questi metodi, dobbiamo riuscire a implementarne ancora di migliori. Ciò sarebbe di grande utilità per dare un fondamento all’armonia e alla stabilità sociale.

    Anche i buoni esempi che vengono dall’estero possono essere d’aiuto al rinnovamento delle pratiche di governance sociale. Ogni tradizione, nei vari paesi, ha seguito un suo sviluppo storico anche in virtù di caratteristiche acquisite attraverso gli scambi e i contatti reciproci. […] Per esempio in alcuni paesi esiste un sistema per raccogliere […] su un carta magnetica tutti i dati relativi a professione, reddito, affidabilità, fedina penale e in questo modo si attua un maggiore controllo sul rispetto delle leggi. In alcuni Paesi l’identificazione avviene attraverso sistemi di lettura dell’iride, le impronte digitali, il DNA, in modo da garantire ai cittadini nazionali ed esteri diritti e interessi e al contempo attuare un controllo efficace su di essi. In alcuni Paesi, ogni anno in primavera o autunno si tiene una consultazione che vede coinvolti rappresentanti del governo, dell’impresa e dei sindacati nella definizione dei salari degli operai. Ciò aiuta a diminuire notevolmente le tensioni fra impresa e lavoratori per quanto riguarda i salari.

    In alcuni Paesi i rappresentanti del governo partecipano ad attività di servizio per le comunità locali in modo da innalzare la capacità di influenza del partito di governo fra le persone comuni. In alcuni Paesi la tassa sugli immobili viene ridistribuita fra le comunità in modo da garantire un’entrata fissa che possa consentire alle comunità locali di garantire dei piccoli servizi a coloro che le abitano. In alcuni Paesi autorità viene accordata allo stato di diritto, che è ciò su cui il sistema sociale viene fondato; in questo caso le controversie non si risolvono al prezzo del sacrificio dei singoli. Anche questo è un esempio cui ci si può ispirare, purchè venga adattato alla situazione del nostro Paese. Da questo punto di vista, ci opponiamo fermamente a questa sorta di “ideologia del trasloco” (banlai zhuyi) secondo cui ogni cosa va copiata, indipendentemente dalla sua utilità, mentre al contrario approviamo un assorbimento ed un’assimilazione che si integri con la nostra situazione nazionale.

    testo originale: Zou zhongguo tese shehui guanli chuangxin zhi lu

    www.sangye.it/dalailamanews/?p=3741
    www.asianews.it/notizie-it/Pechino-...idio-22960.html
    http://www.unita.it/mondo/cosi-la-tragedia...a-cina-1.343523
    www.ilpost.it/2011/10/20/i-suicidi-dei-monaci-tibetani/

    Edited by yeshe - 21/10/2011, 13:20
     
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  13. yeshe
     
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    Gyalwang Karmapa prays for the Tibetans who self-immolated:

    www.kagyuoffice.org/#HHKarmapaTsuglagkhang2
     
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  14. yeshe
     
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    www.asianews.it/notizie-it/Pechino-...ibet-22974.html

    "Mourning"

    By Sengdor

    The sadness of living is more painful than death
    Unbearable sorrow turned you all into glowing red skeletons

    The mouth quivers with flames
    The hands are pierced with flames
    Flames burn in the breast
    Rosary beads of fire scatter to the ground

    Look at the smoke rising
    from the monastery’s golden roof
    Look at the doors of each monk's cell

    In every moment
    After a storm bursts on one grassland
    Another storm bursts on the other grassland
    Following the direction of the wind
    Dark shadows move accordingly

    - Written on one night of October 2011

    dal blog di Jamiang Norbu:

    October 18th, 2011

    WHAT MUST I DO?
    In 1946 when the Muslim League declared “Direct Action Day” and some of the most horrendous and large scale Hindu-Muslim violence erupted throughout India, one of the worst hit areas was the Noakhali district of Bengal. Mahatma Gandhi walked barefoot through village after village in this district, in an angry and hostile atmosphere, trying to persuade people to take a pledge not to kill others. Some strewed thorns and filth in his path and one man even physically attacked him. Gandhi was then 77, but undaunted kept on with his march for peace. Even in this darkest and seemingly most hopeless moment of his life, he was single-mindedly action-oriented. He was heard constantly murmuring to himself.
    “Kya karoon? Kya karoon?” “What must I do? What must I do?” A biographer noted: “At that moment, he was magnificent.”
    Tibetans all over the world are asking that question in the wake of the “fire protests” of the eight young monks and, today, of the nun, Tenzing Wangmo (age 20) in Ngaba. Demonstrations, stand-ins, vigils, marches, hunger-strikes, petitions and signature drives have been organized in Minnesota, New York, Dharamshala, Taiwan, London, New Delhi, Geneva, Paris, and other cities.
    In Tibet itself the acts of self-immolation have not taken place in isolation. and protests have been reported in the surrounding region and the calls for wider protests are growing. Four days ago two Tibetans were shot by Chinese troops during a protest outside a police station in another part of Sichuan province. Woser la has been blogging incessantly and so have other Tibetan writers and bloggers in Tibet and China, Check out High Peaks Pure Earth for an English translation of a poem “Mourning” by the blogger Sengdor which appeared on October 11th.
    But little notice has been paid by the world to the “fire-protests” in Tibet, there has only been some passing references on CNN, and a couple of brief reports in the BBC. Of course the world media has never been noticeably outspoken or brave when it comes to reporting on Tibet and China, but that is a given. I think that something else is using up all the available media oxygen at the moment. The “Occupy Wall Street” protests have spread to over sixty cities worldwide and show every sign of getting bigger and noisier by the week. I am completely supportive of this protest, and since the issue is one that affects everyone (whether you support the protestors or not) it is going to dominate the headlines for weeks to come. That’s why in my previous posting I suggested that our biggest demonstration of support to the people in Tibet should be five months from now on 10th March 2012. But I absolutely support the demands of feistier spirits that we have to do something right now
    So what can we do?
    A Tibet activist in Switzerland has come up with a brilliant idea. The beauty of the scheme is it’s unbelievable simplicity:

    • It needs no more than two people to execute.
    • It takes little time, about ten to twenty minutes at the most.
    • It is completely legal and not unsafe in any way.
    • It requires no resources other than a piece of chalk and a digital (cellphone) camera.
    • Each action, like an individual brick in a building, has a definite and structurally important place in the overall success of the project.

    And that’s it. I am not kidding.

    Go to www.chalktibet.org/ If you go to the site and click on the “How does it work…? Tab” you’ll get the instructions. This action can be done on the fringes of an organized demonstration, at periodic moments during a march, or at any opportune time and place (preferably a place with a lot of foot traffic, where people will gather and look on). This action began in Switzerland and is now being taken global. Join in! And pass on the web address to all your friends, support groups or other interested parties!


    http://standupfortibet.org/

    www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F...BdRrj_LB62MGciQ


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    Edited by yeshe - 22/10/2011, 13:17
     
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  15. yeshe
     
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    per chi conosce il tibetano:
     
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348 replies since 8/10/2011, 09:45   19028 views
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